A Reggio l’incontro “I Cattolici e la Politica vista da Papa Leone XIV”

Si terrà domani, a Reggio, alle 16.30, nell’Aula Magna del Seminario Arcivescovile Pio XI, l’incontro “I Cattolici e la Politica vista da Papa Leone XIV” che il Serra Club di Reggio Calabria ha scelto per inaugurare l’Anno Sociale 2025/26.

Relaziona monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano all’Ionio, Vice Presidente della CEI per Italia Meridionale.

Seguiranno interventi del giornalista e scrittore Mimmo Nunnari, autore del  saggio “Democristiani” (Pellegrini editore), del presidente dell’Hospice di Reggio Calabria Vincenzo Nociti e del presidente Fondazione Magna Grecia, Nino Foti, già deputato al Parlamento Italiano. L’incontro sarà introdotto dalla professoressa Anna Nucera, Presidente del Serra Club Reggio Calabria e dal dottor Roberto Tristano, Governatore del Serra Club – Distretto n° 77 Sicilia – Calabria. Sulla scia dell’esortazione apostolica “Dilexi Te”, di Papa Leone XIV, che sollecita i cattolici impegnati nel sociale e in politica a considerare la loro azione non come una professione ma come una missione di verità e  servizio si discuterà su come rispondere alla sfide moderne dell’IA e al declino dell’etica e della morale ispirandosi a figure del passato simbolo di coerenza e libertà di coscienza come Papa Leone XIII, autore dell’enciclica Rerum Novarum, che pose le basi per affrontare i temi sociali nella loro interezza e complessità, don Luigi Sturzo, sacerdote di Caltagirone che organizzò i Cattolici nel PPI e Alcide De Gasperi, fondatore della Democrazia Cristiana, che ha guidato l’Italia nella ricostruzione post-seconda guerra mondiale.  (rrc)

L’OPINIONE / Rosi Caligiuri: Contrastare la violenza maschile sulle donne: basta facciate, servono scelte di governo

di ROSI CALIGIURI – La violenza contro le donne non è un insieme di episodi isolati: è un fenomeno sistemico, radicato in una cultura patriarcale che questo governo non solo non contrasta, ma in molti casi appoggia apertamente. È il prodotto di un ordine sociale preciso, che assegna agli uomini il potere e alle donne la subordinazione.
È dentro questa cornice che vanno lette le scelte politiche che hanno segnato questi anni. I tagli ai centri antiviolenza, la precarizzazione dei servizi, l’assenza di investimenti strutturali sul sostegno alle donne e la cancellazione di ogni percorso di prevenzione sono responsabilità politiche chiare. Se la legge sul consenso è stata finalmente approvata, passo fondamentale, risulta ancora insufficiente in un Paese che continua a considerare il corpo delle donne un terreno di contesa culturale e politica.
Negli ultimi anni il governo di Giorgia Meloni ha radicalmente ridotto le risorse per la prevenzione della violenza di genere. Secondo ActionAid, i fondi per la prevenzione sono calati da oltre 17 milioni nel 2022 a circa 5 milioni nel 2023. Queste risorse sono vitali: finanziano campagne di sensibilizzazione, progetti territoriali, e soprattutto il lavoro dei Centri antiviolenza (CAV). I CAV non sono un lusso: sono presidi essenziali che ogni giorno accolgono donne in crisi, offrendo protezione, ascolto e percorsi di autonomia. Ridurre questi fondi significa rendere ancora più fragile l’unica rete capace di intervenire davvero quando una donna chiede aiuto.
Mentre i dati ci dicono che solo il 12,2% delle violenze da partner viene denunciato e che solo il 15,7% delle donne che chiamano il 1522 riesce poi davvero ad arrivare a una denuncia, il governo Meloni continua a raccontare una realtà parallela fatta di slogan, non di soluzioni. Arriviamo persino a sentire Roccella dire che “ogni donna che non viene uccisa è un fatto positivo”. Come se la sopravvivenza fosse un merito. Come se per valutare l’efficacia delle politiche pubbliche dovessimo accontentarci del fatto che “non tutte” vengano ammazzate.
La stessa ministra, insieme al ministro Nordio, ha sostenuto che l’educazione sessuo-affettiva non servirebbe e che la parità sarebbe ostacolata addirittura dal “codice genetico maschile”. Parole gravissime, che mostrano un governo ideologicamente contrario alle uniche misure davvero efficaci per prevenire la violenza: educazione, cultura, consapevolezza, redistribuzione del potere.
A tutto questo si aggiunge un Paese che continua a ostacolare la libertà economica delle donne. L’Italia ha uno dei tassi occupazionali femminili più bassi d’Europa, molto distanti dalla media UE. Senza lavoro, senza autonomia economica, senza welfare: ecco perché molte donne non possono uscire dalla violenza. Non perché “non vogliono”, ma perché lo Stato non offre loro gli strumenti per farlo.
Un focus necessario: la condizione delle donne nel Mezzogiorno e in Calabria
L’assenza di politiche serie nel Mezzogiorno amplificano il fenomeno e le diseguaglianze già presenti nel meridione. La disoccupazione femminile è più alta della media nazionale, i servizi sono più fragili, il welfare praticamente inesistente. La Calabria è tra le regioni con il più basso tasso di occupazione femminile d’Europa: questo significa più dipendenza economica, meno possibilità di fuga, più vulnerabilità.
Sotto la guida di Roberto Occhiuto, i CAV in Calabria restano fragili e distribuiti a macchia di leopardo, lasciando vaste aree del territorio senza presìdi stabili. Le risorse sono insufficienti, tardive e frammentate, incapaci di garantire continuità operativa e personale qualificato. A fronte di annunci e iniziative di facciata, la rete regionale rimane debole e diseguale e in molti territori.
In una regione dove le donne hanno meno lavoro, meno servizi e meno strumenti, questa gestione non è solo inadeguata: è politicamente irresponsabile. Se vogliamo davvero proteggere le donne calabresi, la giunta Occhiuto deve passare dai proclami ai fatti, investendo in modo strutturale e pluriennale nella rete dei CAV e delle case rifugio, superando i fondi una tantum e garantendo coperture stabili. E deve rafforzare seriamente il reddito di libertà, oggi incapace di rispondere alla mole reale delle richieste.
Abbiamo bisogno di un welfare che esista davvero: nidi, congedi equi, servizi territoriali, educazione sessuo-affettiva nelle scuole, formazione, prevenzione, parità salariale e una rete istituzionale che riconosca la natura sistemica della violenza.
Perché non è la retorica che salva le vite: sono le scelte politiche. E queste, finora, il governo nazionale e quello regionale non le ha fatte.
La Presidente del Consiglio ama ripetere che “le donne devono credere nello Stato”. Ma è lo Stato che, sotto il suo governo, ha smesso di credere nelle donne. Ha smesso di finanziarle, di proteggerle, di ascoltarle. Ha scelto l’ideologia al posto dei diritti. Non abbiamo bisogno di una corsa: vogliamo un Presidente del Consiglio femminista, che metta le donne e i loro diritti al centro delle scelte politiche. (rc)
(Segretaria PD Cosenza e delegata nazionale Democratiche)

