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A Casali del Manco un focus su "Briganti fra storia e leggenda"

A Casali del Manco un focus su “Briganti fra storia e leggenda”

Il Comune di Casali del Manco, nella Presila cosentina, comprende, fra tante, la località Macchia, borgo medievale dalla bellezza antica e suggestiva, luogo dell’anima, per molti che qui sono nati o hanno avuto il privilegio di viverci per qualche tempo della loro vita e si portano per sempre dentro ogni pietra, odori, sapori, voci dell’anima.

Luogo dell’anima, dicevamo, che  ha per tutti un grande significato, è espressione del valore del proprio vissuto. L’anima riconosce dei luoghi come propri e famigliari. Si tratta dei luoghi che hanno toccato l’interiorità e fanno parte della storia di ognuno. Custodire il proprio luogo dell’anima significa conservare emozioni positive che fanno bene all’anima stessa, anche se la nebbia ammanta i ricordi, le storie vivono dentro le persone in un’atmosfera di fascinazione e sublimazione. Si ha l’impressione che lì il tempo si sia fermato, si ripetono nella mente le scene vissute nel passato come fossero scene di un film che si guarda ogni volta che se ne sente il bisogno.

E in questa scenografia ci sono il Palazzo Gullo e le persone  che l’hanno abitato, in primis Fausto Gullo, grande politico, Padre Costituente, Ministro dei contadini .Ora il Palazzo è diventato Casa Museo e ospita la Biblioteca Gullo. Luogo magico, dove la storia parla e trasmette il suo insegnamento ai visitatori, che ne subiscono il fascino. È un’esperienza emotivamente forte, la visita alla Biblioteca Gullo, che resta nell’anima, come il borgo antico e suggestivo di Macchia.

Proprio in questo borgo l’Associazione culturale AIParc Cosenza, in collaborazione con l’amministrazione comunale di Casali del Manco e la stessa Biblioteca Gullo, è stata protagonista, il 16 Novembre 2022, di un significativo evento culturale, dal titolo Briganti fra storia e leggenda. 

La manifestazione si è svolta in due fasi. La prima è stata dedicata alla visita guidata alla casa dei briganti Pietro Monaco e Maria Oliverio e alla casa di Teresa Oliverio, sorella di Maria, dove Teresa è stata brutalmente uccisa proprio dalla sorella. Guida esperta Peppino Curcio, studioso e storico appassionato. Ponendo in evidenza la dignità politica del brigantaggio, attraverso l’esposizione di fatti ed episodi storici, riti, usi e costumi ha destato attenzione e interesse nel qualificato pubblico dei visitatori. 

Oggi restano solo solo poche pietre squadrate di quella che doveva essere la casa di Pietro Monaco e Ciccilla, divorata da un incendio doloso in un angolo del paese e una casetta semidiroccata, dove si consumò l’atroce delitto, in un altro angolo. Apparentemente è quasi tutto quel che resta a simbolo di una vera e propria guerra civile che subito dopo l’unità d’Italia incendiò queste contrade, all’epoca reame Borbonico in rapido disfacimento.

Nel lasso di tempo che ci separa da quegli avvenimenti, con molta fatica e una passione indefessa, gli storici hanno ricostruito seppur parzialmente le cronache di quei mesi intensi che abbracciano un arco di dieci anni, dal 1861 al 1871, in cui tutti gli uomini del tempo, di ogni età e ceto sociale, misero in scena la tragedia che regalerà al Risorgimento italiano una delle pagine più amare e sanguinose della sua storia: il “Brigantaggio post-unitario”, a cui fece seguito inesorabile la repressione altrettanto feroce dei “Piemontesi”.

Gli atti di archivio, prodotti o acquisiti all’epoca dalla magistratura, dall’esercito e dall’amministrazione pubblica, seppelliti dalla polvere del tempo, nascosti per reticenza o per vergogna, sono tornati così alla luce, grazie alla certosina pazienza con cui alcuni autori illuminati hanno cercato di dare un improbabile ordine ad avvenimenti certamente confusi e difficili da analizzare, ma sicuramente per troppo tempo rimasti occultati. Ne emerge un quadro, se non del tutto nuovo certamente accurato, sulle vicende storiche di una neonata Italia, il tempo sembrava fosse fermo, in pieno feudalesimo.

Il 70 per cento della popolazione, braccianti, contadini, operai, nullatenenti, disoccupati, viveva economicamente e culturalmente soggiogata in una indigenza estrema. I notabili del tempo, i “Galantuomini” di antico retaggio, da secoli si spartivano il controllo della vita sociale ed economica di paesi e borghi arroccati su crinali di monti impervi, condannati ad un isolamento secolare durato fino a tempi recenti. In molti si sono provati a dare al brigantaggio – per certi versi endemico in alcune regioni – delle ‘ragioni’ più nobili e razionali di quanto la realtà inconfutabile degli atti di archivio lasci trasparire; ma il periodo a cavallo tra il 1861 e il 1865, noto agli storici come quello della “reazione” al governo piemontese, fomentata dagli esuli Borboni, dalla Chiesa e da una parte della nobiltà, non è altro che una delle tante sfaccettature di un fenomeno in fondo estremamente complesso, le cui cause vanno certamente ricercate nelle profonde differenziazioni economiche e sociali che caratterizzavano la società dell’epoca. In verità il brigantaggio è stato, sin da epoche remote, il frutto di sussulti imprevedibili e incontrollabili di un popolo affamato e diseredato che periodicamente, come un fiume in piena, rompe gli argini e tutto travolge con la sua violenza atavica ed istintiva, salvo poi tornare a sopirsi per subire nuove e più inumane sofferenze.

