NUOVE STUPIDE SCINTILLE PENSANDO ALLE "CALABRIE" DEL PASSATO, IL FUTURO È UNA REGIONE COESA E UNITA;
Reggio (fotografia di Oreste Arconte)

L’INUTILE RIVALITÀ REGGIO-CATANZARO
È ANTISTORICA E VA CONTRO LA CRESCITA

di SANTO STRATI – La miserevole e sciocca trovata acchiappavoti del candidato sindaco di Catanzaro Valerio Donato ha riacceso – per fortuna, soltanto per un soffio – l’antica rivalità Reggio-Catanzaro. Donato ha chiesto di portare a Germaneto la sede del Consiglio regionale, che è a Reggio (come da statuto della Regione), dove ha sede la Giunta. Una mossa infelice del docente universitario in cerca di consensi che sta perdendo ogni giorno che passa e che riporta all’idea delle “Calabrie”, ognuna con le sue identità, ognuna per proprio conto.

Sono trascorsi quasi 52 anni da quel tragico 14 luglio 1970, quando la “guerra per il capoluogo” fece esplodere in pieno tutte le contraddizioni, l’arroganza politica, l’incapacità di mediazione, tra due città che languivano, ciascuna per proprio conto, in una terra senza futuro, e il prof dell’Università Magna Graecia che fa? Prova a ributtare benzina su fuoco dell’antica rivalità, andando contro la storia in nome di un bieco campanilismo (quello che imputavano a Reggio quando chiedeva di mantenere un diritto che il tempo aveva consolidato). Sui libri di scuola si era sempre studiato che il capoluogo della Calabria era Reggio, poi a tavolino la politica decise diversamente…

La nascita delle regioni che doveva segnare per l’Italia il compimento del dettato costituzionale, secondo una visione nobile dei padri costituenti, si trasformò, invece, in un carrozzone spesso più con missione di poltronificio che di vera attenzione al territorio e alle sue possibilità di sviluppo. Non si può e non si deve tornare indietro, ma soprattutto non si deve ricadere (da parte dei catanzaresi) nella provocazione di una falsa rivalsa per costruire (solo idealmente) la “capitale” della Calabria. Né tanto meno Reggio, che versato tante lacrime per e nella rivolta, deve proseguire in un interminabile contenzioso con l’«odiata» Catanzaro che ha «scippato tutto», a partire dal capoluogo.

C’è un obiettivo in comune che dovrebbe suggerire ai calabresi, di qualunque città, borgo o paese, di tentare (almeno questo) di pensare in positivo per il bene comune della regione, del territorio. Guardando alla crescita non impossibile che le nuove generazioni attendono e sognano, per poter continuare a studiare, lavorare, farsi una famiglia là dove sono nati. La Calabria vanta un tristissimo record, quello dell’emigrazione intellettuale. Un convegno a Reggio di sei anni (La cultura esportata) aveva messo in luce la scarsa visione di futuro della classe politica calabrese, soprattutto nei confronti dei giovani. È finita da tantissimi anni l’emigrazione con le valigie di cartone, è subentrata quella dei trolley e dei telefonini: giovani brillanti, laureati nelle nostre università che sfiorano l’eccellenza, non hanno opportunità di occupazione stabile, di lavoro serio, che permettano loro di mostrare le proprie capacità e metterle al servizio della propria terra. Invece, le regioni del Nord (ma anche altri Paesi in tutto il mondo), furbe a intuire il valore del capitale umano, accolgono a braccia aperte i giovani formati in Calabria e puntano sulle loro capacità per costruire percorsi di successo in tutti i campi. A cominciare dalla medicina: vi siete mai chiesti perché in ogni i angolo d’Italia, ma anche del mondo, nei posti chiave degli ospedali ci sono primari calabresi? E nel mondo dell’imprenditoria, in Italia e nel mondo ci sono manager la cui origine è marcatamente (e orgogliosamente, grazie a Dio) calabrese? Risposta semplice: è utile per i nostri ragazzi fare esperienza all’estero o fuori della Calabria, ma poi come fanno a tornare se mancano assolutamente le opportunità?