I Calabresi di Roma ospitano l’Ambasciatrice di Palestina Mona Abuara

di PINO NANO – Venerdì sera, in Campidoglio a Roma, lAssociazione dei Calabresi Capitolini, guidata dallavvocato Luigi Salvati e dal critico darte Rosario Sprovieri, ha ospitato insieme a Inchiostro, Comitato Nazionale per la buona lettura”, una manifestazione sulla pace dedicata ad uno dei più famosi poeti di lingua araba della storia moderna, lo scrittore e giornalista palestinese Mahmoud Darwish , scrittore palestinese che ha raccontato lorrore della guerra, delloppressione, e poi dellesilio.

Nel corso della serata, davvero bellissima, sono state riproposte e lette alcune delle sue poesie più famose dedicate alla libertà del popolo palestinese e di denuncia aperta contro ogni forma di violenza e di oppressione.

Il momento clou della cerimonia è stato lintervento ufficiale dellAmbasciatrice della Palestina a Roma, Mona Abuara, che ha aperto il suo saluto con un grazie per niente formale agli amici calabresi e romani che l’hanno invitata, accomunando la solitudine dei Sud del mondo, e quindi anche della Calabria, alla solitudine del suo popolo.

«Non potevate scegliere tema più bello di questo – ha detto più volte lambasciatrice Abuara – perché la storia di Mahmoud Darwish  è la storia di tutti noi che siamo nati in Palestina e che per tutta la vita abbiamo sognato di poter avere una terra tutta nostra dove vivere e dove crescere in pace i nostri figli, è la coscienza della Palestina, il narratore delle sue ferite, dei suoi sogni e della sua volontà indomabile».

Chi si aspettava dalla diplomatica palestinese un discorso di attacco, o peggio ancora un discorso politico, sarà anche rimasto profondamente deluso. Tanta dolcezza cera nei ricordi della sua infanzia in Palestina, e tanta malinconia per le atrocità di una guerra senza fine e, che comunque, questa giovane e brillante diplomatica di professione ha raccontato con un garbo istituzionale fuori dal comune e con un rispetto verso se stessa e la sua storia personale, che fanno di lei oggi una delle osservatrici palestinesi più attente e più seguite dellarea europea. Una donna raffinatissima, poliglotta e, soprattutto, profondamente innamorata della sua terra «che il poeta Mahmoud Darwisch – ricorda a tutti noi Moma Abuara – paragonava alla sua donna amata, tanto grande era il suo amore per la patria».

«Nelle sue poesie Darwisch ricostruì al-Birwa, il suo paese natale pietra dopo pietra, ulivo dopo ulivo. Ridiede vita a un villaggio che il mondo voleva dimenticare. Trasformò il silenzio imposto ai palestinesi in una tempesta poetica impossibile da ignorare».

Forte e determinato lappello finale dellambasciatrice agli amici calabresi presenti in sala, tanti, e agli ospiti di Roma Capitale, che è «un appello alla pace reale, e alla costruzione di confini entro i quali si possa finalmente costruire il futuro di un popolo che da 70 anni è alla ricerca di sé stesso».

È stato poi il giornalista Rosario Sprovieri a consegnarle, a nome dei Calabresi di Roma, un mazzo di fiori e un biglietto con su scritto Ora laspettiamo in Calabria per farle vedere quanto è bella e suggestiva anche la nostra terra del cuore” e chiedendo ufficialmente ad Hatem Abed-Sabra, interprete della Comunità Palestinese in Italia, di recitare in onore della terra di Palestina una delle poesie più significative di Mahmoud Darwisch, «ma questa volta in lingua araba in onore della terra di Palestina». Così è andata.

Oltre l’ultimo cielo-Omaggio e controcanto a Mahmoud Darwish”, questo il tema centrale della serata in Campidoglio, ha visto poi gli interventi di vari protagonisti della vita culturale romana e italiana: Dario Nanni, Presidente della Commissione Giubileo di Roma Capitale; Elisa Zumpano, del Direttivo Inchiostro; Rosario Sprovieri, storico direttore del Teatro dei Dioscuri al Quirinale; Paolo Canettieri, professore universitario e famoso Filologo alla Sapienza di Roma; lo scrittore Pier Paolo Di Mino, il poeta Marco Giovenale, e il giornalista Filippo Golia, testimone diretto e oculare di una delle stagioni forse più cruente della vita palestinese. Una serata intensa come poche altre- ripete Dario Nanni che è nei fatti il padrone di casa in Campidoglio «e che spero possa ripetersi in altre forme e in altre occasioni» Insomma, Calabria forever.

A Gioia Tauro al via il progetto per insegnare la lingua araba aperto anche agli italiani

È avviato, a Gioia Tauro, il progetto per l’insegnamento della lingua araba rivolto non solo ai cittadini di origine marocchina o straniera, ma aperto anche agli italiani. Ciò è stato possibile grazie a una significativa e sinergica collaborazione istituzionale tra il Comune di Gioia Tauro, nella persona della sindaca Simona Scarcella, il Console Onorario del Regno del Marocco in Calabria, Domenico Naccari, il dirigente scolastico, Domenico Pirrotta dell’Istituto Comprensivo “F. Pentimalli – Paolo VI Campanella”, la direttrice dei Servizi Generali e Amministrativi Katia Pugliese, il Presidente della Comunità Islamica di Gioia Tauro, Omar Babbah, il Tesoriere della Comunità, Assad Abdellatif, e l’avv. Giuseppe Saletta, Consulente del Consolato Onorario del Marocco in Calabria.

L’iniziativa rappresenta un importante passo avanti nella costruzione di una città sempre più inclusiva, moderna e capace di favorire il dialogo interculturale, con particolare attenzione alle nuove generazioni. Lo studio della lingua araba – oggi tra le più diffuse al mondo – costituisce un valore aggiunto sia sul piano culturale che su quello educativo e professionale.

