di FRANCO BARTUCCI – Tutti in Piazza San Pietro, non appena si è appresa la notizia che il conclave aveva scelto il nuovo Pontefice dopo la morte di Papa Francesco.
Non solo chi era a Roma, ma anche nelle proprie case, grazie ai mezzi di comunicazione televisiva. Nell’attesa di vederlo uscire ed affacciarsi sul loggione della Basilica, dopo l’apertura della tenda, il pensiero correva pensando e pregando con una domanda precisa, chissà chi avranno scelto i porporati spinti dal “fiato” dello Spirito Santo.
Ecco arrivare l’annuncio da parte del cardinale Mamberti “Habemus Papam” nel cardinale Robert Francis Prevost, agostiniano statunitense, che ha assunto il nome di Leone XIV.
Poi la sua apparizione e la gioia mista al pianto ci avvolge in quanto la sua espressione dolce, pacata e serena ci mostra una sua luminosità che con la sua espressione sorridente assicura e dà certezze per un mondo migliore, un mondo che in quei momenti altri uomini si mobilitano, freddi nel cuore, impugnando e mostrando da una parte strumenti di guerre e dall’altra annunci belligeranti proclamando la parola “tasse”, che significa lotta intestina tra ricchezza e povertà.
Sappiamo che per alcuni anni ha vissuto come missionario in Perù ad assistere e dare dignità agli ultimi e questo come famiglia Ardorina, creata dal venerabile don Gaetano Mauro, con la casa madre a Montalto Uffugo, che da alcuni anni ha i suoi missionari in Colombia e Honduras, questo ce lo fa sentire ancora più vicino e le parole del suo primo discorso sono musica per alleviare le sofferenze ed insieme creare un concerto di amore e pace avendo delle certezze nelle figure di Dio Padre, Gesù, la Madonna e Papa Francesco, del quale ancora si avverte, come lui stesso ce lo ha ricordato nel suo primo discorso, che riporto a seguire integralmente, lo spirito della sua figura e le parole di incoraggiamento per essere testimoni di verità, amore e pace.
«La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il buon pastore che ha dato la vita per il gregge di Dio. Anch’io vorrei che questo saluto di pace entrasse nel vostro cuore, raggiungesse le vostre famiglie, a tutte le persone, ovunque siano, a tutti i popoli, a tutta la terra. La pace sia con voi!».
«Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente. Ancora conserviamo nei nostri orecchi quella voce debole ma sempre coraggiosa di Papa Francesco che benediva Roma! Il Papa che benediva Roma dava la sua benedizione al mondo, al mondo intero, quella mattina del giorno di Pasqua».
«Consentitemi di dar seguito a quella stessa benedizione: Dio ci vuole bene, Dio vi ama tutti, e il male non prevarrà! Siamo tutti nelle mani di Dio. Pertanto, senza paura, uniti mano nella mano con Dio e tra di noi andiamo avanti. Siamo discepoli di Cristo. Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di Lui come il ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace. Grazie a Papa Francesco! Voglio ringraziare anche tutti i confratelli cardinali che hanno scelto me per essere Successore di Pietro e camminare insieme a voi, come Chiesa unita cercando sempre la pace, la giustizia, cercando sempre di lavorare come uomini e donne fedeli a Gesù Cristo, senza paura, per proclamare il Vangelo, per essere missionari».
«Sono un figlio di Sant’Agostino, agostiniano», che ha detto: «con voi sono cristiano e per voi vescovo. In questo senso possiamo tutti camminare insieme verso quella patria che Dio ci ha preparato. Alla Chiesa di Roma un saluto speciale! Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce i ponti, il dialogo, sempre aperta a ricevere come questa piazza con le braccia aperte. Tutti, tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, la nostra presenza, il dialogo e l’amore».
«E se mi permettete una parola, un saluto a tutti e in modo particolare alla mia cara diocesi di Chiclayo, in Perù, dove un popolo fedele ha accompagnato il suo vescovo, ha condiviso la sua fede e ha dato tanto, tanto per continuare ad essere Chiesa fedele di Gesù Cristo. A tutti voi, fratelli e sorelle di Roma, di Italia, di tutto il mondo vogliamo essere una Chiesa sinodale, una Chiesa che cammina, una Chiesa che cerca sempre la pace, che cerca sempre la carità, che cerca sempre di essere vicino specialmente a coloro che soffrono. Oggi è il giorno della Supplica alla Madonna di Pompei. Nostra Madre Maria vuole sempre camminare con noi, stare vicino, aiutarci con la sua intercessione e il suo amore. Allora vorrei pregare insieme a voi. Preghiamo insieme per questa nuova missione, per tutta la Chiesa, per la pace nel mondo e chiediamo questa grazia speciale a Maria, nostra Madre».
Quanta gioia e convinzione di condividere quei pensieri e parole di amore ad essere comunità viva nel nome e per conto di Cristo nel costruire tra noi esseri umani ponti di fratellanza per sconfiggere le guerre, l’odio, la sete di ricchezza e di potenza, ma essere uomini e donne nella semplicità ed umiltà.
All’indomani appaiono sui giornali tra le altre cose l’immagine del vescovo missionario Robert Francis Prevost a cavallo durante i suoi viaggi di missione nella sua diocesi di Chiclayo in Perù ed allora la stima diventa comprensione, partecipazione ed arricchimento missionario come invocato nel discorso di cui sopra, che porta la famiglia missionaria Ardorina ad essergli vicino, data l’esperienza missionaria ultra trentennale vissuta in Colombia con padre Ermolao Portella, come in Honduras, per circa un decennio da padre Gianfranco Todisco, vescovo, su nomina ad inizio secolo di Papa Giovanni Paolo II ed inviato a guidare la Diocesi di Melfi Rapolla Venosa in Basilicata, che allo scadere dei suoi settant’anni chiede a Papa Francesco di concedergli la gioia di tornare a fare il missionario e lo manda in Honduras. La loro caratteristica era quella di viaggiare in groppa al cavallo sui territori di loro competenza missionaria, così come abbiamo visto sui giornali di Leone XIV, tanto che alcuni hanno fatto questo titolo: “Un Dark Horse” in Vaticano”.
Per i Padri Ardorini missionari in Sud America, noti come Pii Operai Catechisti Rurali Missionari Ardorini, il cavallo, la camicia nera o celestina sono i segni ed il costume che testimonia la loro missione sacerdotale. Ecco quindi spiegata la loro esultanza e gioia espressa attraverso un messaggio indirizzato pubblicamente a Papa Leone XIV.
«Sensibili come Congregazione religiosa per il mondo rurale in Italia, Canada, Colombia, India e Tanzania, esultiamo lodando e ringraziando il Signore per il dono di un nuovo pastore alla sua Chiesa. Preghiamo lo Spirito Santo affinché continui a dischiudere nuovi orizzonti al Vangelo».
Poi con il loro Fondatore, il Venerabile don Gaetano Mauro “promettono al Papa Leone XIV obbedienza illimitata, chiedendo, quindi, la Paterna benedizione per continuare a portare nei casolari dispersi nelle campagne del mondo il pensiero di Dio, la parola di Dio, la presenza di Dio”. (fb)