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Giuseppe Conte lascia Palazzo Chigi

L’OPINIONE / Con Giuseppe Conte pagine storiche per la Repubblica?

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Caro, Presidente Conte,  l’Italia scrive con lei una delle pagine storiche più importanti della nostra Repubblica. E proprio per questo il saluto istituzionale di oggi, della Nazione a Giuseppe Conte, si tramuta caldamente nel saluto degli italiani al suo Presidente.

Un’emozione che inchioda agli schermi delle tv milioni di italiani. Seguaci, simpatizzanti, ma anche oppositori e uomini e donne dalle vedute distanti.

La prima volta, arrivava sconosciuto ai più, quando chiamato dalla politica, alla guida del nostro paese, giurava fedeltà all’Italia e agli italiani. E trovava, già allora, davanti a sé, un paese stanco e provato. Complesso e diffidente. Incartato dalle mille disuguaglianze sociali, le lotte di genere, i dissidi, le disparità interne … La cui condizione si è andata aggravando fino a precipitare definitivamente, con il crescere esponenziale di una epidemia, che in breve giro di tempo, diviene pandemia (post-moderna), e piega oltre che l’Italia, il mondo intero.

A 960 giorni circa, dal suo insediamento, c’è un sorriso che sul suo volto non è mai cambiato. Non si è mai oscurato. Ed è lo stesso con cui l’Italia, oggi, salutandola, la chiama ancora una volta “Il mio Presidente”.

Durante il suo mandato, con orgoglio e impegno, costanza e dedizione, ha cercato con ogni mezzo e in ogni modo, di far seguire alla nave, su cui l’Italia viaggia singhiozzando ormai da decenni, la rotta giusta. Ma il mare, in cui lei con noi e noi con lei, ci siamo ritrovati a navigare, è stato spesso un mare in tempesta.

Il Covid 19, ha mutato la specie umana nel suo DNA, e l’Italia, il cui timone gli era stato affidato, ha mutato la sua forza in fragilità. Ma Peppe Conte, così come gli italiani affettuosamente hanno imparato a chiamarla, non ha mai mollato. E per come ha potuto, con sacrificio, forza e coraggio, ha protetto il paese, come è giusto che un padre debba fare. Anche sbagliando, tante volte non piacendo, ma senza mai sottrarsi alle proprie responsabilità.

Non sarebbe stato facile per nessuno, mi creda, Presidente. Che anche avendo tra le mani il bandolo della matassa, sbrogliarla, in certi punti, sarebbe stato complesso per chiunque. In tanti si sono proclamati professori al di là della cattedra, ma la storia ha imposto ben altro. E a lei, ha chiesto di fare scelte importanti, per alcuni versi anche storiche. La posta in gioca è stata sempre altissima. La monetina o cadeva sulla vita, o restava sulla morte. E l’Italia che si è proclamata sempre e solo culla, si è ritrovata improvvisamente anche sepolcro.

Abbiamo perduto, come foglie tra le dita, la più saggia e importante delle generazioni, impoverendoci tutti. E le lacrime delle madri uscite di casa e mai più tornate, dei figli che non hanno più rivisto i padri, dei fratelli e delle sorelle, sono state mie, sue e della Patria intera.

La durezza della sua Presidenza, che il tempo che ancora stiamo vivendo le ha imposto, resterà impressa per sempre nelle menti di ognuno di noi. Un pezzo di storia che probabilmente riporteranno anche i libri.

Tra commozione e disperazione, è stato parte di un periodo importante della nostra vita. È entrato nelle nostre case a qualunque ora, e si è posto al centro delle nostre famiglie, quando servivano speranze, e soprattutto si attendevano conferme. Non è mai mancato. Non si è mai dissociato, e neppure astenuto. Anche stanco e provato in viso e nell’animo, c’era.

È stata dura, Presidente. Ma anche alla fine delle giornate più tristi e dopo le scelte più gravose, ha sempre portato alto l’orgoglio e l’onore della Bandiera. Il valore e la grandezza dell’Italia.

Il presidente del garbo e della gentilezza, per alcuni. Quello della temperanza e della mitezza, per altri. L’uomo che ha ridato al paese l’etica e la morale. Sempre pronto, mai scomposto, polemico o fuori luogo. Il bel presidente, che oggi saluta la sua Nazione, nella compostezza e l’eleganza di sempre. Tra gli applausi e i sorrisi della gente comune, ricordando con il suo silenzio, e lasciandoselo leggere anche nello sguardo, che ‘La disperazione più grave che possa impadronirsi di una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile(CA)’.

Grazie, Giuseppe Conte. (gsc)