«L’integrazione vera passa attraverso la conoscenza reciproca. Offrire a tutti, anche ai cittadini italiani, la possibilità di studiare la lingua araba significa investire in una città più aperta, più colta e più consapevole del proprio ruolo nel Mediterraneo. È un passo che conferma la vocazione internazionale di Gioia Tauro», ha detto la sindaca Scarcella.

«Questa iniziativa rappresenta un ponte culturale tra le nostre comunità. La lingua è il primo strumento di dialogo, comprensione e crescita. Ringrazio la Sindaca, la scuola e la Comunità islamica per una collaborazione che dimostra quanto Gioia Tauro sia oggi un modello di convivenza e cooperazione nel cuore del Mediterraneo», ha sottolineato il Console Naccari.

L’apertura del Consolato Onorario del Regno del Marocco in Calabria a Gioia Tauro ha rafforzato il ruolo della città come polo internazionale. Con questo nuovo percorso formativo, Gioia Tauro conferma la propria vocazione all’incontro tra popoli, culture e religioni diverse, promuovendo integrazione, conoscenza e sviluppo civile.

L’Amministrazione comunale, il Consolato Onorario, la scuola e la Comunità islamica continueranno a lavorare insieme per favorire iniziative educative e culturali capaci di costruire una società più coesa e dialogante. (rrc)

L’OPINIONE / Giusi Princi: Nessuna esclusione del Sud da Piano Europeo per AV

di GIUSI PRINCI – La notizia secondo la quale il Sud sarebbe fuori dal piano europeo per l’Alta Velocità è falsa e rischia di alimentare un inutile allarmismo fondato su interpretazioni superficiali di materiali divulgativi.

È necessario ribadire che la Calabria è parte integrante della rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) e del Corridoio Scandinavo–Mediterraneo, l’asse strategico che collega l’Europa settentrionale alla Sicilia attraversando l’Italia. L’infografica circolata in questi giorni è una rappresentazione schematica dei collegamenti tra le sole capitali europee e non riflette in modo puntuale la struttura complessiva della rete o le sue diramazioni territoriali. Diversa è, invece, la figura tecnica, parimenti allegata ai documenti ufficiali della Commissione, che mostra con precisione l’intera rete, comprese le tratte meridionali e le dorsali tirrenica e adriatica. In tale rappresentazione, la Calabria risulta chiaramente inserita nei corridoi dell’alta velocità.

La Commissione, inoltre, nel suo documento, definisce il completamento progressivo della rete ad alta velocità entro il 2040, comprendendo anche i tratti meridionali. La Calabria, situata nel tratto terminale del corridoio mediterraneo, rappresenta di fatto un segmento indispensabile per l’intera rete: come lo stesso testo della Commissione esplicitamente riconosce, ogni tratto incompleto o non adeguato comprometterebbe l’efficienza del sistema nel suo complesso. Ne consegue, dunque, la necessità di completare e potenziare anche le tratte calabresi, che sono al centro del piano.

La Commissione europea ha incoraggiato gli Stati membri a utilizzare la Politica di Coesione per sostenere lo sviluppo dell’alta velocità ferroviaria nei loro territori.

La Calabria, in quanto regione destinataria dei fondi della Politica di Coesione, beneficia di tali risorse per l’ammodernamento della linea tirrenica e per il miglioramento dei collegamenti con la dorsale adriatica e la Sicilia, in linea con la strategia europea di riequilibrio territoriale.

Il piano della Commissione attribuisce, inoltre, alla rete TEN-T anche un valore logistico e strategico, comprendendo il trasporto merci e la mobilità militare. In questo contesto la posizione della Calabria, porta d’accesso naturale al Mediterraneo, conferma la centralità della regione in quanto nodo strategico per la mobilità civile, militare e per il traffico delle merci, di cui il porto di Gioia Tauro rappresenta uno snodo chiave.

Auspico, quindi, un dibattito basato su dati tecnici e non su rappresentazioni semplificate o strumentali. Il Sud Italia, e la Calabria in particolare, non sono affatto marginali: sono parte integrante e strategica della mobilità europea. (gp)

(Europarlamentare)

Rigenerazione urbana, la Calabria protagonista di un nuovo modello europeo di sviluppo sostenibile

Non possiamo più permetterci città che consumano spazio, ma dobbiamo costruire città che generano vita. In Calabria questa sfida ha un significato profondo: rigenerare significa restituire dignità agli spazi, creare nuove opportunità per le persone, attrarre giovani, energie e imprese. E significa anche rafforzare una filiera delle costruzioni moderna, sostenibile e capace di coniugare bellezza, tecnologia e partecipazione». È quanto ha detto il presidente di Ance Calabria, Roberto Rugna, nel corso del seminario “Rigenerazione urbana come motore di sviluppo economico e coesione sociale”, promosso da Ance  Calabria con il patrocinio della Regione e il contributo scientifico di ABITAlab, laboratorio di ricerca del Dipartimento di Architettura e Design (dAeD) dellUniversità Mediterranea.

Rugna ha, inoltre, evidenziato la necessità di una visione unitaria e di norme certe:

«Il disegno di legge nazionale sulla rigenerazione urbana rappresenta unoccasione che non possiamo perdere. Serve un quadro normativo organico, che coordini Pnrr, fondi regionali e programmi europei, garantendo tempi certi e una governance trasparente e coerente. Solo così potremo passare dai progetti pilota alle politiche permanenti. E, in questo percorso, il social housing è una chiave strategica: dare casa non significa soltanto costruire edifici, ma costruire comunità».

La rigenerazione urbana, infatti, non può essere intesa come una semplice operazione edilizia, ma come un processo complesso che rimette al centro la persona, la qualità dellabitare e la coesione delle comunità, in una visione che integri crescita economica, sostenibilità ambientale e diritti sociali. È su questi temi che rappresentanti istituzionali, accademici, imprese e professionisti si sono confrontati nel corso dell’iniziativa 23ª European Week of Regions and Cities – #EURegionsWeek 2025, approdata per la prima volta in Calabria grazie allimpegno di Ance Calabria, della Regione Calabria e dellUniversità Mediterranea di Reggio Calabria.

