OGGI E DOMANI GLI ITALIANI CHIAMATI ALLE URNE: L'INCOGNITA DEL RAGGIUNGIMENTO DEL QUORUM;
Referendum dell'8-9 giugno 2025

IL GIORNO DEI REFERENDUM SUL LAVORO: PERCHÉ È IMPORTANTE ANDARE A VOTARE

di ANTONIETTA MARIA STRATI  – Al di là del risultato pressoché scontato per mancanza di quorum (salvo un capovolgimento sconvolgente delle previsioni, sarebbe opportuno prendere spunto da questa tornata elettorale per guardare avanti.

Per dare un senso alla politica che si allontana sempre più dal territorio, dalla gente, ma soprattutto dai giovani. Sono i giovani che guardano con malcelata disattenzione la politica o, invece, è la politica che continua a disinteressarsi delle nuove generazioni, mancando di fornire loro percorsi formativi e modelli ideali da propugnare e seguire? Non è un quesito da referendum, ma una domanda che i nostri politici dovrebbero attentamente valutare e costringersi a dare una risposta concreta. Non c’è dubbio che, escludendo per un momento i cinque quesiti sottoposti oggi e domani al giudizio degli italiani, questo referendum ha un significato profondamente politico.

Non serve a ripristinare (in questo caso giustamente) situazioni a favore di chi lavora cancellate, bensì a indicare quanto pesa il fallimento di una opposizione pressoché inesistente e quanto il governo, nonostante tutto, abbia qualche temibile scricchiolìo. È un referendum politico, senza ombra di dubbio, ma può essere l’occasione perché Governo e opposizione si mettano insieme a un tavolo di riforme che diano nuovo vigore all’azione politica e facciano ricredere i detrattori e i sempre più avviliti cittadini che disertano le urne.

È evidente che, se in 30 anni e dopo 29 referendum solo alcuni sono riusciti a raggiungere il quorum, va modificata la percentuale di partecipazione richiesta per non invalidare lo scrutinio, ovvero la maggioranza più uno dei votanti. Un numero quasi impossibile da raggiungere – per un referendum – quando alle ultime elezioni (vedi in Calabria) si è arrivati a malapena sopra il 40%. Il referendum è uno strumento di democrazia perfetto che la Costituzione ci ha regalato, ma i tempi sono cambiati e la partecipazione al voto – per varie motivazioni – si è drasticamente ridotta. Quindi, è necessario riformare la sua formulazione per essere più aderenti alla realtà attuale. La chiamata diretta all’esercizio democratico mediante il referendum, era, nelle intenzioni dei padri costituenti, un modo di cointeressare e coinvolgere i cittadini su temi di grande interesse pubblico.

Nel tempo, invece – escludendo il caso dei referendum sul divorzio e l’aborto – sono stati convocati referendum su abrogazioni di modesto interesse (nel nostro Paese è ammesso solo il referendum abrogativo), salvo lo scivolone costituzionale che ha travolto Renzi e il suo Governo qualche anno fa. Ma non va solo modificata la parte relativa al quorum di partecipazione richiesto per rendere valido un referendum, bensì gli italiani chiedono a gran voce la riforma delle riforme, quella elettorale. Dal Mattarellum al Rosatellum, al Porcellum di Calderoli, è evidente che l’attuale legge elettorale non può continuare a esistere, privando i cittadini del diritto di scelta dei candidati, ma affidando loro una semplice ratifica di scelte operate dalle segreterie dei partiti.

Una nuova legge elettorale, sempre promessa da ogni nuovo Parlamento e annunciata in pompa magna dalle intenzioni di ogni nuovo Governo appena insediatosi, in realtà la politica probabilmente non la vuole, perché ogni parte pensa a come “fregare” gli avversari utilizzando al meglio (ovvero al peggio) le attuali disposizioni sul voto. La crescente disaffezione alle urne ha molte origini: di certo, in primo luogo, lo scoramento del cittadino verso chi governa o di chi fa le leggi, ovvero il mancato riconoscimento – per sfiducia, spesso motivata – nei confronti della politica stessa, ma ci sono anche ragioni molto più semplici che favoriscono l’assenteismo. Prendete la Calabria, per esempio: sull’oltre milione e 800mila di iscritti a votare c’è un buon 25 per cento che non risiede nella regione, vuoi per motivi di lavoro vuoi per motivi di studio. Questo 25% andrebbe in qualche modo considerato quando si conta l’affluenza alle urne perché non può essere considerato un assenteismo volontario, frutto di dissenso o espressione di un rigetto della politica, bensì è la plastica rappresentazione di una realtà che fa i conti con i soldi in tasca.

Il viaggio per tornare a votare – nonostante le agevolazioni previste – ha un costo che, alle attuali condizioni economiche, diventa spesso proibitivo per molti, soprattutto per gli studenti, già in brache di tela per gli affitti nelle città universitarie. E allora perché non ricorrere al voto elettronico? Ben due proposte di legge (una partita dalla meritoria azione dei giovani calabresi del Collettivo Peppe Valarioti nel 2021) sono miseramente naufragate.

La richiesta del voto ai fuorisede era il punto di partenza per aprire alla possibilità di introdurre il “voto a distanza” sul modello di quello delle circoscrizioni estere. Già, perché c’è anche l’assurdo che il voto per corrispondenza vale esclusivamente per l’Estero ma non è – allo stato – attuabile in Italia. Anche questa dovrebbe far parte della riforma elettorale, quella che deve permettere ai cittadini di tornare con convinzione alle urne per scegliere i propri rappresentanti e quella che deve consentire (gli strumenti elettronici a garanzia antibroglio ci sono) il voto anche a chi si trova momentaneamente lontano dalla propria circoscrizione elettorale.

Manca – lasciatecelo dire – la volontà politica di riformare la legge elettorale. Ma, almeno, sia consentito il voto a distanza. Intanto andiamo tutti a votare e contiamoci, per contare. (ams)