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Il decalogo della vita secondo il prof. Domenico De Masi

di FRANCO BARTUCCIDomenico De Masi al Master su l’Intelligence dell’Università della Calabria:«In una società dove lavoreremo un decimo della nostra esistenza, la scuola deve insegnare come si vive più che come si lavora».

Domenico De Masi, uno dei più noti sociologi italiani, ha tenuto la lezione Futuro: istruzioni per l’uso al Master in Intelligence dell’Università della Calabria, diretto da Mario Caligiuri. Per il professore De Masi è un ritorno questo contatto con l’Università della Calabria avuto all’inizio degli anni Ottanta quando il Rettore Pietro Bucci lo invitò per un importante convegno di sociologia politica e rimase entusiasta dell’iniziativa e del campus universitario che stava nascendo sulle colline di Arcavacata.

Ritornando alla sua lezione in ambito del Master  ha subito evidenziato in apertura: «Per un sistema sociale che nasce vi è un altro sistema sociale che muore», questo per spiegare la successione delle società agricola, industriale e quella attuale post industriale.

«La società adesso – ha spiegato – è il frutto di due secoli rivoluzionari dove si è passati da 800 milioni a 2 miliardi di persone, con un allungamento della vita media intorno a 80 anni e un aumento del tempo libero che comincia a prevalere su quello del lavoro, grazie alle tecnologie. Nello stesso tempo, i beni materiali sono sostituiti da quelli immateriali, rappresentati da servizi, informazioni, simboli, valori, estetica, e il potere è progressivamente passato dalla politica all’economia alla finanza e alle agenzie di rating, in un mercato che ha una dimensione globale».

 Il sociologo ha poi proseguito sostenendo che «epicentro di questa società diventa la progettazione del futuro, ma sarebbe sbagliato applicare i valori della vecchia società a quella che verrà». De Masi ha poi illustrato dieci fattori che possono spiegare come potrebbe essere la società del  2030.

Il primo fattore è rappresentato dalla demografia. Nel 2030 saremo 8 miliardi  di persone, che non vuol dire solo bocche da sfamare ma anche tanti cervelli più scolarizzati, colti e interconnessi. Vivranno di più le persone più istruite e con relazioni sociali intense; la vecchiaia sarà riconoscibile solo negli ultimi due anni di vita quando consumeremo più medicine di quelle usate nel resto della vita precedente.

Il secondo fattore è l’ecologia. Siamo di fronte a due transizioni gemelle, quella digitale e quella ambientale. Crisi ambientali e disuguaglianze sociali sono ancora problemi irrisolti e i teorici della decrescita sostengono che l’equilibrio ormai è compromesso e ogni ulteriore sviluppo diventa insostenibile. Nel 2030 occorrerebbero tre pianeti per avere un numero sufficiente di foreste per compensare l’ossigeno necessario al nostro consumismo. 

Il terzo fattore è quello della tecnologia che offre protesi a tutti i nostri cinque sensi, rappresentando «un prolungamento dell’umano», come direbbe Pierre Lévy. Il microprocessore, inventato da Moore, raddoppia la propria potenza ogni 18 mesi e nel 2030 sarà centinaia di migliaia di volte superiore a quello attuale. L’ingegneria genetica permetterà di vincere molte malattie e l’intelligenza artificiale sostituirà gran parte del lavoro intellettuale, mentre le nanotecnologie permetteranno agli oggetti di relazionarsi tra di loro e con l’umano. 

Il quarto fattore è rappresentato dall’ubiquità e dalla plasmabilità. «Nel 2030 – ha spiegato – la mentalità digitale avrà sostituito quella analogica. La nuvola informatica avrà trasformato il mondo intero in una immensa piazza: tele-apprenderemo, telelavoreremo, tele-ameremo, tele-divertiremo. I rapporti fisici e virtuali si sommeranno, sarà impossibile isolarsi e la privacy tenderà a sparire».

Quinto fattore è l’economia. Entro il 2030 il Pil crescerà del 159%, con la ricchezza della Cina che supererà quella degli USA. Se l’Occidente vorrà salvare l’impronta ecologica dovrà ridurre il suo potere di acquisto del 15%. Tuttavia, oggi il problema non è tanto la produzione di ricchezza quanto la sua distribuzione. 

Sesto fattore è il lavoro.  «Oggi – ha argomentato De Masi – produciamo ricchezza senza produrre lavoro. Da sempre gli umani hanno costruito strumenti per lavorare di meno: prima la ruota, poi l’automobile, l’aereo la gru e ora il computer. Tuttavia, se i treni hanno distrutto il lavoro dei cocchieri e creato quello dei ferrovieri, invece i computer distruggono più lavoro di quanto ne creino». De Masi ha quindi affermato che «l’etica protestante – come illustrata da Max Weber – ha stravinto nel società industriale ma ora si dovrà trasformare l’ozio dissipativo in ozio creativo. Infatti, in proiezione aumenteranno i Neet, cioè i giovani che non studiano e non lavorano, poiché consumeranno senza produrre e questo può fare certamente aumentare i conflitti sociali. Contemporaneamente il 50% delle attività future saranno rappresentate da quelle creative, che sono quelle che danno libertà e gioia di vivere». 

Il settimo punto si identifica con il tempo libero. Verso la fine del 2030, ogni ventenne avrà davanti a sé 66 anni di vita, cioè 580.000 disponibili di cui solo 58.000 dedicate al lavoro. Pertanto solo il 10% di queste ore è dedicato al lavoro, mentre il restante 90% al sonno e al tempo libero. Di conseguenza la scuola dovrà insegnare come si vive più che come si lavora.

Ottavo punto è l’etica e l’estetica. Il mondo sarà più ricco, ma sempre più ineguale e tecnologizzato e pertanto sarà costretto a essere più etico. Gli oggetti avranno una perfezione tecnica superiore alle esigenze di chi le acquista, per cui il vantaggio competitivo di un orologio non sarà la puntualità ma l’estetica.  In altri termini, sostiene De Masi, «il futuro è delle persone che saranno più competenti, più affidabili, esteticamente più gradevoli e con comportamenti più affettuosi».

Nono punto è la cultura. Nel 2030 l’omologazione globale prevarrà sull’identità locale. Nonostante ciò l’uomo rimarrà radicato alla propria identità e sempre al centro con la creatività, l’etica, la collaborazione, il pensiero critico, il problem solving. Invece a livello di sistemi politici il Whashington consensus sarà fortemente insidiato dal Beijin consensus e il sapere verrà distribuito da molti per molti.

Decimo punto è costituito dall’androginia. In Italia le donne vivono già oggi sei anni più degli uomini e infatti ci sono 850.000 vedovi di fronte a tre milioni e mezzo di vedove. Negli USA nel 2030 le donne rappresenteranno i 2/3 della ricchezza, il 60% degli studenti universitari, laureati e possessori di master e molte donne sposeranno uomini più giovani di loro. I valori delle donne, come l’estetica e le buone maniere, prevarranno su tutto il pianeta.

De Masi ha infine concluso sostenendo che «nell’oscillazione del pendolo della storia tra rivoluzione e riforma, cioè tra cambiamenti immediati e cambiamenti a medio termine, la classe dominante, che procede per rivoluzioni, impone alla classe dominata di procedere per riforme, che non fanno altro che conservare le disuguaglianze esistenti». (fb)