di ERCOLE INCALZA – Stiamo assistendo ad un momento carico di difficoltà programmatiche, di incertezze decisionali, di rischiosi cambiamenti delle possibili evoluzioni dell’intero sistema economico mondiale. In situazioni del genere diventa essenziale e determinante, almeno per quanto concerne la infrastrutturazione organica del Paese, il ricorso a due distinti atti procedurali:
Un attento e capillare esame dello stato di attuazione dei piani di rilevanza nazionale e comunitaria. Un quadro di ipotesi sulle possibili evoluzioni o involuzioni del sistema economico nazionale, comunitario ed internazionale.
In merito al primo punto non possiamo assolutamente sottovalutare il dato relativo alla grave incapacità della spesa che ha caratterizzato tre strumenti chiave come il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), il Piano Nazionale Complementare (PNC) al PNnrr, ed il Fondo di Sviluppo e Coesione.
In merito ai primi due Piani sappiamo già che dei circa 220 miliardi messi a disposizione nel 2021 saremo in grado di spenderne al massimo, entro il mese di giugno del 2026, al massimo 90 miliardi di euro; mentre dei 75 miliardi dei Fonsi di Sviluppo e Coesione 2021 – 2027, dopo quasi 5 anni dall’avvio ne abbiamo spesi solo 3,4 miliardi di euro e alla fine, cioè nel 2028, raggiungeremo una soglia di spesa non superiore ai 25 miliardi di euro. Fra un anno, al massimo due, avremo una disponibilità di risorse pari a circa 185 miliardi di euro (130 da Pnrr e PNC e 50 da FSC).
Un volano di risorse che non sarà facile mantenere e questo per due motivi perché nel caso del Pnrr e del PNCC si tratterà non più di quote a fondo perduto ma saranno sicuramente risorse trasformate in prestito con un tasso non più bassissimo come quello attuale e per quanto concerne il Fondo di Sviluppo e Coesione (FSC) il 50% è supportato da risorse dello Stato.
Sono impegni di spesa da parte dello Stato che, come più volte ribadito dal Ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti, non trovano più adeguate garanzie di coperture nelle prossime Leggi di Stabilità; in più occasioni infatti il Ministro Giorgetti ha ricordato che “sarà già un grande problema mantenere gli impegni finanziari per completare le opere inserite nei Contratti di Programma delle Ferrovie dello Stato e dell’Anas, sarà un grande problema trovare le risorse necessarie per mantenere gli impegni mirati all’attuazione delle opere di messa in sicurezza del territorio e di rivisitazione organica della offerta idrica. Siamo, quindi, di fronte ad una non facile emergenza caratterizzata da due elementi: una grave incapacità della spesa, una limitata disponibilità di risorse.
Questi due elementi trovano contemporaneamente delle condizioni al contorno non facili: più teatri bellici: quello Ucraino, quello Israeliano, quello Libanese, quello Yemenita, quelli della vasta area africana; una nuova compagine sia governativa che parlamentare della Unione Europea, una compagine che si sta rivelando giorno dopo giorno soggetta a momenti di crisi; un cambiamento repentino e in parte non previsto del comportamento della politica atlantica, in particolare del comportamento del nuovo Presidente degli Stati Uniti Donald Trump; un rischioso evolversi dell’assetto delle movimentazioni all’interno del bacino del Mediterraneo; un cambiamento creato da azioni in atto portate avanti dall’India e dalla Turchia.
Ed allora nasce spontanea, come prima azione, una lettura critica dei possibili scenari e contestualmente una immediata azione finalizzata al coinvolgimento di capitali privati. È quasi obbligato, almeno per un arco temporale di dieci anni, non “regalare” l’utilizzo di reti autostradali senza un contestuale riscossione dei pedaggi.
Cioè almeno alcuni assi autostradali come la Roma – Fiumicino, come la Salerno – Reggio Calabria, come la nuova Pontina, ecc. vanno pedaggiati. Sicuramente è una scelta impopolare, sicuramente saranno presi adeguati accorgimenti normativi per evitare che i residenti lungo tali assi siano penalizzati in modo rilevante e per questo sarà opportuno estendere su tutte le tratte autostradali quanto previsto per Legge sull’asse autostradale tirrenico.
Analogo approccio andrà seguito per le iniziative assunte, per la movimentazione delle merci, con il “Marebonus” e con il “Ferrobonus” o con tutti gli impegni assunti per il supporto per il processo di digitalizzazione dei vari HUB portuali ed interportuali.
Di fronte a questa non facile analisi dell’attuale momento storico forse diventa urgente avviare la stessa esperienza avviata nel maggio del 2001 attraverso la quale si pervenne dopo sei mesi alla stesura della Legge 443/2001 (Legge Obiettivo).
In quei sei mesi il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti coinvolse i Dicasteri competenti e tutte le Regioni insieme alle Grandi Aziende (Ferrovie dello Stato e Anas) ed alla Confindustria ed il 21 dicembre del 2001 fu possibile varare una Legge al cui interno conteneva dettagliatamente le opere strategiche necessarie per infrastrutturare in mordo organico il Paese. Ricordo che la Legge conteneva un quadro dettagliato delle esigenze finanziarie e che tali esigenze furono affrontate con la Legge 166 del 2002 e sempre nel 2002 fu anche varato un apposito Decreto Legislativo in cui si assicurata l’attuazione del Programma delle Infrastrutture Strategiche attraverso l’organismo della Struttura Tecnica di Missione.
Fino al 2014 questo impianto programmatico e gestionale ha funzionato, poi, con l’arrivo in particolare dei Governi Conte 1 e Conte 2, tutto, dico tutto, si è praticamente bloccato e questo blocco è evidente in due soli dati: Dal 2002 al 2014 (in 12 anni) sono stati spesi 232 miliardi di euro nel comparto delle opere infrastrutturali; dal 2015 al 2022 la spesa non ha superato i 21 miliardi di euro.
Ed allora forse sarebbe opportuno riutilizzare una esperienza che ha funzionato e che ha prodotto risultati. (ei)