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Il popolo sconosciuto dei Lacini: I luoghi della Memoria, Origine e dalla natura al popoli

Il popolo sconosciuto dei Lacini: I luoghi della Memoria, Origine e dalla natura al popoli

di SALVATORE MONGIARDOAi tempi della mia infanzia, intorno al 1950, il freddo invernale pungente era chiamato freddo di Lacina, nome dell’altipiano sito a circa 800 metri s.l.m. e compreso attualmente tra vari comuni: Badolato, Isca, Sant’Andrea, San Sostene, Cardinale, Torre di Ruggiero, Simbario, Brognaturo, Spadola e Serra San Bruno. Il suo punto più caratteristico si trovava nel vasto e leggero avvallamento compreso tra Cardinale, San Sostene e Sant’Andrea, il mio paese natale. Circa quaranta anni fa, quella distesa fu coperta da un lago artificiale, chiamato impropriamente Invaso dell’Álaco. Da lì sorgeva e sorge ancora il torrente perenne chiamato Álaca, che divide i due comuni di Sant’Andrea e San Sostene. 

In estate gli abitanti dei paesi vicini facevano scampagnate nei folti boschi ai lati della distesa, che era punteggiata al centro da due ontani e da un mini-laghetto tondeggiante, chiamato Gran Gurno, cioè grande pozza. In realtà esso era una bocca vulcanica, che eruttò fango caldo nel grande terremoto della Calabria del 1783. Tanto mi raccontava il nonno materno Bruno Codispoti (1878-1958), che lo aveva appreso da lunga tradizione orale. Quel sito era frequentato dai pastori, che vi conducevano le pecore per il pascolo estivo, dai contadini, che vi coltivavano il grano, e da guardiani di vacche. 

Il nome di Lacina è usato dalle popolazioni circonvicine da epoca immemorabile. Difatti, Il fiume Ancinale, che sbocca cinque km più a nord dell’Álaca, davanti a Soverato, deriva il suo nome dall’aggettivo Lacinale, perché le sue sorgenti sgorgano nel territorio di Serra e le sue acque si ingrossano con l’apporto di piccoli affluenti della Lacina. Il nome di Álaca, come lo stesso nome di Lacina, potrebbero derivare entrambi dal greco lakkos, stagno o pozza, parola ancora usata in andreolese come laccu. Nel Comune di San Sostene, subito dopo il ponte dell’Álaca sulla SS 106 andando a Soverato, esiste sul lato monte una località chiamata Lacco o Lacchetto, che presumibilmente hanno la stessa origine. Al riguardo vedi pagina 511 del Dizionario Andreolese-Italiano di Enrico Armogida. 

Mappa Lacini

Mappa dell’Istmo Squillace-Lamezia o Gola di Marcellinara, lungo circa 32 km, e del Golfo di Squillace, che va da Monasterace a Capo Rizzuto (km 120). Circa 20 km più a nord, si trova Capo Lacinio (Lakinion Akron), il quale a sua volta dista da Crotone 12 km. Capo Lacinio è chiamato anche Capo Colonna dall’ultima colonna rimasta del tempio di Hera LaciniaLa macchia azzurra vicina a Serra San Bruno è l’Invaso dell’Álaca

Origine dei Lacini

Per capire l’origine del popolo dei Lacini bisogna fare un salto indietro di milioni di anni, quando parte della Calabria attuale si staccò dalla Sardegna-Corsica e si unì al complesso dell’Appennino meridionale. L’Istmo Squillace-Lamezia, la parte più stretta della penisola italiana, è uno dei punti di unione del blocco proveniente dalla Sardegna-Corsica. Essendo pianeggiante, l’Istmo ha favorito il fenomeno raro della fruttificazione perenne nelle terre circonvicine. Difatti, in ogni mese dell’anno nascono e crescono frutta, foraggi, legumi, cereali, verdure, castagne, olive, agrumi, funghi, erbe e bacche commestibili di ogni sorta. Questo deriva dallo scambio termico originato dai venti caldi di scirocco che provengono da sud-est, da Squillace, e quelli freschi di ponente, che spirano da ovest, da Lamezia. Senza questo corridoio dei venti, se cioè l’Appennino fosse stato ininterrottamente alto e compatto, i venti sarebbero rimasti bloccati nei due versanti jonico e tirrenico senza mescolarsi. Invece, lo scambio termico genera nelle vicinanze dell’Istmo una piovosità più abbondante che nel resto della Calabria. 

