di PIETRO MASSIMO BUSETTA – Cinquant’anni di rapporti sono tanti e il video di Pasquale Saraceno da un lato emoziona dall’altro ci fa capire che non servono le analisi e le ricette tecniche, che sono rimaste sempre le stesse, ma la volontà politica di attuarle.
Il Mezzogiorno sarà quello che la sua industria manifatturiera diventerà. E purtroppo ancora la dimensione di essa non è tale da trascinare la crescita del Pil. Nel 2022 il Sud cresce infatti come la media UE ma il contributo dell’industria é meno della metà che nelle altre aree. Se recupera lo stesso livello di crescita é per il contributo dei servizi e delle costruzioni.
Chiarissimo il rapporto, ricco dei dati importanti, che vengono, presentati, con una capacità di sintesi non comune, dal direttore Luca Bianchi.
Ma il tema diventa le politiche per il futuro. La domanda che aleggia nella bella sede della Camera di Commercio di Roma, nella Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano sita nella Piazza di Pietra é se quelle che sono in atto hanno forza sufficiente per superare, in un numero di anni contenuti, i grandi divari ancora esistenti nel reddito pro-capite, nel tasso di occupazione e disoccupazione, nell’export per addetto, nella infrastrutturazione di ferrovie, porti, autostrade, nei diritti di cittadinanza relativi alla sanità, alla scuola.
E la presenza del ministro Raffaele Fitto diventa il momento più caratterizzante dell’incontro. E l’argomento principe è quello del Pnrr che dovrebbe essere lo strumento per quella rivoluzione necessaria per riequilibrare il Paese oltre che la Zes unica, soluzione per accrescere quella quota di manifatturiero ancora così contenuta.
Il Ministro sta operando bene per l’Italia se è vero che è riuscito ad incassare tutte le rate in scadenza, primo Paese dell’Unione che lo ha fatto. Ed anche nel senso di riorganizzare lo strumento per eliminare i finanziamenti che sono destinati ad opere che non potranno essere ultimate e collaudate entro la metà del 2026. Quindi sta operando certamente per il Paese.
La domanda però può porsi anche in modo diverso è cioè se questa riorganizzazione del Pnrr, in parte dovuta agli errori commessi nell’impostazione dal Governo Draghi, non possa penalizzare il Sud e far perdere di vista l’obiettivo vero dello strumento, che non è quello di salvare il Paese Italia e di spendere tutte le risorse a fondo perduto e a credito, ma quello di eliminare i divari, recuperare alcuni diritti di cittadinanza, incrementare in modo decisivo la base manifatturiera dell’area.
Se la Zes unica potrà, esempio innovativo in Europa, che riguarda un’area così vasta con 20 milioni di abitanti, attrarre investimenti importanti che in collegamento con la vocazione mediterranea della zona risponda alla domanda di proiettarsi verso l’Africa proveniente dall’Europa.
Questa domanda rimane in sospeso e le conclusioni di Adriano Giannola non risolvono la questione. Anche il presidente di Svimez sembra essere perplesso di come possa essere gestita in modo virtuoso una Zes così ampia, e suggerisce che in ogni caso bisognerà concentrare l’interesse sulle aree portuali alle quali facevano capo le otto Zes, come erano state concepite in una prima fase.
Mentre per il Pnrr la critica ad alcuni sistemi relativi agli asili nido che vengono, con il sistema adottato, dati a chi li ha già ed ha capacità di vincere i bandi é dura. Quando si tratta di diritti il sistema dovrebbe essere quello dell’obbligo di portare avanti i progetti, di averli forniti dal Centro e di sostituire le amministrazioni locali nel caso di inadempienza o incapacità. E l’Italia non si può permettere di perdere anche questa occasione.
I dati snocciolati sulla povertà, sullo spopolamento, sul lavoro femminile (sette donne su 10 che non lavorano), l’obiettivo di diventare la Rotterdam d’Europa difficile da raggiungere, fanno riflettere su una occasione unica da non perdere, senza voler ripetere luoghi comuni diffusi.
Se il Sud e il Paese mancano quest’ultima occasione bisognerà rassegnarsi a perdere 8 milioni di abitanti da qui al 2080. Ma può un Paese come l’Italia competere con francesi e tedeschi non mettendo a regime il Mezzogiorno? Lasciando il 33% della popolazione non a regime senza scossoni sociali, come quello che si annuncia con l’autonomia differenziata, che facciano saltare le basi della coesione?
Sono domande che sembrano di fantapolitica ma che sono assolutamente attuali, anche se sembra che le forze di maggioranza e di opposizione non si pongono. Nemmeno nelle parti più avvertite che in altre occasioni hanno dimostrato un senso dello Stato e delle Istituzione che ha salvato il Paese da derive semplicistiche e spesso anche populiste.
Dire che il Paese sarà quello che il Sud sarà é una frase abusata, ma sempre assolutamente valida e condivisibile. E certamente il nostro Paese, dopo 162 anni dalla unificazione politica, non può aspettare ancora per quella economica. Ma nessuno regalerà nulla e il Mezzogiorno ancora non riesce a mobilitarsi sul principio “aiutati che Dio ti aiuta”. La scarsa presenza di movimenti meridionalisti alla presentazione del rapporto, tranne i vertici dell’associazione Guido Dorso, la dicono lunga sulla mancanza di un lavoro di squadra assolutamente indispensabile.
Quando ci convinceremo in più che ormai non serve l’approfondimento tecnico per capire cosa bisogna fare quanto la forza politica per imporre le soluzioni dei tre drivers manifatturiero, turismo e logistica, il problema/opportunità del Mezzogiorno si avvierà verso la soluzione. (pmb)
[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]