Ad aprire i lavori è stato Michele Laganà, presidente di ANCE Reggio Calabria, che ha richiamato la responsabilità collettiva nella costruzione del futuro:

«Plasmare il domani insieme – ha detto – significa dare forma a una visione comune in cui cittadini, imprese e istituzioni siano parte di un progetto condiviso. Rigenerare non è solo ristrutturare o edificare, ma restituire senso ai luoghi e ricucire relazioni, funzioni e identità».

Nel suo intervento, leurodeputata Giusi Princi ha sottolineato come liniziativa calabrese si inserisca pienamente nel percorso europeo di coesione e sostenibilità:

«Questo evento rappresenta un modello concreto di governance multilivello, quella stessa che lEuropa promuove nel nuovo Quadro Finanziario Pluriennale. La Calabria si sta muovendo nella giusta direzione, costruendo sinergie tra università, mondo produttivo e istituzioni regionali. È così che si fa politica di coesione: ascoltando i territori e trasformando i bisogni in azioni».

Princi ha poi rimarcato il valore del diritto alla casa come principio cardine delle nuove politiche europee:

«Laccessibilità abitativa è oggi larchitrave della politica di coesione: lo spazio fisico deve tornare a essere anche spazio sociale, un luogo dove si costruiscono comunità e si pratica la giustizia sociale. In Europa abbiamo previsto la possibilità di destinare fino al 15% delle risorse alle politiche sociali e alledilizia residenziale pubblica. Solo riconoscendo la casa come diritto universale potremo parlare di una vera rigenerazione urbana».

Il prorettore alla Ricerca dellUniversità MediterraneaMassimo Lauria, ha posto laccento sul ruolo della conoscenza e della partecipazione:

«La nostra università si riconosce nel modello di civic university, unistituzione che non si limita a produrre sapere, ma che costruisce relazioni con la società e mette la ricerca al servizio delle persone. La speranza progettuale è un valore collettivo, che si alimenta solo se impariamo a guardare al futuro con fiducia e corresponsabilità».

Ampio spazio è stato dedicato al contributo della professoressa Consuelo Nava, direttrice del Dipartimento di Architettura e Design e responsabile scientifica di ABITAlab, che ha illustrato i risultati della Strategia ReKAP, sviluppata in collaborazione con ANCE Calabria e le sezioni territoriali di Reggio e Crotone:

«Abbiamo lavorato per costruire un modello calabrese di sostenibilità urbana, basato su conoscenza, innovazione e responsabilità condivisa. Rigenerare significa anche formare persone capaci di prendersi cura del proprio territorio. Il nostro gruppo di giovani ricercatori rappresenta la prova concreta di uneccellenza calabrese che può competere in Europa».

La seconda parte del dibattito, moderata da Michele Laganà, ha visto gli interventi del direttore generale di ANCERomain Bocognani, del dirigente del Dipartimento Programmazione Unitaria della Regione CalabriaFelice Iracà, e del presidente di Unindustria CalabriaAldo Ferrara.

Bocognani ha richiamato la necessità di una visione di lungo periodo:

«Chi non guarda ai prossimi venti o trentanni resta fuori dalle sfide del futuro. Le città del futuro devono essere progettate pensando alla qualità della vita, alla sostenibilità e alla resilienza. La nuova programmazione europea offre loccasione per ridisegnare la politica di coesione, rendendola più flessibile e orientata ai bisogni dei cittadini».

Iracà ha proposto una riflessione innovativa:

«Serve unurbanistica quantica”, capace di adattarsi e di rispondere ai cambiamenti. La sfida è creare strumenti stabili e trasparenti, che rendano attrattivi gli investimenti in edilizia sociale e favoriscano la collaborazione tra pubblico e privato».

Ferrara ha concluso evidenziando il valore della Calabria come laboratorio di sperimentazione:

«La rigenerazione urbana non è solo costruzione di opere, ma costruzione di comunità. In Calabria possiamo e dobbiamo trasformare la complessità del nostro territorio in unoccasione di crescita, diventando un modello nazionale di innovazione, coesione e sostenibilità».

A chiudere i lavori, il presidente Rugna ha ringraziato relatori e partecipanti per il contributo al confronto, sottolineando

«limportanza di continuare a lavorare insieme, in unalleanza stabile tra istituzioni, imprese, università e cittadini, per costruire una Calabria che sappia guardare al futuro con visione e fiducia».

L’OPINIONE / Ernesto Rapani: In Calabria non serve un nuovo aeroporto, ma buon senso

di ERNESTO RAPANI – In Lombardia, regione con dieci milioni di abitanti, ci sono tre aeroporti. In Calabria, con appena un milione e ottocentomila residenti, c’è chi arriva a proporne addirittura quattro. È questo il livello di approssimazione con cui si affrontano i temi dello sviluppo?

La questione non è solo numerica ma di metodo: quando si avanzano proposte che incidono sul futuro di un’intera regione, la prima cosa da fare è studiare. Studiare i flussi, la sostenibilità, le criticità, gli investimenti già in corso. Invece, troppo spesso assistiamo a dichiarazioni che nascono sulla sabbia, senza una visione concreta o un minimo di analisi. È un modo di fare politica che confonde la speranza con la propaganda e promuove divisioni tra territori.

Solo quest’anno l’aeroporto di Crotone ha già movimentato 36166 passeggeri, un segnale importante di crescita e di potenzialità. Un numero che dimostra come lo scalo pitagorico, se sostenuto con infrastrutture adeguate e collegamenti moderni, possa consolidarsi come punto di riferimento per tutta la fascia ionica.

La nuova ondata di discussioni sull’ipotetico aeroporto della Sibaritide non ha alcuna ragione d’essere. Arrivare a dire che si dovrebbe chiudere Crotone per aprire a Sibari è qualcosa che supera ogni logica. Significa non conoscere la geografia, i collegamenti, la storia di questo territorio. Davvero si pensa che un cittadino di Crotone, con l’attuale rete stradale, sceglierebbe di partire da Sibari e non da Lamezia? Costruire un aeroporto a Sibari sarebbe una nuova cattedrale nel deserto. Mentre si parla di questo progetto irrealizzabile, nessuno sembra considerare che a pochi chilometri di distanza si sta lavorando sull’aviosuperficie di Pisticci. Non possiamo permetterci di disperdere risorse e attenzione in iniziative senza futuro. La Calabria ha bisogno di concretezza, non di simboli.

Insisto sul fatto che la politica debba imparare a scegliere, non a moltiplicare promesse. Fare politica non è rincorrere il consenso momentaneo, ma saper dire anche dei no. E oggi il no a un nuovo scalo nella Sibaritide è necessario. L’Enac ha già bocciato quella proposta anni fa, giudicandola fallimentare proprio perché l’esperienza di Crotone è stata difficile. Se uno scalo non riesce ancora a sostenersi, perché dovremmo aprirne un altro?