«Il brigantaggio – scrive Tommaso Pedío – (…) è l’endemica protesta dell’oppresso e del povero; è la manifestazione di vendetta e di odio contro torti impuniti in una società in cui la Giustizia, ferocemente severa nei confronti del povero, è sempre disposta a minimizzare ed anche ad ignorare gli arbìtri e gli illeciti dei potenti».

Questi concetti sono stati alla base del confronto che si è generato nella seconda fase dell’evento culturale a Macchia di Casali Del Manco, incentrata sulla presentazione del libro di Giuseppe Ferraro Il Prefetto ed i briganti. La Calabria e l’unificazione italiana (1861-1865) ,Le Monnier, Firenze, avvenuta nella suggestiva cornice della Biblioteca Gullo, alla presenza del Sindaco Stanislao Martire, che nel porgere i saluti ha ribadito la sua ferma convinzione che attraverso la cultura e la sua promozione e diffusione si può far crescere il benessere materiale e immateriale di una comunità. 

Splendidamente coordinati da Giuseppe Trebisacce, sono intervenuti relatori di elevato spessore culturale ed esperti studiosi del fenomeno del brigantaggio in Calabria. Tania Frisone, Presidente AIParC Cosenza, dopo i saluti ha fatto un appassinante racconto della storia di Maria Oliverio, detta Ciccilla e un’accurata disamina del brigantaggio femminile.

La parte antropologica è stata trattata da Giovanni Curcio, il quale, con acume e completezza d’indagine, ha esposto gli aspetti più interessanti del libro di Ferraro, non mancando di evidenziare gli errori commessi dalla scienza positivista di Cesare Lombroso, studioso di antropologia criminale, che in Calabria trascorse tre mesi della sua vita al seguito dell’esercito sabaudo. 

Paolo Rizzuti ha messo in evidenzia gli eccessi e le storture di giudizi frettolosi espressi sulla Calabria, considerata paradiso terrestre, e sui calabresi, giudicati diavoli autori dei propri mali, rivelando importanti notizie storiche sui briganti casalini, tratte da indagini accurate nell’archivio di Stato.

Peppino Curcio, mostrandosi in sintonia con quanto detto dai suoi predecessori nei loro interventi, ha evidenziato il carattere endemico del brigantaggio calabrese e del Meridione tutto. 

 Prezioso ed esplicativo l’intervento dell’autore Giuseppe Ferraro. A ragione sostiene che il crollo del Regno delle Due Sicilie e l’unificazione italiana segnarono per le province meridionali un periodo di diffusa instabilità. Vecchie e nuove problematiche si fusero rendendo l’amministrazione di gran parte di questo territorio difficile per i primi governi italiani. La classe dirigente liberale cercò di rimediare alla diffusa instabilità e conflittualità inviando nel Mezzogiorno prefetti, funzionari, militari di origine settentrionale per rafforzare in tal modo l’unificazione appena raggiunta.

In questo contesto, nell’aprile 1861 venne nominato prefetto della Provincia di Cosenza (Calabria Citra) il valtellinese Enrico Guicciardi. Proprio la vicenda appassionante di Guicciardi e l’utilizzo, tra le altre, di fonti storiche inedite, custodite in archivi pubblici e privati, permettono all’autore di raccontare i primi anni dell’unificazione italiana in Calabria, con particolare attenzione al brigantaggio, alla questione della terra, alla conflittualità tra potere politico e militare sul territorio, in uno dei momenti più critici della storia d’Italia. 

Anna Maria Ventura nelle sue conclusioni ha sintetizzato i vari elementi che hanno reso unica e di elevato valore la manifestazione culturale, per  la singolarità dei luoghi e delle persone che con essi si identificano.

«Questa giornata, ha detto la Ventura, è stata intensa, emozionante, quasi magica, come tutto ciò che avviene a Macchia, antico borgo, dove il tempo sembra essersi fermato e nella  Biblioteca Gullo, dove la storia si respira in tutta la sua gravità, gravità intesa come importanza di chi l’ha fatta e responsabilità di chi ne assume l’eredità e l’impegno della continuazione».

«Questo luogo ricco di memoria storica – ha aggiunto – dove ha vissuto ed ha lasciato il suo prezioso patrimonio di idee ed umanità al servizio della politica e del bene comune, il grande Fausto Gullo, è il luogo più idoneo al passaggio del testimone da chi l’Italia democratica e libera l’ha fatta, e insieme all’ Italia la sua Costituzione,  a tutti noi che abbiamo il dovere morale di custodire e salvaguardare la nostra Italia, la nostra Costituzione e i suoi grandi valori».

«Adesso Macchia fa parte di Casali del Manco – ha concluso – una realtà territoriale e amministrativa molto più vasta e complessa. Comprende infatti cinque comuni. La sfida da vincere, e che l’amministrazione comunale ha fatto sua e si sta adoperando per portare avanti onoratamente, è quella di mettere in atto una politica amministrativa che miri all’unità, pur conservando le caratteristiche peculiari e identitarie dei tanti piccoli borghi che costellano il meraviglioso e vasto territorio. Per fortuna accomunati dalla stessa storia e dalle stesse caratteristiche geomorfologiche e biosferiche».

È giusto sottolineare che Casali del Manco appartiene alla rete “Borghi autentici d’Italia” e molto presto, forse a Dicembre, si accinge ad essere ufficialmente una “comunità ospitale”, protagonista della nuova Soft Economy. Simbolo di un’Italia che ce la vuole fare, quell’Italia dei borghi che puntano sulla riscoperta e riqualificazione della propria identità; un’identità che si manifesta nelle pieghe originali della sua storia, nelle tradizioni dei luoghi, nella loro conformazione morfologica espressa nel paesaggio, nella cultura produttiva artigianale; ossia, in una frase, nel proprio modo di vivere. (Anna Maria Ventura)