di SANTO STRATI – Provate a chiedere a un liceale calabrese, della rivolta di Reggio Calabria del 1970. Neanche i ragazzi di Reggio sapranno rispondere: c’è un ricordo forte, pur se annebbiato dagli anni, tra gli over 60, quelli, per intenderci, all’epoca avevano 10 anni, ma la damnatio memoriae ha colpito anche qui.
Fu una rivolta di popolo e non per il pennacchio del capoluogo (come malauguratamente sosteneva l’on. Gaetano Cingari, Psi): c’erano anni di sopportazione e delusioni, è bastata una scintilla per far scendere in piazza, giovani, vecchi, genitori con bambini in carrozzella, donne, tantissime donne, che gridavano di avere attenzione. Chiedevano un futuro per i propri figli, lavoro, crescita del territorio e sviluppo che avrebbe significato benessere.
I politici di allora non capirono e, anzi, fecero pesare ancor di più la supremazia (politica) di Cosenza e Catanzaro: loro avevano Misasi, Mancini, Pucci, Reggio aveva onesti (e modesti) rappresentanti in Parlamento. Sono passati 55 anni ma le “lacrime di Reggio” (come titolammo uno speciale per il 50° anniversario, in pieno Covid) sono ancora umide. La Calabria non ha ancora realizzato l’idea di fare rete, superando localismi e campanilismi, ma ci sono segnali incoraggianti. Però non si può dimenticare il passato, non si possono cancellare i soprusi, le vittime, i mutilati, i feriti, gli arrestati e l’illusione, allora, che qualcuno avrebbe dato ascolto ai reggini.
Va conservata la memoria storica, non soltanto per i reggini, ma per tutti i calabresi: è stata una rivolta cruenta, la più rilevante del Novecento in Europa, con l’arrivo persino dei carri armati a Reggio per domare i rivoltosi. Eppure si è persa – fino a oggi – l’occasione per far sì che la memoria e il ricordo di quelle drammatiche giornate non vadano dispersi. I giovani non sanno nulla della rivolta, bisogna che se ne parli, che venga spiegato loro, con onestà di pensiero, cosa e perché è successo. E per raccontare ai ragazzi la rivolta l’arch. Antonella Postorino ha realizzato una storia a fumetti, una graphic novel, disegnata da Marco Barone, ambientata durante i moti di Reggio.
Un’opera che piacerà molto ai giovani, non molto affascinati dalla lettura, ma certamente divoratori di fumetti. La storia di una bambina che vede con i suoi occhi innocenti le cariche della polizia, respira l’aria contaminata dai lacrimogeni (nessuno ha mai contato o detto quanti candelotti lacrimogeni sono stati sparati durante la rivolta) e viene salvata da uno sconosciuto durante una carica della polizia. La presentazione a Palazzo Campanella, a Reggio, è stata l’occasione per parlare della rivolta, con due protagonisti di allora, il sen. Renato Meduri (all’epoca aveva 33 anni) e l’on. Natino Aloi (nel 1970 aveva 32 anni) entrambi già in politica. Il loro racconto è stato emozionante, vivido, pieno di amarezza ma senza livore e senza rancori. La memoria storica di una rivolta che la sinistra, stupidamente, lasciò nelle mani della destra, tenendo a inspiegabile distanza il popolo reggino e le sue accorate richieste.
Io che all’epoca avevo 18 anni e mezzo l’ho vissuta giorno per giorno: per me e Franco Bruno – che facevamo la maturità al liceo classico Campanella con le camionette della polizia fuori della porta e i primi scontri di piazza sul corso Garibaldi – è stato un battesimo di fuoco (è il caso di dirlo) per la nostra aspirazione di fare i giornalisti. Accanto a Luigi Malafarina, cronista di nera della Gazzetta del Sud, il primo vero grande indagatore di mafia e gran conoscitore dei segreti della ‘ndrangheta (ci ha scritto svariati libri, ampiamente saccheggiati poi dai nuovi maîtres à penser presunti mafiologi) abbiamo imparato sulle barricate come si fa giornalismo.
Peraltro a Reggio vennero giornalisti da tutto il mondo e Malafarina li accoglieva tutti e dispensava loro notizie che non avrebbero mai scoperto, suggeriva come mettersi al sicuro durante le cariche della Celere, spiegava le ragioni di quella rivolta di popolo. Malafarina cominciò a raccogliere con meticolosità tutto quello che veniva pubblicato: centinaia di ritagli di quotidiani, pagine di settimanali, periodici di tutto il mondo. Non so come facesse ma si faceva mandare le pagine pubblicate sulla rivolta, giorno dopo giorno, voleva essere documentato da come la stampa trattava i moti. Una stanza piena di giornali che io e Franco eravamo entusiasti di aiutare a classificare e archiviare.
