di SANTO STRATI – Non si è ancora insediato il nuovo Consiglio regionale (manca persino la proclamazione ufficiale degli eletti), ma ci permettiamo di ricordare ai nuovi inquilini di Palazzo Campanella che tra le tante urgenze di questa consiliatura, non va trascurata l’esigenza di “correggere” la normativa elettorale in vigore. Cosa sarebbe successo se, anche in Calabria – come nelle altre regioni – ci fosse stata la possibilità del voto disgiunto? Spieghiamo subito cosa significa: equivale alla facoltà di scegliere il presidente di una coalizione e assegnare il voto ad un’altra lista, non necessariamente della stessa coalizione. Quanti voti in più avrebbero raccolto, singolarmente parlando, i quattro candidati? Non è un dettaglio da poco, basta guardare quanto è avvenuto in Emilia-Romagna. La Calabria, per una di quelle incredibili quanto singolari caratterizzazioni difformi dalla legge elettorale nazionale, ha una legge che esclude questa possibilità. Per non parlare poi del voto di genere: la passata consiliatura – vergognosamente, permetteci di dirlo chiaramente – non ha approvato il progetto di legge avanzato da Flora Sculco (rieletta nel nuovo Consiglio) che prevedeva la parità di genere nel voto. Una legge di poche righe che meritava attenzione e buon senso e invece è stata affossata malamente, proprio prima che finisse la consiliatura. Due aspetti della legge elettorale che vanno presi in considerazione da subito, per non ritrovarci tra cinque anni, da capo a dodici, come si dice. Ovvero, senza voto disgiunto e senza un’adeguata componente femminile in Consiglio. Altra considerazione importante riguarda la soglia di sbarramento dell’8%: il risultato è che il voto di poco meno di 120mila calabresi (a Francesco Aiello e Carlo Tansi9 non trova riscontro nell’agone politico (e parliamo di un percentuale totale del 14,5%). Anche questa, siamo sicuri, è una norma che non merita una revisione in una, auspicabilmente prossima, nuova legge elettorale?
Per introdurre il voto di genere basta un esercizio di ordinaria amministrazione, recuperando il disegno di legge lasciato morire nei mesi scorsi e predisporre una norma che prenda in considerazione entrambe le opportunità. Così, alla prossima consultazione elettorale, al massimo si potrà recriminare “soltanto” sulla scarsa partecipazione dei calabresi al voto: l’affluenza del 26 gennaio 2020 è praticamente identica a quella del 23 novembre 2014, 44 e spicci per cento, quindi bisognerà interrogarsi a lungo perché non si riesce a spazzare via questo disincanto, perché il rifiuto della politica (che coinvolge tutto e tutti, soprattutto le persone perbene e ce ne sono tante) avanza anziché regredire, con lo svecchiamento della popolazione, accrescendo delusioni e amarezza. I giovani devono (e secondo noi vogliono) avvicinarsi alla politica e desiderano essere partecipi. Il fenomeno delle sardine esprime soprattutto il desiderio delle nuove generazioni di tentare di cambiare le cose, in particolar modo in politica, quindi rivela la voglia di essere coinvolti e diventare attori e protagonisti di una qualsiasi svolta.
Il cosiddetto cambiamento che, in realtà, è solo apparente, non c’è, né si profila all’orizzonte. Eppure la Calabria è stata sempre un importante laboratorio politico. Tra i suoi figli annovera grandi protagonisti della politica di alcuni decenni fa (basti ricordare Mancini, Misasi, Gullo, solo per fare qualche nome) che hanno lasciato, in positivo o negativo, un’impronta chiara e indelebile che, peraltro, riconosceva un ruolo a questa terra e ne coltivava le aspettative. Oggi, i giovani e le donne in modo particolare, sono i più delusi di questo modo di far politica e non vanno a votare. Come si fa a far capire loro che, invece, occorre andare alle urne ed esprimere una qualsiasi scelta (anche scheda bianca) quanto meno per dare numericamente un significato di partecipazione. Dare il segno di istanze che non possono venire più disattese.
