di MARIACHIARA MONACO – Cosenza, città colorata di Rainbow, è un chiaro segnale di apertura da parte dell’amministrazione comunale guidata dal socialista Franz Caruso, su diversi temi che riguardano, durante il mese del Pride, l’intera comunità Lgbtq+, e non solo.
Le porte della CGIL, il 27 ed il 28 giugno, si sono aperte per dare voce a rappresentanti delle istituzioni, cittadini, e associazioni, uniti contro un nemico comune: la discriminazione.
Hanno preso parte al confronto, il segretario della CGIL Cosenza, Umberto Calabrone, il quale ha riferito ai microfoni: «Riteniamo si debba condurre una battaglia affinché vengano riconosciuti a tutti dei diritti. Il mondo del lavoro deve essere un punto di riferimento, indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla religione, dall’orientamento sessuale», cita poi il Ddl Zan e di come questo sia stato “affossato” da una classe politica becera ed emarginata.
Prende la parola poi, il vice sindaco di Cosenza, Maria Pia Funaro: «L’amministrazione ha cambiato approccio rispetto al passato. Era maggio 2017, quando la vecchia amministrazione decise di non dare patrocinio al Pride. Non ci fu discussione invece, quando settimane fa ci proposero di organizzare un evento volto alla sensibilizzazione».
La città di Alarico, secondo la vice di Caruso, è ritornata ad essere riformista, dopo anni di “oscurantismo”.
A conclusione dell’evento, le considerazioni del presidente dell’Arci Cosenza, rimbombano in maniera assordante, quando vengono ricordate le tante persone che durante la pandemia hanno vissuto dei momenti complessi: «Ci sono persone che non hanno avuto il coraggio di fare coming out, e che hanno sorretto il tema dell’omofobia. Molte ad oggi sono le categorie che vanno tutelate: i sieropositivi, le persone trans, che non hanno nessuna tutela dal punto di vista legale, sanitario, poi i disabili, e tante altre persone che non rientrano nei canoni che la società impone».
Tutti dobbiamo riflettere, su ciò che è avvenuto a Chloe, insegnante trans che si è uccisa, ai fatti di Oslo e di Istanbul, perché non possiamo permetterci il lusso di voltarci dall’altra parte.
Sono passati 53 anni dal tragico evento che si consumò presso Christopher street, quando dei poliziotti fecero irruzione in un bar, nel centro di New York, (negli anni Cinquanta, il Maccartismo portò a una forte repressione omosessuale, e le incursioni della polizia nei “locali gay” divennero una costante: le persone omosessuali e transgender, potevano essere arrestate per i motivi più disparati, come baciarsi, e vestirsi con abiti del sesso opposto), esausti dei continui soprusi, la notte del 28 giugno 1969, i clienti cominciarono a rispondere tanto alle percosse quanto agli insulti degli agenti, che avevano organizzato una retata per colpire la comunità.
Si conoscono tre storie, probabilmente tutte realmente accadute; quella riconducibile a Sylvia Rivera, che scagliò un tacco contro un poliziotto; poi quella di Marsha P. Johnson, che lanciò un bicchiere contro uno specchio, distruggendolo; e di Stormé De Larverie, una donna lesbica, trascinata verso un’auto della polizia, che rivolgendosi alla folla disse: «Perché non fate qualcosa? ».
Ecco perché proprio giugno è considerato mese del Pride in tutto il mondo, per ricordare il sacrificio di chi c’è stato prima di noi, lottando a denti stretti contro le diversità, le ingiustizie e le differenze, coniando il termine Love Is love, affinché l’amore universale possa unire e non dividere.
Da New York a Cosenza, per poi fare tappa a Reggio Calabria il 30 luglio, quando la città dello stretto ospiterà il Pride.
La Calabria si tinge di Rainbow, proprio come la villa nuova nella città dei bruzi, trasformata per ricordare i moti di Stonewall, in un vero e proprio tripudio di colori e musica, così da poter fare rumore, grazie anche alla tanto amata Drag Queen Eva Kernel. (mm)