di SANTO STRATI – «Credete che sarà felice quest’anno nuovo?» Nel Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere di Giacomo Leopardi (1827) si coglie l’ottimismo del domani: il venditore lo disegna, ovviamente, bellissimo, deve vendere i suoi almanacchi! Ma il passeggere regala una perla che i nostri politici calabresi dovrebbero fare propria: la vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura.
Ovvero, far tesoro degli errori del passato e non ripeterli. È un proposito che si rinnova ogni ultimo dell’anno, con i risultati più che scontati: quante incompiute, quante promesse svanite, quanti sogni nel cassetto dei calabresi?
Forse è venuto il momento di dire basta alle intemerarie promesse del Governo sul Mezzogiorno e cominciare a battere i pugni sugli scranni del Parlamento: non si tratta di rispolverare la Questione meridionale che il tentativo dell’autonomia differenziata voleva mettere sotto il tappeto come la polvere della casalinga fannullona, ma di inquadrare una volta per tutte il problema del Sud in un ambito più ampio. Sarebbe il caso di parlare di questione mediterranea, visto il ruolo dominante che il vecchio Mare Nostrum (oggi diventato monstrum per le migliaia di migranti inghiottiti nelle sue acque) giocherà nei prossimi anni.
E analoga presa di coscienza dovranno, auspicabilmente, fare i nostri politici regionali, provinciali, comunali, a cominciare dal Presidente Roberto Occhiuto.
Il 2026 è davvero l’anno della svolta? Potrebbe esserlo se soltanto, escludendo le chiacchiere e le vane e risibili promesse, si comincia a fare un’agenda reale e concreta dei bisogni della popolazione. Basta andare sul territorio e toccare con mano esigenze e bisogni, osservare le incompiute, capire cosa serve davvero per migliorare la qualità della vita, non per risalire la china di discutibili classifiche di alcuni quotidiani, ma per sanare mancanze e distrazioni che complicano il vivere quotidiano di tantissima gente, a cominciare dal problema salute.
Se davvero finisce a breve il commissariamento, servirà un Assessore alla Sanità: Presidente Occhiuto applichi quella trasversalità che potrebbe cambiare la politica calabrese. Non scelga un tecnico per il quale i malati sono un numero e ha come unico obiettivo quello di tagliare i costi, ma prenda un medico che conosce i problemi della salute (perché li vive tutti i giorni) che abbia anche competenze di amministrazione, perché, alla fine, i soldi vanno spesi bene e gestiti adeguatamente secondo reali necessità ed esigenze. Questa figura di medico e manager in Calabria c’è, ma ha il “difetto” di essere “uno di sinistra”: Rubens Curia sarebbe un ottimo assessore alla Sanità e si farebbe notare non per la fede politica, bensì per la capacità di capire cosa va fatto e cosa va eliminato nella gestione della sanità, sia pubblica che privata. La sua associazione, Comunità Competente, ha prodotto diversi documenti che possono costituire una base straordinaria per il riordino della sanità in Calabria. Presidente non scelga la compiacenza, scelga la competenza.
Certo ci vuole coraggio a proporre “uno di sinistra” in Giunta, con i tanti sodali che scalpitano e pretendono il rispetto di qualche cambialetta elettorale, ma una scelta trasversale aggiungerebbe punti pesanti alla sfida che Occhiuto ha lanciato: cambiare la Calabria si può, ma non seguendo regole gattopardesche (cambiare tutto perché tutto resti come prima) ma con il coraggio di osare soluzioni che possono non piacere a qualcuno, ma diventano risorsa essenziale per tanti.
Occhiuto ha mostrato di essere un combattente che crede seriamente di poter cambiare questa terra. Intanto, è riuscito a imporre una narrazione diversa: si parla di Calabria dovunque, nei media, tra la gente del centro e del Nord, senza più pensare a una terra “maledetta” dove regnano ‘ndrangheta e malaffare. C’è un tentativo di recupero della reputazione perduta, che sta dando risultati insperati. Lo “sdoganamento” di un territorio si fa lavorando sull’immagine e questo Occhiuto lo ha capito da tempo. Riempire (anche se a pagamento) spazi televisivi non è uno sciocco esercizio di spreco di denaro, ma un’intelligente trovata per mostrare quell’ “altra” Calabria che la gente non conosce.
Prendiamo il caso della serie televisiva Sandokan: tutti ne hanno parlato male (senza aver visto nemmeno un minuti dell’ottimo film realizzato) e contestato che di Calabria si vede “poco”. Ma è una fiction ambientata nel Borneo che ci azzecca la Calabria nel contesto narrativo? Invece ci sta tutta nella macchina della produzione: già solo il fatto che si dica che gran parte della serie tv è stata girata in Calabria vale tutti i soldi spesi in sponsorizzazioni (a parte la ricaduta occupazionale e l’indotto generato dalla produzione, che non sono bricioline…). In questo modo si fa incuriosire sulla Calabria, si fa scoprire che è tutta quanta un set naturale per girarci film e fiction, ma soprattutto che è una terra infinitamente meravigliosa, che merita di essere valorizzata e apprezzata.
Sanità e marketing territoriale, due nodi importanti: il primo riguarda il benessere dei cittadini e la necessità di limitare il “turismo ospedaliero” al Nord che impoverisce soprattutto le famiglie e dissangua le casse regionali. Il secondo fa parte del piano di crescita e sviluppo dell’intero territorio.