Il cav. Callipo, che ha annunciato un’opposizione “costruttiva” in Consiglio regionale, ha raccontato durante la campagna elettorale che la sua scelta di scendere in campo è stata determinata da una sincera domanda di un giovane sul perché non ritenesse di doversi impegnare per questa terra. Una bellissima immagine, anche letteraria che potrebbe esser pure frutto di un’abile strategia di marketing politico (ma non lo è, per fortuna) che dà il senso di come, in realtà, i nostri ragazzi, laureati o laureandi o delle scuole superiori, attratti da sardine o altre suggestioni di movimenti, sentono la necessità di “battere cassa”: presentare con umiltà, ma con ammirevole orgoglio, un’istanza di attenzione da parte di chi si propone di rappresentare il popolo e lavorare per il bene comune. Diversamente, l’astensione risulta la risposta più ovvia da offrire all’attuale classe politica.
E anche sull’astensionismo ci sarà molto da discutere e non ci sembra che la mancata partecipazione di circa 350mila calabresi iscritti all’Aire (l’anagrafe degli italiani all’estero) cambi la sostanza della scarsa partecipazione. Mentre per il voto nazionale è prevista la votazione all’estero, per le regionali questa opzione non è attiva: cosa aspetta il Parlamento italiano a parificare le condizioni per tutti gli elettori? I 350 mila “assenti” avrebbero votato? Nessuno può dirlo, ma sicuramente una sostanziosa partecipazione (i nostri emigrati sono più sensibili sul piano politico?) ci sarebbe potuta essere.
Del resto, aggiungere un 18% virtuale di “assenti” e non astenuti al conteggio dei votanti (44% circa) non modifica il risultato finale. Hanno votato circa 800 mila calabresi, pochi, comunque la si guardi, pensando proprio alla voglia di riscatto che parte dal Sud e, in modo specifico, dalla Calabria. Perché vanno così pochi a votare? Secondo l’antropologo Vito Teti è un problema di “disperanza” (vedi articolo di Calabria.Live): «È un sentimento misto di dolore e amore, di indignazione e speranza, che dovrà portarci a resistere, a immaginare il futuro, a renderci partecipi nella vita civile di ogni giorno, a prenderci cura, anche singolarmente, di luoghi, piccoli paesi, persone, ultimi, fragili, anziani. anche tallonando chi fa politica, anche criticandone aspramente l’operato, in maniera libera, ognuno di noi può fare qualcosa, può dare esempio di buone pratiche, può compiere gesti di fiducia e di speranza per cambiare le cose, per liberare la Calabria da una sorta di maledizione alla quale noi stessi non dobbiamo credere. Apatia, indifferenza, qualunquismo, populismo, paternalismo – dice Teti – non fanno bene alla Calabria. La nostra terra ha bisogno di garbo, di delicatezza, di parole dolci, ma anche di essere protetta da chi la devasta. Quello che sarà la Calabria è quello che noi sapremo, vorremo, riusciremo ad essere. Non mi pare che si sia in pochi e ci sono giovani, ragazze, professionisti, cittadini silenziosi, associazioni, gruppi dal basso che indicano altre strade possibili. la politica non si traduce e non finisce con una tornata elettorale».
Ieri, la neo-presidente Jole Santelli è tornata a Montecitorio, dove formalizzerà in questi giorni le sue dimissioni. Non avrà tempo di rimpiangere gli scranni della Camera, la sua agenda è già fittissima e ancora non si è nemmeno insediata. Un applauso l’ha accolta all’ingresso in aula: che sia di buon auspicio, sarebbe magnifico se la nuova consiliatura, la prima a marca femminile, imprimesse quella svolta cui non far mancare gli applausi. E ci facesse scoprire che, trasversalmente, maggioranza e opposizione possono (e devono) anche dialogare per un comune obiettivo, quello di far tornare un po’ di speranza di futuro ai calabresi. (s)