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Buon Natale a chi è tornato, a chi rimane, a chi ripartirà

di Santo Strati

Il Natale, nelle regioni meridionali, ma soprattutto in Calabria, è la festa del ritorno: è l’occasione (o il pretesto) per tornare alla casa delle origini, per ritrovare genitori, parenti, familiari. È, però, un ritorno a tempo determinato: passate le feste, salutati parenti e amici, si torna nella “propria” città che non sta in Calabria. Portando giusto qualche prelibatezza fatta in casa (le tipicità e le squisitezze alimentari della regione, grazie al cielo, si trovano ormai dappertutto) e un piccolo magone nel pensare che, forse, sarebbe bello, magnifico, poter lavorare per la terra che li ha visti nascere.

È un nostos diverso da quello che si realizza d’estate, per le vacanze. Si sceglie il mare, la collina, la montagna n Calabria e – se si può – si dedica qualche giorno a far visita a parenti e amici. A Natale no: la festa della famiglia accentua il senso di appartenenza, quella calabresità che rappresenta l’innato desiderio di ricongiungersi alla propria terra – madre ingrata – e fa avvertire un sentimento ineguagliabile di malinconia. I calabresi, al contrario di tanti altri “emigrati” portano la Calabria nel cuore, anche quando diventano importanti, ricchi e famosi e non solo quando l’esistenza continua tra mille difficoltà: sta nel loro, nel nostro, dna che in tanti ci invidiano. Non a caso, ovunque si vada c’è sempre un calabrese, molto spesso in posti chiave che ha saputo conquistare con fatica, lavoro e passione. Perché per i calabresi la sfida è doppia: quanta diffidenza da superare, quante mortificazioni e rinunce, prima di farsi apprezzare. È il riscatto di chi crede nel lavoro, nell’onestà, nell’impegno personale, e deve lottare contro i pregiudizi e le facili etichette di mafiosità. C’è la ‘ndrangheta e sono in tantissimi a combatterla: quello calabrese è un popolo fiero, che non ama la sopraffazione e la violenza, ma non sempre ha trovato uno Stato presente nella sua lotta quotidiana al malaffare e alle consorterie di mafia.

La Calabria ha una lunga storia di emigrazione, ma non ci sono più le valigie di cartone né i bastimenti di inizio secolo, quando le Americhe (o i Paesi d’Europa) erano l’unico sbocco possibile per un futuro migliore. Oggi, però, l’emigrazione calabrese è soprattutto intellettuale: migliaia di giovani, risorse essenziali per una regione che vuole crescere, vanno altrove per vedersi riconosciute capacità e competenze. Le statistiche dicono che solo negli ultimi cinque anni se ne sono andati oltre 180mila (oltre la metà laureati): giovani cui è stato negato il futuro nella propria terra, cui non è stata offerta la pur minima opportunità di occupazione e lavoro, anche in presenza di competenze e capacità.

È questa la colpa maggiore di chi ha governato la Calabria, sin dalla nascita delle Regioni: non aver programmato (né tanto meno pianificato) il futuro delle giovani generazioni. Sono nate le Università, a Cosenza, a Reggio, a Catanzaro, sono venuti fuori centri di eccellenza per la ricerca e la formazione, ma i nostri giovani con le loro capacità vanno ad arricchire altre città, altre regioni, altri Paesi. Per questo sono emerse tante eccellenze tra i calabresi emigrati nel mondo negli ultimi 50 anni. Primeggiano, i calabresi, nelle istituzioni, nella scienza, nelle professioni. La Calabria è una fabbrica di eccellenze, peccato che poi le regali agli altri.

In tutti i campi, soprattutto in quello scientifico il giovane calabrese deve preparare la valigia (spesso spalleggiato da genitori con la lacrima nascosta) ma non per Erasmus o una (giusta) esperienza all’estero bensì per trovare una nuova casa, formare una famiglia, mettere a frutto le proprie competenze, lontano da casa. Ecco perché poi tornano a Natale, per un abbraccio fugace alla terra che li ha respinti, per una carezza di mamma o papà che – credeteci – manca, anche quando la vita diventa un’altra, nel caso di una metropoli, in una piccola città o in futuribili centri tecnologici di altissimo livello.

Così, questo Buon Natale può suonare come mezza beffa: il nostos finisce troppo presto. Non dura. Buon Natale, dunque, a chi è tornato e ripartirà, ma soprattutto a chi rimane pensando ostinatamente a un sogno di lavoro, crescita e sviluppo. Irrealizzabile? No, questa terra può cambiare. Cambiamo gli uomini, cambiamo le teste – se occorre – ma chiediamo prima di ogni cosa opportunità per i giovani della Calabria. (s)

(Nell’immagine di copertina il presepe di sabbia di Stalettì, Catanzaro)