Nacque così l’idea di scrivere a sei mani la storia della rivolta, raccontando le varie posizioni politiche, la cronaca e riportando con assoluta terzietà “pillole” dei vari inviati, in un collage informativo estremamente vigoroso e obiettivo. Vide la luce così Buio a Reggio, la monumentale storia della rivolta che, però, nessun grande editore voleva pubblicare. In realtà, c’erano stati contatti importanti con la Rizzoli e con Laterza, ma la prima si defilò dopo qualche “suggerimento” proprio il giorno della firma del contratto, la seconda, per voce dell’allora presidente Vito Laterza “rinunciò” a pubblicare un libro – mi disse l’editore pugliese – che «avrebbe fatto male alla sinistra».
Il libro era pronto (migliaia di cartelle dattiloscritte, mica c’era il computer allora!) che aspettavano solo di diventare carta stampata. Fu l’on. Giuseppe Reale (Dc) a volerlo pubblicare con la sua Casa editrice Parallelo 38: commissionò all’artista reggino Leo Pellicanò quattro meravigliosi disegni delle copertine (sarebbero stati 4 volumi in cofanetto per circa 1000 pagine) e si accordò per la stampa con uno dei più grandi stabilimenti tipografici di allora, la Frama di Chiaravalle. Allora si stampava con il piombo: passai due settimane a Chiaravalle Centrale, in mezzo alla neve, quel dicembre del 1972 a correggere le bozze, circondato da tonnellate di pagine di piombo uscite dalla linotype. E a metà dicembre il libro uscì e fu un successo clamoroso.
Vent’anni dopo, un altro editore “coraggioso” Franco Arcidiaco ne fece una ristampa anagrafica in due volumi e anche questa trovò largo consenso, a riprova che della rivolta si sapeva ancora troppo poco e il nostro libro ne costituiva la genuina (e indipendente) memoria storica. Buio a Reggio l’ho completamente riveduto e corretto e quindi rieditato (per Media&Books) in occasione del Cinquantenario, nel 2020, in pieno Covid.
Malafarina è scomparso nel 1988, Bruno nel 2011: senza i miei compagni di viaggio (che ho sentito comunque a me vicinissimi durante il lavoro di riedizione) ho voluto riscrivere un’introduzione con gli occhi di 50 anni dopo e dare un volto a tutti i protagonisti (politici, sindacalisti, etc.) di allora, proprio a salvaguardia della memoria storica, raccogliendo immagini dell’epoca e riutilizzando gran parte delle foto che il buon Lello Spinelli (fotografo della Gazzetta) aveva donato a Malafarina.
Tornando a al libro a fumetti 1970 La rivolta di Reggio Calabria (Laruffa editore) c’è da aggiungere che l’evento a Palazzo Campanella ha registrato numerosi interventi, a cominciare dal Presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso che ha sottolineato l’esigenza, oggi più che mai, di fare rete tra le città calabresi, superando antistorici localismi e odiosi e inutili campanilismi.
Quello che è accaduto a Reggio – ha detto Mancuso (coordinatore regionale della Lega) non va rimosso né cancellato, ma deve servire a indicare la strada di una comune intesa (senza più le storiche rivalità fra le province) per uno sforzo comune inteso alla crescita e allo sviluppo del territorio. Una sala affollatissima e un dibattito promosso da Forza Italia e coordinato da Giuseppe Sergi, che ha registrato un vibrante intervento in streaming video da Roma di Wanda Ferro, sottosegretario all’Interno, e dell’illustratore Marco Barone.
Ma applauditissimo è stato l’intervento di Francesco Cannizzaro, vicecapogruppo alla Camera, deputato azzurro e segretario regionale FI) che ha puntato tutto sull’orgoglio reggino, ferito e calpestato, sulla devastazione morale, ancorché fisica della città, mettendo in evidenza la necessità di fare finalmente chiarezza sui fatti di Reggio. 55 anni fa – ha detto Cannizzaro – io non ero nemmeno nato e le poche cose che so le ho apprese dal libro di Malafarina, Bruno e Strati: bisogna far conoscere ai nostri giovani cosa successe 55 anni fa e perché, bisogna andare nelle scuole (e il libro di Postorino-Barone ha buone chances di essere accolto e apprezzato dagli studenti), ma bisogna parlare e far parlare chi c’era e chi è venuto dopo, chi ha studiato la rivolta e i documenti oggi non più secretati, perché la memoria del passato – ha detto – è la pietra d’inciampo del futuro.
Molte cose, a partire dal Porto di Reggio, non sarebbero state realizzate senza i morti e i feriti di Reggio: non lo dimentichiamo. (s)