Prima di avanzare proposte, occorre conoscere a fondo i dati e i vincoli tecnici. Chi parla senza basi rischia solo di creare confusione. Conoscere non significa perdersi nei numeri, ma leggere la realtà e capire i bisogni di chi vive e lavora in questa regione. L’aeroporto non può essere un trofeo elettorale, ma un’infrastruttura utile e sostenibile. Per il senatore, l’attenzione deve essere rivolta alle condizioni che rendono funzionale un aeroporto, non alla quantità degli scali presenti.

Non serve aprire nuovi terminal se non si garantiscono strade e treni adeguati. Non servono piste se i passeggeri non riescono a raggiungerle. Ecco perché bisogna investire su ciò che già esiste, e farlo funzionare.

Bisogna rafforzare lo scalo di Crotone, non abbandonarlo. Aumentare l’utenza, migliorare i collegamenti, creare sinergie con gli altri scali calabresi. È un obiettivo realistico e utile. L’idea è di rendere Crotone produttivo, non di chiuderlo per aprire l’ennesimo progetto destinato al fallimento.

L’aeroporto pitagorico può diventare il riferimento della fascia ionica se messo in rete con infrastrutture moderne. Ma per farlo servono investimenti seri e un impegno condiviso. Non serve inventare nuovi aeroporti, serve far volare quelli che abbiamo.

Lo sviluppo della mobilità aerea non può essere separato da quello ferroviario e stradale. Stiamo lavorando per completare l’elettrificazione della linea che collega l’Alto Ionio a Crotone. È un’opera che consentirà treni più veloci e collegamenti più efficienti. Allo stesso modo, è in corso la realizzazione del primo tratto della statale 106 da Sibari a Coserie. Ora stiamo cercando i finanziamenti per estendere i lavori fino a Crotone. Solo così possiamo rendere lo scalo davvero accessibile e competitivo. L’obiettivo è far decollare Crotone, non creare nuove illusioni. Ogni risorsa pubblica deve essere spesa con criterio. Non si può parlare di sviluppo se non si affronta prima il nodo delle infrastrutture di base. Una regione senza collegamenti rapidi e sicuri non ha futuro, indipendentemente dal numero di aeroporti che possiede. Il potenziamento dell’aeroporto di Crotone  passa anche dai collegamenti. È già allo studio, in via sperimentale, un servizio navetta su gomma tra la stazione di Crotone e lo scalo. Parallelamente, con RFI stiamo lavorando alla riconversione della stazione di Isola Capo Rizzuto da scalo merci a passeggeri, così da consentire in futuro l’arrivo diretto in aeroporto su rotaia. (er)

(Senatore di Fdi)

A Rino Barillari il Premio Armando Curcio per la carriera

di PINO NANO – Rino Barillari oggi viene celebrato e festeggiato qui a Roma dall’Associazione Armando Curcio per via del suo lavoro giornalistico, e soprattutto per il più grande archivio fotografico di cronaca di questo ultimo mezzo secolo e che porta appunto la sua firma.

«Non è stata facile la mia vita – dice –. In più di cinquant’anni di carriera ha subito 162 ricoveri al pronto soccorso, 11 costole rotte, 1 coltellata, 76 macchine fotografiche fracassate, 40 flash divelti e centinaia di manganellate negli anni del terrorismo, soprattutto quando aveva incominciato a seguire anche i vari tumulti di piazza. Chi mi conosce bene sa, insomma, quante liti per strada, quanti incidenti di percorso, quante botte ho ammaccato e quante macchine fotografiche mi abbiano rotto, ma io sono sempre andato avanti, non mi sono fermato mai, e oggi dedico questo Premio a tutti voi, perché siete anche parte della mia vita».

Questo ennesimo Premio alla Carriera conferma che Rino Barillari – oggi lui Consigliere Nazionale della FIGEC – è entrato ormai nel cuore di milioni di persone in ogni parte del mondo senza neanche saperlo, o capirne il vero perché. Una vita da star, una leggenda vivente, un artista visionario, genio e follia, sregolatezza e rigore, sorrisi e tormenti, poesia e tragedia, passato e futuro, un uomo di un fascino debordante e infettivo. A 82 anni compiuti il Re dei paparazzi romani al parterre esclusivo di questo ennesimo Premio alla Carriera racconta sé stesso e la sua vita affascinante in giro per il mondo, sentimentalmente divisa a metà tra Via Veneto a Roma e Via Veneto a Limbadi, il suo paese d’origine in Calabria, dove quando ritorna lo trattano come un divo e un’archistar.

«So che studiano le mie fotografie in ogni parte del mondo – dice sorridendo – e leggo che ho raccontato con le mie immagini 50 anni di storia repubblicana, ma non me ne sono reso conto francamente. Certo mi fa piacere, ma la vita continua».

Le sue foto più famose sono legate all’omicidio Pasolini, al rapimento di Paul Getty Junior, all’attentato a Papa Wojtyla in Piazza San Pietro, all’arresto aberrante, con le manette ai polsi, di Enzo Tortora, alla lunga stagione delle Brigate Rosse, alle tante stragi di mafia che hanno devastato e insanguinato il Sud del Paese.

Il grande Rino Barillari è dunque tutto questo insieme, e molto altro ancora. Se vuoi incontrarlo non hai che da scegliere, ogni sera lo trovi ancora tra Piazza Navona, Campo dei Fiori, San Lorenzo, Via Veneto, e la domenica mattina all’Angelus del Papa in Vaticano «perché tra la folla – sorride – c’è sempre un personaggio importante o famoso da riprendere». 

Guascone e poeta insieme. Rino lo è in tutti i sensi. 82 anni meravigliosamente ben portati. Arrogante, ma solo apparentemente, con questo suo sorriso invece eternamente pronto a rendergli giustizia, accattivante nei modi, ammaliante e avvolgente sempre e comunque. 

«Vogliamo esprimerle – si legge nella motivazione ufficiale del Premio Curcio a Rino Barillari – le nostre più sincere congratulazioni e la nostra ammirazione per questo significativo traguardo, aggiuntivo rispetto ai tanti da Lei già raggiunti».

