di SANTO STRATI – L’ormai consolidata tradizione dell’alternanza nel governo regionale è stata rispettata anche stavolta, ma non va considerata una iattura, semmai il sintomo cronico di una manifesta insofferenza verso chi ha governato prima. Se si guardano le ultime passate legislature si rileva che gli elettori non hanno mai premiato con la riconferma il governo precedente. Qualcosa vorrà pur dire, ma non spiega il perdurare di un’astensionismo da record che, di fatto, non aiuta a “rivoluzionare” la politica regionale. Sia che fosse la rivoluzione dolce immaginata da Pippo Callipo e dall’inguaribile sognatore che è Antonino De Masi, industriale simbolo della lotta alla ‘ndrangheta e al malaffare, sia che trovasse spazio una qualche idea autoritaria (che, grazie a Dio, non ha fatto nemmeno capolino). Resta, allora, da capire perché accettando supinamente il gattopardesco “cambiare tutto perché nulla cambi”, i calabresi abbiano mostrato la loro parte peggiore. Quella di un pessimismo che, pur trovando tante motivazioni nella gravissima situazione di questa terra, non può essere accettato e meno che meno giustificato. Callipo ha dovuto constatare di persona la mancata adesione nel suo progetto: «Il dato dell’astensionismo – ha detto, più deluso che amareggiato – deve indurre a una riflessione profonda perché rappresenta una sconfitta di tutti, un pessimo segnale per la democrazia. Non siamo riusciti a smuovere i troppi calabresi delusi da decenni di cattiva politica, ma abbiamo riacceso la speranza in 245mila» (quelli che che lo hanno votato).
Dunque, la valanga di voti del centro-destra che ha travolto i progetti di Callipo, appoggiato dal partito più votato in Calabria, conferma che il fuoco amico si pratica ancora tra i dem, tra invidie, gelosie e divisività, ma soprattutto che ai calabresi non piace votare: il 44% di affluenza (pressoché identica a quella del 2014) getta nello sconforto chiunque abbia immaginato un qualche gesto di coraggio e di determinazione. Invece, la rassegnazione di chi non è andato a votare è rimasta tale e quale a prima e l’indignazione è cresciuta solo in chi è andato a votare, più d’uno con l’idea di dover dare almeno un’indicazione. E qualche notabile, con vagonate di voti alle spalle, rimasto fuori da Palazzo Campanella conferma che alla fine non è stato un voto “adagiato”, ma anche se in piccola parte, un po’ ragionato.
«Non cambia niente», hanno dichiarato alla televisione del Reggino, ReggioTv, tanti calabresi che non nascondevano la quieta rassegnazione di chi non ci crede più. Un atteggiamento colto anche nelle altre province, nonostante alcuni evidenti segnali, soprattutto tra i giovani, di voler partecipare e dare voce alla propria rabbia.
Al di là di queste considerazioni, occorre invece osservare che la trazione leghista del centro-destra calabrese che Salvini dava per scontata non c’è stata: i calabresi hanno, intelligentemente, bocciato le mire colonialistiche della Lega, relegandola appena sotto alla lista di Forza Italia come preferenze, e hanno indicato chiaramente che scegliendo di essere governati da una coalizione di destra preferiscono una politica di centro-moderato e non inquinato da idee sovraniste e dal vago sapore razzistico. Difatti, se si guardano i dati della coalizione di centro destra, l’area moderata raccoglie più del 34% delle preferenze, isolando al 12,25 la Lega e al 10,84% Fratelli d’Italia. Si consideri che la Lega non era presente nelle passate elezioni del 2014 ma aveva ottenuto nel 2018 il 5,61% diventato il 22,61% alle Europee dello scorso anno:. Lo sconfitto di queste elezioni è, dunque, Salvini che immaginava di poter conquistare la Calabria, ma gli è andata male (come è successo a tutti i mancati conquistatori nella secolare storia della Calabria), però è in buona compagnia.
Il partito democratico, risultato il più votato in regione (15,19%), non ha saputo capitalizzare l’ottima reputazione di Callipo facendo clamorosi errori per evidente mancanza di informazioni locali. Quando venerdì scorso all’affollata assemblea di simpatizzanti dem e di Callipo Zingaretti si è lanciato ad elogiare il sindaco Falcomatà (di fatto poco amato dai suoi cittadini) un gelo è precipitato nella grande sala Calipari. Poteva evitarsela, ma probabilmente nessuno lo ha informato che la sola idea di ricandidare Falcomatà a Reggio fa drizzare i capelli a più di un dem aduso alle bizzarrie di un partito che continua a non trovare pace.
Per non parlare dei 5 Stelle che presto diventeranno categoria protetta perché in via di estinzione: Morra e Maio non volevano presentare liste, avevano già fiutato l’aria e presentivano che era meglio non partecipare anziché prendere una colossale batosta difficilmente spiegabile. Il misterioso quanto mostruoso meccanismo di votazione popolare, che Casaleggio e company hanno battezzato Rousseau senz’alcun rispetto per il titolare di un cognome così illustre, ha deciso che invece bisognava partecipare alle elezioni. Sia in Emilia (e qui la batosta è stata ancora più pesante, col rischio serio di poter danneggiare il candidato dem a favore della Lega) che in Calabria: ma siccome ai 5 Stelle – si sa – piace farsi male da soli, anziché appoggiare il candidato del socio di governo hanno illuso il pur valente prof. Aiello che s’è trovato il fuoco amico di Morra e altri parlamentari che non hanno digerito la sua candidatura. Certo col 6,26% raccattato in Calabria (dove alle politiche del 2018 aveva raccolto il 43,39% – il quarantatre! – e il misero 4,7% dell’Emilia, è legittimo chiedersi se il governo in carica rappresenti davvero il Paese. Ma questo è un altro discorso.
Resta l’amarezza di chi, credendoci – candidati, simpatizzanti, calabresi per bene – ha provato in tutti i modi a far ricredere gli aficionados dell’astensione. Risultato in fotocopia col 2014: su 1.895.990 aventi diritto al voto si sono recati alle urne 840.563. Sono i numeri che fanno la differenza: ma in quel milione e passa che ha disertato le urne quanti troveremo, a breve, a lamentarsi perché, magari, la maggioranza non fa le cose che servono alla Calabria o l’opposizione non si oppone come dovrebbe? Lasciamoli piagnucolare da soli e ricominciamo da capo. È la politica, bellezza!
Intanto, benvenuta presidente Santelli che ha dichiarato di avere la Calabria nel cuore e di volere una regione a colori, possibilmente rock: le diamo un’ampia apertura di credito e dimostri che il fato che lei dice l’ha portata questa sfida, una volta tanto, l’ha vista giusta. (s)