La presenza umana in Calabria risale almeno a 700.000 (settecentomila) anni a.C., come testimoniano i manufatti trovati nei pressi del Lago Ampollino (Cosenza) e a Casella di Maida (Catanzaro), manufatti attribuiti a ominidi vissuti molto prima dell’homo sapiens, comparso intorno a 300.000 (trecentomila) anni a. C. Nella Grotta del Romito di Papasidero (Cosenza), il bue primigenio delineato sulla roccia risale a 12.000 (dodicimila) anni a. C., mentre le tombe all’interno della Grotta risalgono a 22.000 (ventiduemila) anni a. C., date stabilite dai ricercatori dell’Università di Firenze. 

Dalla natura ai popoli

La natura è stata particolarmente benevola e generosa in quella zona di Calabria, offrendo condizioni geografiche e climatiche favorevoli che hanno plasmato a loro volta una popolazione benevola e generosa. Difatti, quando intorno al 10000 (diecimila) a.C. nacque l’agricoltura, le donne guidavano i popoli tra cui i neolitici Lacini. Non c’erano armi né guerre, si viveva in comunità di vita e di beni e si praticava quotidianamente lo scambio dei doni. Attorno a tutto il Golfo di Squillace sopravvivono ancora oggi nomi e toponimi che indicano concordemente la presenza dei Lacini lungo il golfo e nell’entroterra, presenza ulteriormente confermata da usi e costumi come la tradizione della Vaccarella di Pane.    

Seguiamo come guida la Vaccarella per scoprire il popolo dei Lacini cominciando da Spadola (VV), l’unico paese dove la tradizione della Vaccarella è sopravvissuta ininterrottamente dal mondo arcaico fino a oggi. Difatti, quella Vaccarella viene infornata e regalata in forme grandi e piccole due volte l’anno, per la festa del protettore San Nicola, la prima domenica di agosto e il 6 dicembre. Ai bordi di Spadola c’è una magnifica montagna alberata, chiamata Torello – nella quale si trova la tenuta del Prof. Giuseppe Nisticò -, nome che richiama il legame tra i Lacini e il toro. A Monasterace Marina l’uso, abbandonato circa cinquanta anni fa, si è ripreso infornando la Vaccarella col primo grano raccolto. Sempre a Monasterace vivono diverse persone di cognome Taverniti, da sempre soprannominati i Lacini, che di mestiere erano mietitori di grano, e c’è inoltre una famiglia che porta il cognome di Torello. Anche a Badolato c’era la tradizione della a vaccarera ’e pana, abbandonata circa cinquanta anni fa, ma ben ricordata dalle persone anziane, come ho personalmente verificato. Confinante con Soverato poi, c’è il Comune di Montauro, il cui nome richiama il toro. Ci sono altre ipotesi (Aldo Mercurio) che non convincono sull’origine del nome di Montauro dal greco myntha+bryon, territorio ricco di menta, perché nel dialetto locale si dice Muntàvuru, e tàvuru significa unicamente toro. A poca distanza da Montauro si erge sul mare tra Stalettì e Squillace lo scoglio di Copanello, da Cassiodoro chiamato Mons Moscius, vicino al quale egli fondò il Vivarium per la preservazione della cultura antica dopo la caduta di Roma. In latino moscius non significa nulla, mentre in greco moschos significa vitellino o giovane toro.    

Il toro era venerato dall’India all’Egitto, dove era molto onorato il Bue Api, e a Creta c’era il culto del toro e il mito del Minotauro. Inoltre, la prima lettera dell’alfabeto fenicio ed ebraico àleph (bue), alfa in greco e àlif in arabo, originariamente era una testa di bue stilizzata. Il bue era particolarmente stimato nella Calabria arcaica, perché tirava l’aratro per preparare il terreno per la semina del grano. Tutti questi toponimi che richiamano il vitellino o toro confermano la tesi dei vari autori antichi, che fanno derivare il nome di Italo e Italia da viteliu, termine di origine preitalica. Nella religione induista poi, Nandi, il toro bianco è la cavalcatura del Dio Shiva. (sm)