A Lauropoli, nella Chiesa della Presentazione del Signore, è in corso la mostra d’arte sacra contemporanea Christus – La croce e la notte dell’artista Enzo Palazzo.
Un’esposizione composta da opere di «soggetto sacro, in modo particolare una serie di croci dipinte/materiche su carta – ha spiegato l’artista – oltre ad alcuni volti di Cristo. È dunque un’esposizione che intende fare emergere una profonda dimensione religiosa, che rivela il mio interesse per la mistica, la storia dell’arte, la teologia, misurandomi con il tema del sacro».
Con questa mostra cosa ha inteso rappresentare nello specifico?
«La mia produzione artistica, incentrata sulla ricerca del senso originario del gesto dell’uomo, colto nella sua condizione di precarietà e di transitorietà, è una riflessione sul rapporto tra il segno umano e l’invisibile. Infatti in questo ciclo di opere e di ricerca, il tema della croce è centrale: sono presenti delle sovrapitture alle fotografie, in cui si ritrae in espressioni di dolore. È questo un tema che trova la sua continuazione anche in altre opere».
Egli usa un linguaggio pittorico che riesce a trasmettere all’osservatore un senso immediato del dolore?
«Con questo linguaggio, in cui colore, collage, segno e gesto sono dominati dalle interrogazioni della coscienza e dagli impulsi del corpo, ho voluto porre al centro delle opere esposte questo simbolo ancestrale, che fa riferimento al sacrificio e alla morte di Cristo, declinandolo in innumerevoli variazioni. Tutta la composizione, che segue l’illustrazione della croce, è animata da una forte tensione drammatica, messa in scena da una dialettica tra caduta del colore e dal senso di elevazione di un colore che invece si fa luce. Sono queste le testimonianze di fronte al mistero di Cristo, alla riflessione sulla morte».
In che modo è giunto a rappresentare in termini artistici la forte drammaticità delle raffigurazioni?
«Fondamentali sono le opere sul volto di Cristo, sui Crocifissi. Sono queste immagini profondamente drammatiche, vissute e sofferte. Sono partito dalla riproduzione di un’icona o di un’opera d’arte medievale, per poi intervenire in modo aggressivo sull’immagine con un segno nervoso e rapido, in una continua dialettica tra annullamento e presenza, tra cancellazione e creazione, giustapponendo sempre qualcosa di nuovo su di un’immagine antica. L’immagine si presenta in questo modo in un continuo mostrarsi e annullarsi, rivelarsi e celarsi, evocando una dimensione di mistero, di interrogazione profonda che resiste a ogni tentativo di appropriazione dello sguardo».
Lei ritiene che la sua tecnica di “fare arte” abbia sufficientemente accostato il sacro al profano nei confronti dei visitatori?
Certamente sì. In questa tensione derivata dall’impeto della mia gestualità fluida e rapida, sono riuscito probabilmente a fare coincidere il gesto umano con quello religioso. La superficie diventa infatti un campo di battaglia, lo spazio di una lotta incessante tra forze, tra energie contrastanti. Nell’espressività della mia “azione”, avviene l’incontro tra visibile e invisibile, uomo e Dio, spirito e materia. Da questa lotta, è come se emergesse un grido, una supplica, un’implorazione. La dimensione “religiosa” si rivela dunque non solo per il soggetto trattato, mutuato spesso da una riflessione sui simboli cristiani, ma per il modo con il quale ho dipinto, per la forza e la carica espressive.
Enzo Palazzo con questa sua mostra non solo ha riproposto al vasto pubblico una riflessione originale in chiave artistica dell’evento della Passione di Cristo, ma è stato anche una pregevole occasione di riflessione e animazione culturale dell’ambiente che dormicchia. (Martino Zuccaro)