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L'ADDIO / Padre Ermolao Portella, missionario calabrese in Colombia

L’ADDIO / Padre Ermolao Portella, missionario calabrese in Colombia

di PINO NANOSe ne è andato via in silenzio, senza disturbare nessuno, nella sua vecchia casa di Santa Caterina Albanese dove era nato e cresciuto, ma questo lui in realtà desiderava fare. Ma questo straordinario missionario calabrese è morto in Calabria quasi per caso, perché in realtà il suo progetto ideale era quello di tornare in Colombia per essere seppellito «nel fango che per lunghi anni lo aveva visto missionario e apostolo della Chiesa di Francesco, in uno dei posti più lontani e più infelici della terra».

C’è un libro bellissimo che oggi ce lo ricorda come se fosse ancora qui presente tra di noi, pubblicato da Demetrio Guzzardi, direttore Editoriale di Progetto 2000 e che con lui aveva un rapporto antico e quasi intimo.

«Sebbene la sua famiglia – racconta Demetrio Guzzardi – gli abbia chiesto di tornare in Italia, Padre Ermolao Portella desiderava in realtà morire in Colombia, dove aveva svolto la sua missione evangelizzatrice tra i contadini di quella terra. A 82 anni, Padre Ermolao Portella, testimone e guida spirituale della Comunità Missionaria Ardorino dei Pie Catechisti Rurali, desiderava continuare a lavorare in Colombia e voleva morire vicino alle comunità rurali che lui stesso e da solo aveva evangelizzato, instancabilmente, e con lo stesso entusiasmo dei suoi primi giorni».

Ma la vita non sai mai cosa ti riserva, e Papa Francesco un giorno lo richiama a Roma, e dopo oltre dieci anni nella missione colombiana, lui torna in Italia per sei anni come superiore generale della sua comunità. Poi, al termine del suo mandato, comunica al nuovo superiore in una lettera di grande impatto emotivo la sua disponibilità a recarsi in qualsiasi missione “Perché un missionario di Cristo- predicava- non può fermarsi mai”.

È così che nel 2016 torna nel comune di Garzón, situato nel dipartimento di Huila, praticamente a ridosso delle Ande.

«La mia famiglia – racconta a Demetrio Guzzardi in una intervista che potete anche cercare e trovare in rete su YouTube – sta ormai molto lontana dalla parrocchia di Cosenza dove io sono cresciuto come sacerdote».

Il padre missionario calabrese non fa che ripetere con insistenza: «La mia vera famiglia oggi è quella dei Garzoneños. Ho rinunciato alla mia famiglia di sangue per scoprire una famiglia spirituale», dice questo sacerdote italiano nato a Santa Caterina Albanese. E come tutti i figli migliori della terra d’Arberia Padre Portella andava fiero e orgoglioso delle sue origini arberesche e del passato del suo popolo.

«Ricordo – dice Demetrio Guzzardi – che Padre Ermolao mi raccontava che quando arrivò in Colombia, celebrava tre Messe ogni domenica in campagna e in montagna. Si recò anche in villaggi sperduti, lontanissimi, a volte inaccessibili, ma era questa la cosa che più lo affascinava. Ho conosciuto padre Ermolao Portella nel 1975, quando iniziai a seguire un’importante esperienza ecclesiale e con alcuni amici mi recavo domenicalmente a Taverna di Montalto Uffugo – allora semplicemente Bivio Acri – per un momento di condivisione e di amicizia con i ragazzi della parrocchia dell’Immacolata Concezione guidata da padre Portella. Il suo vice parroco era padre Gianfranco Todisco, che pochi anni dopo partì missionario, prima in Canada per seguire gli emigrati montaltesi, poi nel 1988 in Colombia per aprire la missione di Garzón e dal 2003 è vescovo in Basilicata a Melfi».

«Di quegli anni ricordo che la scelta di fare la caritativa dagli ardorini nasceva sia dal fatto che a Taverna abitava un nostro amico che si stava per laureare a Torino, ed aveva il desiderio di ritornare al Sud, sia per una sorta di imitazione milanese, perché i primi studenti che seguivano l’esperienza nata dal carisma di don Luigi Giussani, domenicalmente si recavano nella Bassa milanese, un luogo dove la ruralità – siamo nei primi anni Cinquanta del Novecento – era ancora viva. Dalla voce di padre Portella sentii la prima volta la frase simbolo del fondatore degli ardorini, il servo di Dio don Gaetano Mauro: «La vita rurale o è vita di fede, o è vita di tormento. Le privazioni che impone il vivere tra i campi, se non confortate, impreziosite dalla fede, diventano insopportabile strazio. La solitudine dei casolari isolati, se non è riempita di Dio, è desolante deserto».

Ma Demetrio non ha mai dimenticato il passato di Padre Portella nella parrocchia di Serra Spiga a Cosenza: «Sono stato suo ospite qualche volta anche a Roma in via della Lungara; ma quando è partito per la Colombia ed ha iniziato ad inviare mensilmente alla comunità parrocchiale cosentina di San Giuseppe, tramite il parroco, padre Pietro Giorno, una lettera familiare e molto attesa da tutti, in cui raccontava le sue esperienze missionarie, ho apprezzato moltissimo non solo il suo stile… letterario, ma anche la sua capacità di testimoniare, raccontando un «Vangelo vivo». 

Ma c’è dell’altro ancora. «L’altra cosa che ho sempre apprezzato- mi ripete Demetrio Guzzardi- e che mi permetto di chiamare teologia delle piccole cose, è quella di far vedere come vive ed opera un cristiano vero, nelle diverse situazioni in cui è chiamato ad operare. In molte delle missive – io che amo gli scritti di don Lorenzo Milani – ho ritrovato il cuore del priore di Barbiana, quando scriveva alla mamma o agli amici, ed il primo sentimento era sempre per i contadini che, lavorando la terra, hanno a cuore le meraviglie del creato. Credo che questo esempio valga molto al giorno d’oggi, la responsabilità personale è l’elemento fondamentale per costruire vere relazioni, perché nessuno vive solo, per la propria felicità». Oggi pomeriggio i suoi funerali nella chiesa di Montalto Uffugo. (pn)