Il Premio Armando Curcio per la Carriera è ormai arrivato alla XIX edizione, Premio – vi ricordo – fondato dall’editore, giornalista, scrittore, commediografo, Armando Curcio, ha ottenuto un importante encomio da parte della Presidenza della Repubblica e da parte del Senato, ha raccolto inoltre il patrocinio del MUR (Ministero dell’Università e della Ricerca) dell’ANP (Associazione dirigenti ed alte professionalità della scuola), dell’A.GE (Associazione genitori per la scuola). Del Premio Armando Curcio, sono stati insignite tante donne e uomini del mondo del giornalismo, della cultura, delle imprese, della scuola, del cinema, del teatro; tra i tanti Maurizio Costanzo, Rita Levi Montalcini, Piero Angela, Arrigo Petacco, Mariangela Melato, Emanuele Severino e tante altre eccellenze che, nell’arco della propria carriera, si sono attivate per promuovere, con le loro iniziative, la crescita culturale delle giovani generazioni. (pn)

L’intervista di Calabria.Live al Presidente Roberto Occhiuto

di SANTO STRATI – Buongiorno Presidente.

– È stata una campagna elettorale brevissima, ma intensa. Aspra e feroce, con frequente mancanza di fair play da entrambi le parti. Se dovesse dare una valutazione, spassionata, sul suo impegno – obiettivamente notevole – in questa campagna elettorale che voto si darebbe? Può spiegare, a elezioni vinte, qual è stata – a suo avviso – la strategia vincente?

«Sono un perfezionista, e non mi accontento mai. Quindi mi do 8. È stata una campagna elettorale dura, purtroppo anche cattiva. Io l’ho condotta con grande serietà, raccontando ai calabresi tutto ciò che ho fatto in questi quattro anni e spiegando loro come avrei voluto continuare a cambiare la Regione. Penso sia stata premiata la mia concretezza, la mia autorevolezza, il fatto che i cittadini hanno potuto vedere quanto realizzato dandomi dunque fiducia per i prossimi cinque anni. Non ho fatto promesse roboanti, ho avanzato proposte sostenibili e nelle quali credo».

– Quali ritiene siano state le cose della campagna elettorale che oggi non rifarebbe? Può, comunque darne una spiegazione? Ha teso la mano al suo avversario Tridico, che molto elegantemente le ha fatto i complimenti non appena si è visto come la sua vittoria era ormai scontata. Probabilmente, il prof. Tridico tornerà a Bruxelles. Pensa davvero di poter davvero costruire una collaborazione trasversale con lui?

«Come le dicevo sono un perfezionista. Dunque, rifarei tutto, migliorandolo. Tutti coloro che vogliono collaborare per il bene della Calabria troveranno sempre porte aperte. Spero, in questa legislatura, di avere un’opposizione più stimolante e collaborativa. Negli scorsi quatto anni, tranne qualche rara eccezione, la sinistra non ha mai partecipato attivamente alla vita politica regionale: tanti attacchi politici, nessuna proposta concreta».

– Come valuta il lavoro della stampa in questa campagna elettorale? Da politico navigato è certamente in grado di esprimere un giudizio non affrettato o di maniera. Com’è cambiata la comunicazione politica su stampa, radio e tv da quando lei è entrato in politica? Che giudizio dà sui social, spesso sguaiati e dispensatori seriali di fake news e falsità, pur immediatamente riconoscibili come tali?

«Soprattutto nella fase precedente alla presentazione delle liste abbiamo avuto, contro il sottoscritto, una campagna mediatica e di odio senza precedenti. Per settimane alcuni media hanno inventato di tutto pur di tentare di indebolirmi. Fake news, attacchi, falsità che purtroppo hanno coinvolto anche i miei figli. Qualcuno si è inventato anche un genere letterario, le ‘voci’. Voci che dicevano questo, voci che dicevano quello. Quelle voci sono rimaste voci, chissà se mai esistite, certamente mai verificate, e chi sentiva le voci avrà dovuto fare una scorta di limoni e bicarbonato».

– Quali sono – secondo lei –  i punti del suo programma che hanno convinto i calabresi a ridarle fiducia? O ritiene sia prevalsa soltanto la fiducia conquistata in quattro anni di governo regionale?

«Come le dicevo prima, i calabresi hanno potuto sperimentare in questi quattro anni la mia concretezza. Se dico una cosa, poi la faccio. Altri promettevano migliaia di assunzioni e reddito di cittadinanza per tutti. Io raccontavo i risultati raggiunti nel corso della prima legislatura e lanciavo proposte mirate e precise. È stata premiata la serietà e la visione».

– I primi cento giorni sono, per ogni presidente, un momento importante per indicare il percorso che si intende seguire. Quali sono le sue priorità e quali interventi ha in mente di attuare da subito?

«Una delle prime cose che farò sarà il ‘reddito di merito’. Come ho raccontato in campagna elettorale, la migrazione nella nostra Regione inizia spesso all’Università. Chi va a studiare fuori difficilmente poi torna in Calabria. Eppure abbiamo Atenei straordinari, che il Censis inserisce tra i migliori d’Italia. Dunque voglio dare un incentivo, legato al merito, ai ragazzi calabresi che scelgono le nostre Università: 500 euro al mese a chi sarà in corso con gli esami previsti e avrà almeno la media del 27».

– La sanità è il “lato oscuro” della regione: quale strategia potrebbe trasformare – a suo avviso – quell’ “è” in “era”? Alcune sue scelte molto criticate (tipo il reclutamento dei medici cubani) sono state poi adottate anche da altri governatori…

«Il prossimo obiettivo sarà quello di liberarci dalle camicie di forza del commissariamento prima e del piano di rientro dopo. Subito dopo, tornando dopo 15 anni nel pieno governo della sanità, saremo finalmente nelle condizioni di poter riformare radicalmente il sistema sanitario regionale. Il nostro piano prevede l’accorpamento di tutti gli ospedali provinciali (sia Spoke che Hub) sotto uniche Aziende ospedaliere provinciali, con le Aziende sanitarie provinciali che invece saranno specializzate esclusivamente sull’assistenza territoriale (gestione e organizzazione delle case di comunità e degli ospedali di comunità, delle Aggregazioni funzionali territoriali, dei medici di medicina generale, delle guardie mediche, degli ambulatori, degli erogatori convenzionati di prestazioni sanitarie). Con questa grande riforma avremo un’immediata ottimizzazione organizzativa, nella gestione delle risorse, del personale, dei posti letto».

