di BIAGIO MAIMONE – Reggio Calabria diventa, ancora una volta, capitale dello sport, con il Memorial Gianluca Vialli in programma il 10 settembre allo stadio “Oreste Granillo”. Per l’occasione, abbiamo intervistato il sindaco f.f. del Comune di Reggio, Paolo Brunetti, per cui «è un onore celebrare la memoria di un monumento del calcio mondiale».
Reggio Calabria diventa teatro di una straordinaria iniziativa, che è, nel contempo, di natura sportiva e di natura solidale, al fine di ricordare il grande campione Gianluca Vialli. È ben evidente che Reggio Calabria sia una città in costante crescita, che dimostra grande attenzione a rilevanti tematiche culturali, ponendosi, in tal modo, in un’ottica che fa della cultura la chiave di volta per realizzare un’autentica e rilevante inclusione nella vita socio-politica ed anche economica della nazione italiana. Un Suo parere in merito.
«È un onore che si sia scelta Reggio Calabria per celebrare la memoria di un monumento del calcio mondiale. Gianluca Vialli è stato un grande atleta, ma soprattutto un uomo che, nel momento più difficile delle sua vita, ha saputo affrontare la malattia con coraggio, dignità e divenendo esempio per ognuno di noi».
«Il suo insegnamento si cala perfettamente nelle dinamiche che dovrebbero governare una comunità. Solidarietà, empatia, determinazione sono elementi essenziali per ogni amministratore. In questo senso, sport e cultura assumono un ruolo molto importante per la crescita di un territorio. Per Reggio Calabria rappresentano una leva strategica per lo sviluppo. In questi anni abbiamo puntato sulla qualità e sulla fruibilità di eventi che possono davvero contribuire a modificare una narrazione spesso errata e distorta della nostra magnifica realtà oltre, ovviamente, a produrre economia per le moltissime attività che costituiscono un indotto davvero rilevante».
Si parla molto, in questi giorni, della rinascita del Sud Italia, che può rendere Reggio Calabria protagonista di un cambiamento. Al centro del dibattito vi è la realizzazione del ponte sullo stretto, che apre uno scenario di possibilità di crescita socio-economica per i territori coinvolti, ossia la Calabria e la Sicilia, oltre all’intero territorio italiano. Si crea – senza dubbio – un terreno fervido di opportunità che possono condurre ad una trasformazione epocale del Sud Italia, rimasto per lungo tempo negletto, se non addirittura ai margini della vita socio – economica e politica italiana. Quali sono le Sue aspettative?
«Sono decenni che si fa un gran parlare del Ponte sullo Stretto. Personalmente credo serva più alla Sicilia, ma con le giuste garanzie e con un coinvolgimento pieno, diretto e concreto delle comunità locali da parte del Governo ritengo possa rappresentare un’opportunità sotto l’aspetto turistico. Di epocale, al momento, esistono solo una miriade di studi e progetti sulla carta. Non vorrei rimanesse un’eterna incompiuta e, per questo, l’ennesimo sfregio al nostro bellissimo paesaggio».
«I miliardi che si vorrebbero spendere per questa mega opera li avrei spesi diversamente, ma non tocca ovviamente al Comune decidere. Qui servono servizi, strade, ferrovie, una rivoluzione della mobilità interna che potrebbe davvero costituire una svolta per territori difficilmente raggiungibili o che scontano un tributo pesantissimo in termini di morti sulle strade. Credo siano queste le priorità per il nostro territorio. Poi, ma solo poi, anche il ponte sullo Stretto».
I giovani calabresi spesso sono “cervelli in fuga”, in quanto per trovare occupazione devono lasciare la propria amata terra d’ origine. I tempi sono maturi perché i giovani possano trovare in Calabria l’ambito in cui esprimere i propri talenti e le proprie conoscenze?
«Frenare l’emigrazione dal Mezzogiorno sarebbe in assoluto il miglior risultato che un Governo potrebbe portare a casa. Ed è un auspicio che, almeno a parole, si sono prefissati più o meno tutti i governi dal dopoguerra ad oggi. Purtroppo, nei fatti, paghiamo un secolo di disinteresse, di vero e proprio abbandono di intere fette del Paese. Uno sviluppo del Sud serio, concreto, reale è mancato nell’agenda di qualsiasi esecutivo a Palazzo Chigi. Questi ritardi li pagano i nostri figli costretti a cercare opportunità altrove».
«La fuga dei nostri migliori talenti è un freno irremovibile. Oggi esistono formule, come lo “smart working” che, almeno parzialmente, costituiscono un’opportunità per riportare i nostri giovani a casa. Ma è obbligatorio, per chiunque abbia un minimo di coscienza, lavorare per costruire qui delle opportunità in grado di dare un futuro alle giovani generazioni. L’emigrazione, deve essere una scelta, non una necessità».
Reggio Calabria affonda le sue radici storiche e culturali nell’antica Grecia. Può essere la rivalutazione di tali radici culturali la fonte primaria di quel capovolgimento di mentalità che realizza lo sviluppo del proprio territorio rendendolo polo di attrazione nazionale ed internazionale?
«L’ultimo anno ha segnato il 50esimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace. Le iniziative organizzate per questa ricorrenza hanno riproposto al mondo la bellezza e l’unicità dei Guerrieri che, più e meglio di chiunque altro, continuano a raccontarci della magnificenza di un’epoca in cui la civiltà era tutta raccolta fra le acque del “greco mar”. Quel fascino antico rappresenta davvero l’elemento distintivo di un’intera comunità. Il territorio reggino, infatti, è costellato di tesori da conoscere e scoprire».
«Rhegion, Medma, Scyllaeum, Locri, Caulonia sono nomi evocativi che, da tremila anni, accompagnano la vita delle nostre popolazioni. Oltre ai Bronzi, il Museo Archeologico nazionale di Reggio Calabria custodisce una miriade di reperti, testimonianza dei fasti di quelle antiche civiltà che attirano le attenzioni di studiosi, turisti e visitatori dell’intero pianeta».
Mai come nell’epoca attuale si sente l’urgenza di riscattare il valore delle proprie tradizioni e della cultura “green”, dell’amore per la natura, che è viva anche in Calabria e nel resto del Sud Italia. Lo esige il cambiamento climatico. Reggio Calabria, a Suo parere, può essere fautrice di un’economia green, ossia di un’economia che trae dal rispetto dell’ecosistema la sua linfa vitale?
«È l’unica via percorribile. Gran parte delle nostre politiche, in questi ultimi anni, sono proiettate ad un prospettiva sostenibile e sempre più a contatto con la natura. Il ‘900 è il secolo in cui l’uomo ha abusato del pianeta che ci ospita. Se vogliamo continuare a vivere quella normalità conosciuta dai nostri avi è inevitabile tornare ad avere rispetto per ciò che ci circonda, iniziando a sfruttare al massimo le opportunità energetiche che arrivano dalla natura».
«Politiche sempre più green garantiranno un futuro migliore ai nostri figli e sappiamo che il tempo a disposizione è ormai poco. I disastri naturali che, ciclicamente, colpiscono i nostri territori rappresentano un severo e drastico ammonimento per ognuno di noi. Si devono, dunque, ridurre al minimo le pressioni, ormai insostenibili, sulla qualità e quantità dei beni naturali. Attraverso la riforestazione di ampia parte del comprensorio, la promozione di nuovi strumenti di mobilità e urbanizzazione, il taglio netto al consumo del suolo e lo sfruttamento di fonti energetiche sostenibili proviamo a resistere agli stravolgimenti climatici su cui si stanno concentrando le massime attenzioni della comunità internazionale». (bm)