di GIUSEPPE DE BARTOLO – Il primo ottobre scorso ha avuto inizio su tutto il territorio nazionale la rilevazione del Censimento permanente della popolazione e delle abitazione, realizzato, come per il passato, dall’Istat – Istituto Nazionale di Statistica. Questa fase di raccolta di dati sui tratti sociali, economici e demografici della popolazione, benché faccia riferimento al 3 ottobre scorso, si concluderà il 23 dicembre prossimo.
Com’è noto, l’Italia ha una lunga tradizione censuaria: il primo censimento della popolazione risale infatti al 1861, anno dell’unificazione del Paese nel Regno d’Italia, quando gli italiani erano appena 26 milioni e trecentomila. Dopo il 1861 i censimenti si sono succeduti sempre a cadenza decennale fino al 2011, ad eccezione del 1891 anno in cui il censimento non venne effettuato per le difficoltà finanziarie in cui versava il Paese e nel 1941 a causa della guerra. Un’altra eccezione è stato il censimento del 1936, realizzato a soli cinque anni dal precedente, a seguito di una riforma legislativa che ne modificava la periodicità a fini di controllo politico.
Molti non sanno, però, che il Governo fascista fece anche un censimento degli ebrei italiani. E a questo proposito ricordiamo che nel corso del 1938 il regime, avendo deciso di introdurre una legislazione antiebraica, si servì della appena costituita Direzione generale per la demografia e la razza (la cosiddetta Demorazza) per gestire il censimento degli ebrei italiani dell’agosto del 1938, i cui dati sensibili, in dispregio delle norme sul segreto statistico, furono successivamente utilizzati al momento dell’occupazione nazista per la deportazione nei campi di sterminio in Germania tra il 1943 e il 1945 di oltre 7 mila ebrei italiani.
A partire dal 2018, il censimento è organizzato con cadenza annuale e rileverà, mediante un campione statisticamente rappresentativo le principali caratteristiche demografiche e le condizioni socio-economiche dei territori, con l’intento di soddisfare l’esigenza d‘informazioni tempestive, utili sia ai cittadini sia alle imprese e alle associazioni per progettare e fare scelte, ma soprattutto per fornire le informazioni necessarie ai decisori pubblici ai vari livelli territoriali; tempestività e freschezza di dati che invece i censimenti generali decennali del passato non potevano più assicurare.
Quest’anno il censimento interesserà un campione di 2 milioni 472.400 famiglie sparse il 4.531 Comuni italiani che forniranno informazioni che, coniugate con quelle provenienti da fonti amministrative, permetteranno di fotografare l’intera popolazione italiana con costi molto più ridotti rispetto ai censimenti generali. Questo censimento si articola in due tipi di rilevazione. La prima, di tipo Areale, terminerà il 18 novembre prossimo e prevede la compilazione del questionario online tramite un rilevatore incaricato dal Comune che si recherà presso il nucleo familiare per assistere il capofamiglia nella compilazione del questionario. Nel secondo tipo, chiamato a Lista, la compilazione del questionario è fatta autonomamente online dal capo famiglia medesimo.
Senza andare molto indietro nel tempo, ricordiamo che in Italia prima del XVII secolo le notizie riguardanti la popolazione erano molto lacunose e consentivano solo valutazioni indirette dei fenomeni socio-demografici. Successivamente, una fonte importante è stata quella dei registri parrocchiali la cui tenuta, resa obbligatoria dal Concilio di Trento del 1563, era demandata al parroco il quale aveva il compito di annotare gli atti di sepoltura, battesimo e matrimonio ed effettuare una volta l’anno, in occasione della Pasqua, la conta delle anime dei parrocchiani (status animarum). Accanto alle registrazioni religiose esistevano anche altre rilevazioni che però avevano carattere fiscale o igienico-sanitario: ricordiamo i catasti onciari voluti nel ‘700 da Carlo III di Borbone i quali sono stati un vero e proprio censimento non solo delle persone, ma anche dei beni mobili e immobili. Con il XIX secolo, con la costituzione dei servizi ufficiali di statistica, termina l’era delle enumerazioni e inizia quella dei censimenti moderni.
Ritornando al Censimento di quest’anno, ricordiamo che in Calabria su 404 Comuni quelli interessati saranno poco più della metà (220), di cui 83 su 150 in provincia di Cosenza, 54 su 97 in provincia di Reggio Calabria, 42 su 80 in provincia di Catanzaro, 14 su 27 in provincia di Crotone e 27 su 50 in provincia di Vibo Valentia.
Ma, nonostante che questa operazione interessi un campione abbastanza ampio di famiglie calabresi, la circolazione delle informazioni sull’importanza di questo mezzo statistico di conoscenza purtroppo sta avendo, almeno in Calabria, una scarsa eco non solo nei media ma anche da parte degli stessi Comuni interessati i quali – salvo poche eccezioni – spesso si sono limitati a fornire attraverso i loro siti scarne notizie dalle quali i cittadini non colgono appieno l’importanza di questo strumento per conoscere meglio il nostro Paese e la nostra regione. (gdb)
[Giuseppe De Bartolo è già ordinario di Demografia all’Università per la Calabria]