– Ha in mente un piano di incentivazioni per far tornare i medici calabresi in Calabria? Negli ospedali del Nord o di Roma, solo per fare un esempio, la lingua più parlata è il dialetto calabrese (quello dei medici e quello dei pazienti che vanno lì a farsi curare). E lo stesso vale per gli infermieri e i tecnici di laboratorio: molti hanno le famiglie al Sud e tornerebbero di corsa. È solo un problema di soldi?

«Se in anni complessi siamo già riusciti a realizzare riforme profonde e migliaia di nuove assunzioni, con l’uscita dal commissariamento la Calabria sarà pronta a varare un vero e proprio maxi-piano di reclutamento di medici e infermieri, per dare ancora più forza e futuro alla nostra sanità. Già nel 2026 potremo assumere circa 1.300 unità di personale di cui circa 350 medici, 375 infermieri, 181 operatori sociosanitari e il restante negli altri ruoli.

Avremo, inoltre, un piano strategico per reclutare nuovi medici, attraverso speciali incentivi economici che utilizzeremo per attrarre camici bianchi in servizio o pensionati che vogliono venire a risiedere e a lavorare in Calabria».

– La Calabria le ha ampiamente confermato la fiducia che già le aveva concesso nel 2021. Dopo quell’elezione su “Calabria.Live” abbiamo scritto che aspirava a diventare il Presidente dei calabresi e non della Calabria. A che punto ritiene di essere, oggi, in questo ammirevole proposito? È stato il presidente di tutti i calabresi o di una parte? E in questo caso cosa ha impedito la realizzazione di progetti che avrebbero trasformato il territorio? Fermo restando che ha davanti a sé cinque anni per portare a termine la sua visione…

«Mi sono sempre comportato come il presidente di tutti i calabresi, e continuerò a farlo. Come ho detto subito dopo la vittoria, dopo una campagna elettorale dai toni spesso feroci, adesso la Regione ha bisogno di una fase di pacificazione. Spero di avere un’opposizione incalzante, ma consapevole della reciproca necessità di abbassare i toni, per il bene della Calabria e dei calabresi”.

– Il capitale umano di cui dispone la Calabria è immenso e potrebbe davvero cambiare il volto di questa terra. Lei ha introdotto una narrazione diversa – bisogna dargliene atto – indicando una Calabria positiva che utilizza i suoi giovani e le sue donne per costruire il futuro delle nuove generazioni. Ma intanto ancora troppi cervelli sono costretti a fare la valigia, sapendo che hanno quasi sempre un biglietto di sola andata. Come pensa di fermare quest’esodo che si traduce in un impoverimento del territorio?

«Sta cambiando la percezione della nostra terra, in Italia e nel mondo. Non più come territorio segnato solo da problemi irrisolti, ma come una Regione che vuole e sa raccontare le proprie eccellenze. La Calabria, oggi, non è più la Regione che subisce le narrazioni altrui: è la Regione che scrive la propria storia, che rivendica con orgoglio la propria identità e che guarda al futuro, ai prossimi cinque anni, con la certezza di poter offrire al Paese e al mondo il meglio di sé. Le ho raccontato della mia ricetta per tentare di far restare quanti più giovani possibile. Sul resto continueremo a lavorare per attrarre investimenti e dunque opportunità. Il futuro di un territorio non si costruisce con l’assistenzialismo, ma con lo sviluppo e la crescita. Dobbiamo creare sempre più un habitat regionale ideale per le imprese e per le multinazionali che voglio scommettere sulla Calabria».

– Lo spopolamento non è solo un fenomeno calabrese. Borghi troppo piccoli sempre più abbandonati, dove rimangono solo gli anziani. Cosa ha in mente per rigenerare questi paesi, cui non bisogna sottrarre l’identità ma garantire servizi e innovazione. In quest’ultimo caso la rete è scarsa ed è difficile pensare di promuovere il South Smart Working se non ci sono connessioni a ultra banda che permettano il lavoro da remoto.

«Per contrastare il fenomeno dello spopolamento e favorire il ripopolamento dei piccoli comuni delle aree interne, la Regione attiverà il programma “Casa Calabria 100”, che prevede la concessione di un contributo fino a 100.000 euro destinato all’acquisto e alla ristrutturazione di abitazioni. Il contributo sarà riconosciuto a quanti decideranno di trasferire la propria residenza in un comune delle aree interne, con l’obiettivo di generare nuova domanda abitativa, stimolare l’economia locale attraverso il comparto edilizio e contribuire al rilancio sociale ed economico dei borghi calabresi».

– A Reggio e a Crotone si è tornati a volare. E nessuno può toglierle il merito. Ma non crede che la Calabria abbia bisogno di un grande piano per allargare la ricettività e i servizi turistici? Non basta far arrivare gli stranieri (che irrimediabilmente si innamorano subito di questa terra) ma bisogna offrire loro servizi, logistica, mobilità. E disegnare percorsi alternativi al tradizionale binomio mare/montagna. C’è il turismo culturale, religioso, quello degli escursionisti, etc. E quello delle radici.

«Noi abbiamo portato migliaia di turisti, soprattutto stranieri, con numeri record per tutti gli aeroporti calabresi. Bisogna continuare a migliorare le strutture ricettive, in Calabria abbiamo bisogno di alberghi a 5 stelle, e sulla mobilità: da qualche tempo abbiamo anche Uber. Per sviluppare questi punti occorre stimolare le imprese e attrarre investimenti. Ma mi aspetto tanto dagli imprenditori e dai giovani calabresi che vogliono mettersi in gioco. Noi stiamo mettendo a disposizione la canna da pesca e l’esca, ma adesso serve che qualcuno inizi realmente a pescare».

– I calabresi del mondo sono rappresentati all’interno della Regione da una Consulta voluta da una legge del lontano 2000. La Consulta in 25 anni ha finanziato con grande parsimonia tarantelle e sagre della salsiccia negli Stati Uniti e in Canada, solo per fare qualche esempio, ma in realtà dovrebbe diventare, con le necessarie risorse, il motore propulsore di un modello di attrazione non solo turistica per chi vuole riscoprire le proprie radici, ma un attrattore formidabile per investimenti di calabresi che hanno fatto fortuna all’estero e amerebbero fare impresa nella propria terra. Quale sarà il suo impegno in questo senso? Concorda sul grande patrimonio costituito dai calabresi nel mondo e di quanto possa valere il loro essere testimonial (gratuiti) della propria terra?

