di ANNA MARIA STANGANELLI –“Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto… Tutto quello che avete fatto a uno solo dei miei fratelli più piccoli l’avete fatto a me” (Matteo 25,31-46)
Piangono senza parlare i circa 60 migranti superstiti del naufragio a Cutro, con lo sguardo fisso nel vuoto; una donna grida disperata il nome del figlio che non trova più.
Chissà cosa pensava quel piccolo angelo sull’imbarcazione della speranza, spezzata in due dalle onde, a Steccato di Cutro, nel Crotonese.
Forse sognava un futuro diverso, fatto di giochi e divertimenti, non lo sapremo mai.
Oggi è il giorno del dolore per la Calabria e desidero esprimere la mia profonda, accorata e commossa vicinanza ai nostri fratelli coinvolti in questa tragedia.
Quanto accaduto rappresenta l’ennesimo segnale della drammatica situazione che migliaia di migranti sono costretti a vivere nel tentativo di raggiungere l’Europa, spesso a rischio della propria vita. È inaccettabile che in un’epoca in cui siamo in grado di compiere conquiste tecnologiche straordinarie, non si riesca a porre fine a questa tragica realtà.
L’Unione Europea ha una responsabilità cruciale rispetto al fenomeno migratorio, dovendo garantire l’accesso alle procedure di asilo e protezione internazionale per chi ne ha diritto, nonché promuovere politiche di sviluppo e cooperazione con i Paesi di origine dei migranti al fine di prevenire le cause profonde della migrazione forzata.
È necessario un approccio olistico e umanitario che ponga la dignità e i diritti dei migranti al centro delle politiche europee.
Il naufragio di Cutro rappresenta un duro colpo per la comunità internazionale e deve essere un forte richiamo a un impegno rinnovato pe r porre fine alle morti in mare e garantire una gestione sostenibile e umana del fenomeno migratorio.
In un momento così tragico, è importante mettere in campo iniziative di solidarietà, come i calabresi sanno fare e come già sta facendo il Governo regionale, per fornire ai sopravvissuti e alle famiglie, il sostegno, l ’assistenza medica e psicologica di cui hanno bisogno e fare il possibile per alleviare le loro sofferenze.
“Ieri sono stato salvato, oggi devo salvare gli altri. Non potrei fare altrimenti. Non si può più morire in mare per fuggire dal proprio paese in guerra… i lampedusani hanno sofferto con noi e ci hanno accolto come fratelli”.
Parole di Tadese Fisaha, l’unico tra i 155 sopravvissuti eritrei al naufragio al largo dell’isola di Lampedusa, dove il 3 ottobre 2013, 368 migranti trovarono la morte in mare, ad essere rimasto in Italia. Tadese oggi vive a Roma e aiuta altri rifugiati come lui. (stg)
(Garante della Salute della Regione Calabria)