Turismo, nelle sue varie accezioni (vacanziero, religioso, congressuale, etc) significa soprattutto lavoro e occupazione, altra spina di una terra che vede ogni giorno partire i suoi giovani con un biglietto di sola andata. Il lavoro che non c’è e va inventato proprio nel terziario, dove le competenze vanno utilizzate 365 giorni l’anno e non soltanto nei mesi estivi.Quanti laureati sarebbero felici di poter mettere a frutto idee e capacità nella propria terra? Non basta mobilità e logistica per attrarre visitatori, servono servizi e guide culturali che permettano di apprezzare luoghi e territori: un bando per offrire occupazione stabile e seria ai nostri ragazzi che hanno studiato e conoscono il territorio sarebbe un buon inizio per il 2026.
Un anno che – sia chiaro – deve contare anche e soprattutto sull’impegno del territorio: ci sono imprenditori illuminati che già fanno tanto, ma bisogna pensare non soltanto a donne e giovani in cerca di prima occupazione, ma anche a ricollocare chi ha perso il lavoro ed è troppo vecchio per ricominciare e troppo giovane per andare in pensione.
Il lavoro è la sfida di tutto il Mezzogiorno, i nostri governanti centrali se lo mettano bene in testa: lo sviluppo del Paese dipende dalla crescita del Sud. Se cresce il Sud (che peraltro consuma) riparte tutta la filiera produttiva che il Covid ha contribuito a ridurre ai minimi termini.
L’anno che verrà è l’anno del Ponte: checché ne dicano gli oppositori, ci sono tutte le condizioni perché l’Opera finalmente possa vedere la luce. Val la pena di ricordare che quando si pensò di realizzare l’Autostrada del Sole non mancarono i no-ponte d’antan: se avesse prevalso la loro logica staremmo ancora a sognare. La mobilità è un segno di progresso e il Ponte rappresenta la sfida tecnologica dell’Italia al mondo: dovremmo finirla con le fake-news e le terrificanti profezie di geologi della domenica, lasciando parlare solo gli esperti. Se chi ha la competenza per dirlo afferma che il Ponte si può fare bisogna credergli e tenere alla larga i venditori di fumo.
Il Ponte piaceva a Prodi, piaceva alla sinistra. Poi, poiché era nei programmi di Berlusconi è diventato il “mostro” da contrastare e combattere con ogni mezzo. E la stessa sorte sta seguendo il progetto più straordinario del mondo perché è voluto dalla destra, quindi l’ideologia prevale sulle opportunità per il territorio e le sue genti. Non è il Ponte di Salvini, né della Meloni, è il Ponte del Mediterraneo, anzi dell’Europa che il mondo ci invidierà. Il guaio è che, come al solito, gli altri ci guardano e ci copiano e le buone idee, in Italia, restano al guado. Un esempio per tutti il ponte sui Dardanelli: costruito sul modello che ormai i tecnici chiamano Messina-type, ovvero quello del Ponte sullo Stretto. Lo hanno realizzato i turchi a tempo di record: se nel 2011 la sciagurata scelta di Monti non avesse bloccato il progetto, da diversi anni avremmo già avuto operativo il Ponte. Che non inquina (al contrario delle navi traghetto sullo Stretto) e, per la sua realizzazione, porterà occupazione e indotto da record. Qualcuno parla di 100mila addetti, ma anche se fossero solo 20mila, in terre affamate di lavoro come Sicilia e Calabria, li vogliamo buttare via?
E, soprattutto, ci sono le opere complementari senza le quali il Ponte non avrebbe senso: l’Alta Velocità (alta capacità), la SS 106 e le strade dei territori coinvolti. Il 2026 ci dovrà portare non suggestioni, ma progetti pronti per essere realizzati: sarà l’anno in cui si conclude il PNRR e molte risorse, in Calabria, con buona probabilità resteranno inutilizzate: mancano sei mesi, chi crede nei miracoli, non demorda…
Infine, nell’agenda 2026 per la Calabria un ruolo principe va al Porto di Gioia Tauro. Cresce a doppia cifra ogni anno, ha un potenziale incredibile e un retroporto pressoché inutilizzato dove si potrebbero allestire i semilavorati che giungono da ogni parte del mondo. Ma restano capannoni vuoti e le tante perplessità di chi vuole investire. La Zes unica è un formidabile attrattore di investimenti ma richiede un’attenzione aggiuntiva e accorta da parte degli enti locali.
La Regione – abbiamo questa sensazione – al di là del progetto del rigassificatore, non mostra grande entusiasmo per la costante crescita di quello che sta diventando il primo porto del Mediterraneo per traffico di containers. Il Porto non significa traffico di cocaina: chissà perché ogni volta che sequestrano droga in Calabria c’è un’enfasi mediatica spaventosa, quando poi si scopre che il traffico di stupefacenti in altri porti è addirittura superiore. Il Porto significa lavoro, occupazione e sviluppo e il Presidente Occhiuto dovrebbe occuparsene di più, mettendo risorse e maggiore impegno. La crescita di Gioia Tauro e del suo Porto è un piccolo-grande tassello di una visione di sviluppo che farà vincere alla Calabria la scommessa sul 2026.
Ultima annotazione: si vota a Reggio in primavera per scegliere il nuovo sindaco. A quattro/cinque mesi dalle elezioni non ci sono ancora candidature ufficiali. Il gioco della politica pensa di poter continuare a prendere in giro i cittadini che, in tutta risposta, non vanno a votare. Invece, l’aria sta cambiando e anche per Reggio potrebbe esserci un 2026 di rinascita e rilancio. Auguri. (s)