«Credo che i calabresi nel mondo rappresentino uno strumento importante per lo sviluppo e la promozione della nostra regione a livello culturale e la Consulta è senz’altro un’opportunità per costruire un ponte necessario per il ritorno dei cittadini calabresi sparsi nel mondo. Io credo molto nel Turismo delle radici. Nel Piano di promozione del turismo 2025 abbiamo inserito, tra le azioni prioritarie, anche il progetto “Turismo delle radici 2025. Il Giubileo dei Calabresi”. La promozione della riscoperta delle origini ha anche ricadute significative da un punto di vista economico e di sviluppo del territorio, soprattutto in termini di contrasto allo spopolamento dei nostri borghi. Mi piacerebbe che la Calabria si vestisse a festa per uno-due mesi all’anno e in questi due mesi potesse accogliere tutti i calabresi di seconda, terza, quarta generazione incentivando l’arrivo in Calabria magari attraverso la contribuzione sui biglietti aerei».

Dalla Calabria la vittoria di Occhiuto è un segnale per il Paese

di SANTO STRATI –La vittoria formidabile, anche se pressoché scontatissima, di Roberto Occhiuto dà un segnale chiaro al Paese, che solo chi non vuole non riesce a captare.

Gli italiani hanno voglia di “centro”, non si fidano più dei Cinque Stelle e di questa sinistra “sparsa” che dovrebbe ripensare a quello che ha presentato, come campo “larghissimo”, nel candidare il prof. Tridico.

E allo stesso tempo i Fratelli di Giorgia dovrebbero capire che la destra “esagerata” non ha futuro e occorre, necessariamente, studiare e avviare un percorso dove il centro abbia un ruolo ben definito.

Un ruolo di tutto rispetto che, volere o volare, solo Forza Italia con i suoi alleati “moderati” è riuscita a comprendere. Non ci voleva una laurea in psicologia per interpretare le aspirazioni del Paese: stanco di una conflittualità perenne destra-sinistra (che in realtà non esistono più come entità politiche) e, a volte, persino trovato a rimpiangere i tempi della “balena bianca”, quando i partiti erano “partiti” e per la politica si usava la maiuscola. Altri tempi e nessun ricambio della classe dirigente che ha costruito il Paese, lo ha fatto crescere, nel confronto (ma anche scontro) dialettico che indicava priorità e percorsi ben delineati per lo sviluppo.

Il campo largo non funziona e solo il PD di Elly Schlein continua a fingere di non capire che le “nozze” con Giuseppe Conte contengono qualcosa che gli italiani fanno fatica a digerire. Quegli italiani che sono stati illusi dal guitto incantatore Beppe Grillo e dal gran regista Casaleggio, ma che ben presto hanno scoperto che le formule, alla fine, sono uguali per tutti i partiti e le chiacchiere pentastellate non facevano certamente rimpiangere i programmi (solo a parole) della prima Repubblica.

Certo, la scadenza elettorale di oggi nella rossissima Toscana ridarà fiato a questa coalizione più raccogliticcia che coesa, ma, tra qualche mese, quando si andrà a votare in Campania, non sono da escludere clamorosi colpi di scena.

Per le elezioni calabresi, la sensazione è che questa coalizione ha giocato con l’idea di perdere, rassegnata a trovare un agnello sacrificale (Pasquale Tridico) che sì è trovato fuori ruolo e disperatamente “abbandonato” in pasto alle volpi del voto (ogni riferimento a Francesco Cannizzaro è espressamente voluto).

Da fine apprezzatissimo docente, qualificato e ascoltato economista, Tridico si è smarrito, probabilmente anche per la mancanza di buoni consiglieri, nel marasma della politica regionale e le sue genuine e sincere intenzioni sono diventate oggetto di meme e di sberleffi (che si dovevano sicuramente evitare) da parte di diversi rappresentanti del centrodestra.

Anche a Napoli il Pd ha abdicato: non ha saputo esprimere un proprio candidato in grado di rappresentare quella sinistra erede di grandi idee (e finte rivoluzioni) che si riconosce nei padri nobili dell’Ulivo (e forse con qualche rimpianto del vecchio Pci).

Fico è un altro pentastellato che non ha mai amministrato e porta in dote una opaca presidenza della Camera, di cui si ricordano più le gaffes che i discorsi, e che non ha lasciato tracce sensibili persino tra i suoi sodali.

Un perfetto “inadatto” per la poltrona di Governatore della Regione Campania la quale sta guidando, con orgoglio un rinascimento partenopeo di respiro mediterraneo e internazionale di cui il Paese dovrebbe essere orgoglioso.

La sinistra, con un nuovo improbabile campo largo, è convinta di raccogliere messe di voti, a prescindere, ma nessuno è in grado di sapere cosa farà De Luca, il Presidente spodestato da una legge “infame”, che avrebbe voluto governare a vita. Appoggerà incodizionatamente Fico, facendo prevalere il senso di appartenenza a un partito che non gli è congeniale, o metterà in atto qualche diabolico scherzetto di cui solo i politici d’alto lignaggio sono capaci?

Il segnale che viene dalla vittoria di Occhiuto dovrebbe aprire gli occhi a Giorgia Meloni. Conquistare la Campania non è una missione impossibile, anche se bisogna tener presente la legge dei numeri e a Napoli, soprattutto, la sinistra ha sempre fatto risultato, ma questo potrebbe avvenire  se la destra di governo capta questa voglia centrista e ne fa un progetto vincente.

Il candidato prescelto, il viceministro Edmondo Cirielli, già generale dei Carabinieri, non è proprio quello che ha una concreta idea di centro, però potrebbe raccogliere il consenso dei moderati che guardano con sospetto all’attuale governo, ma sono completamente delusi da una sinistra che ha smarrito il cammino.

L’eventuale perdita della Campania (ammettiamolo, non è difficile per il campo largo) significherebbe per gli elettori di sinistra l’ammissione che il re è nudo e nessuno fino a oggi ha avuto il coraggio di dirlo. Servirebbe il bambinetto della favola di Andersen a far capire all’attuale dirigenza pd e compagnia varia che non si può continuare a raccontare fandonie.

I calabresi lo hanno capito e, di conseguenza, castigato il campo largo in cui non credevano. Gli italiani, tranne quelli che guardano a Landini come futuro “imperatore” della sinistra (in disarmo), forse non ci metteranno molto a farlo capire – a volte con le lacrime agli occhi da ex compagni fortemente delusi – all’intera sinistra. Che continua a ignorare il bisogno di riformismo che il Paese esprime e la necessità di recuperare un’intesa bipartisan con il vecchio depauperato centrismo d’antan. (s)