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Don Attilio Nostro

Don Attilio Nostro è il nuovo vescovo di Mileto- Nicotera-Tropea

di PINO NANO C’e parso opportuno affidare a te Attilio questo compito, Figlio diletto, che, sorretto da comprovata stima e dotato di qualità spirituali e umane, ci sembri adatto ad affrontare questi doveri pastorali”(Papa Francesco, 25 settembre 2021).

Immobile, disteso per terra, sui freddi mosaici della Basilica, la fronte fra le mani, fasciato da una stola giallo oro, le suole delle scarpe ancora lucide forse appena comprate per la festa, il portamento austero di un atleta senza tempo, grande appassionato di pallacanestro e di ciclismo, un metro e novanta di emozioni e di nervi tesi, di speranze e di incertezze, di solitudini e di mille condivisioni diverse, con alle spalle un bagaglio culturale di grande peso e di grande valore, lui alfiere della nuova Chiesa di Francesco, rappresentante e apostolo di una Chiesa erudita, coraggiosa, senza freni, nemica dei condizionamenti, lontana soprattutto da ogni forma di lobby e di Corte, al di sopra di ogni dubbio e di ogni sospetto. 

In questa immagine di assoluto distacco dal mondo esterno, c’è la storia privata e personale di un sacerdote che Papa Francesco ha chiamato a guidare la Chiesa calabrese della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, un soldato della Chiesa moderna che conosce la Basilica Lateranense come le sue tasche, perché qui l’uomo ha trascorso anni interi di studio e di riflessioni, di analisi e di prove importanti, di colloqui e di esami, di selezioni durissime, crescendo  e diventando poi un numero uno tra i tanti.

Oggi, il seminarista di un tempo diventa finalmente Vescovo.

Emozionante, commovente, palpitante, soprattutto solenne. Questo il clima che abbiamo respirato ieri sera nel corso della cerimonia che si è celebrata nel cuore della Grande Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma per la proclamazione del nuovo Vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea don Attilio Nostro. 

Una Basilica stracolma di gente, tantissimi i romani, ma tanti anche i calabresi, sacerdoti, vescovi, presbiteri, in prima fila con tanto di fascia tricolore il giovane sindaco di Mileto Salvatore Fortunato Giordano, in platea tra i tanti l’ex sindaco di Palmi Armando Veneto, e poi tantissima altragente comune, arrivata da ogni parte del Vibonese e soprattutto da Palmi e dal suo circondario, terra natale di don Attilio e a cui il nuovo Vescovo dedica la sua festa di ordinazione.

«Saluto la mia amata Palmi – esordisce così nel suo saluto finale – lì è nata la mia vocazione».

Poi, rivolgendosi alla vecchia madre, e ai nipotini che sono in prima fila seduti accanto alla nonna in carrozzella, con le lacrime agli occhi don Attilio alza il braccio e mostra alla folla il suo anello episcopale: «Questo anello – dice – simbolo del matrimonio con una diocesi che non è mia, ma io sono suo, è frutto degli anelli del matrimonio dei miei genitori. Mia madre che stasera è qui con noi, e mio padre che invece non c’è più. Al centro di questo anello campeggia la Madonna della Fiducia. Desidero però che sappiate che io non considero questo la fine, ma soltanto l’inizio». 

Applausi a scena aperta all’interno della Basilica, ma l’emozione generale è così alta da giustificare qualunque forma di gioia collettiva. 

«Gesù in mano  – spiega allora don Attilio – non aveva un anello, ma portava il segno dei chiodi e io, appunto, vorrei che queste ferite d’amore si imprimessero anche in me, che ci sia nei prossimi anni anche in me uno spazio perché queste s’imprimano nella mia vita, nel mio cuore. Gesù non portava una mitria ma una corona di spine, segno di una padronanza non degli altri o sugli altri, ma su sé stesso. Segno della capacità di disporre della propria vita per rendere felice la vita altrui, è così che vorrei che fosse». 

Ma, ancora più commovente, è l’appello che don Attilio rivolge alla sua nuova diocesi e alla Chiesa tutta: «Aiutatemi a diventare quel figliol prodigo ritrovato che va incontro al padre misericordioso. Quell’abbraccio del padre è quello del ritorno a casa. E quel ritorno a casa è per me il ritorno in Calabria, a quella terra che mi ha generato».

Nel corso della omelia il Cardinale De Donatis “racconta” questo giovane sacerdote calabrese, ma romano di adozione, come difficilmente davvero può capitare di sentire all’interno di una Chiesa.

«Carissimo Attilio, Dio ti ha scelto per essere ad immagine di lui buon pastore al servizio del suo popolo. Quando le persone verranno da te stanche o sfiduciate per il male o il malaffare o impaurite, tu non risponderai con parole di circostanza ma ricorderai a ciascuno che è un figlio libero di Dio, profeta e sacerdote. Il Signore ti chiede di avere cura di tutti i piccoli che credono in lui».

E qui la Chiesa di Francesco affida ad Attilio la sua nuova missione: “Devi lottare per impedire che il male come morbo infetti e corrompa le membra elette del corpo di Dio, soprattutto quelle più fragili e indifese. Sei chiamato a difendere i diritti dei poveri. Hai il potere della parola di Dio sulle labbra hai la forza dello spirito che oggi ricevi. Puoi contare su di essa non sulle strategie umane». 

Infine, l’appello finale da parte del vicario del Papa al nuovo vescovo: «Attilio, non perdere mai la capacità di commuoverti. Non pensarti mai come membro di un élite. La fede di un vescovo si misura sulla fede dei piccoli, la sua carità si misura da quanto ha il cuore umile e grande, forte e generoso. Il cuore grande del vescovo, del presbiterio, e del popolo di Dio include non esclude. Rifiuta e condanna ogni campanilismo, ogni logica di comportamento da lobby, ogni atteggiamento che non entri nel dinamismo della carità. Sii una “Povera lampada che cerca i cieli”, come hai scritto nel motto che hai scelto per il tuo stemma episcopale. E ti affidiamo alla Madonna della Fiducia che tu ami tanto».

Il momento di maggiore commozione in Basilica si vive quando don Attilio si rivolge direttamente ai tanti sacerdoti con cui ha condiviso la sua lunga esperienza romana e alle sue parrocchia, ultima quella di San Mattia Apostolo di Monte Sacro.

«Ringrazio la parrocchia di San Mattia in particolare, e tutte le parrocchie in cui sono stato parroco e viceparroco: mi avete insegnato ad amare. Mi sono sentito padre, fratello, sposo, ed è questo quello che voglio portare alla mia nuova comunità. Accompagnatemi con le vostre preghiere perché se il Papa mi ha voluto fortemente nella mia terra natìa, se ha scelto un parroco di Roma è un segno di fraternità e di ulteriore comunione. Ho imparato ad amare e desidero farlo ancora di più».

Prossima cerimonia solenne per lui il prossimo 2 ottobre in Calabria, e questa volta per il suo ingresso ufficiale nella sua nuova diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea. Dove ad attenderlo ci sarà non solo un popolo in festa, ma anche una miriade di situazioni difficili e complesse, antiche, conflittuali, irrisolte, «ma tutto questo – si raccontava questa mattina in Sala Stampa Vaticana, dove tutti lo conoscono – un intellettuale di grande carisma come lui lo sa meglio di chiunque altro». (pn)