È a questo che bisognerebbe puntare, non al “capoluogo” o agli uffici da trasferire o ritrasferire (da una parte e dall’altra), non servono dispute di chi ce l’ha più lungo, occorre, invece, puntare a realizzare una felice idea di comunità, che, puntando sull’orgoglio della calabresità, parli un’unica lingua, quella di una Calabria che crede nelle sue possibilità e nella capacità di un percorso di crescita senza eguali.

Certo, a parole è facile, nei fatti è tutto più complicato, soprattutto se si continua ad alimentare un becero campanilismo di quartiere, dove prevalgono racconti, rivalse, gelosie e invidie. Per fortuna, c’è gente che ragiona: il presidente del Consiglio regionale, leghista e catanzarese, ha troncato subito qualsiasi ipotesi di polemica: sta scritto sullo Statuto della Regione, il Consiglio sta a Reggio. E punto. E il deputato reggino Francesco Cannizzaro, 39enne che ai tempi della rivolta non era nemmeno nato, ha subito rimandato al mittente la provocazione catanzarese di Donato definendo «grottesche» le sue dichiarazioni: «le avrà rilasciate – ha detto – dopo un’allegra serata con gli amici. Stento a credere come, nel 2022, una persona con un background di un certo tipo possa abbandonarsi in argomenti di becero populismo, per tentare di strappare qualche voto».

Il risultato di questo «becero populismo» del candidato sindaco catanzarese è stato che altri hanno avanzato, in nome di un revanscismo da operetta, tante altre rivendicazioni (la sede Rai, la guerra a Cosenza che vuole “rubare” la facoltà di Medicina, età). E a Reggio un’ondata, inevitabile, di rigoroso dissenso che ha rispolverato i torti “subiti” proprio dall’attuale capoluogo.

Oggi, a Reggio, con il pretesto della riedizione del libro Buio a Reggio, da me realizzato nel 1971 unitamente a Luigi Malafarina e a Franco Bruno) si parlerà non tanto della rivolta («la cui storia è stata troppo spesso controversa e diventata un mal di pancia per diversi politici e diversi partiti» ho scritto nella nuova introduzione dell’edizione del cinquantenario) ma di cosa è successo in questi 50 anni. Poco, tanto, pochissimo: sta sotto gli occhi di tutti e proprio per questo, per l’incapacità non solo di Reggio, ma dell’intera Calabria, di esprimere una classe politica e dirigente di livello, è auspicabile che si possa immaginare di poter parlare una sola voce, in un’ottica di comune benessere e futuro migliore per i nostri figli..

Qualcosa sta, obiettivamente, cambiando: il nuovo presidente Roberto Occhiuto mostra di avere una visione di futuro che parla calabrese, non il cosentino, il catanzarese, il crotonese, il reggino, il vibonese, ma appunto il calabrese. Un’unità di intenti che auspica il coinvolgimento di tutto il territorio, al di là degli schieramenti politici, al di là degli steccati ideologici e dei provincialismi, con un obiettivo preciso: mostrare una Calabria che nessuno si aspetta. E c’è anche una diversa attenzione da parte della Giunta di Germaneto nei confronti della città più a sud del sud: Occhiuto tra le deleghe assegnata alla valente e straordinariamente efficace vicepresidente Giusi Princi ne ha inventata una nuova, quelle delle azioni straordinarie per la Città Metropolitana di Reggio. I reggini, con sospetto e riluttanza, non hanno ben compreso il significato di questa delega. Rappresenta un interesse preciso della Regione nei confronti della città che più ha sofferto nel difficile percorso della rinascita (ancora in fieri). Reggio ha versato sangue e lacrime, non è più capoluogo di regione, ma è una Città Metropolitana da cui, tra l’altro, dipende il grande motore di sviluppo che è rappresentato dal Porto di Gioia Tauro dalla Zona Economica Speciale. Reggio costituisce il propulsore di un rinnovamento che spazia ben al di là dei suoi confini provinciali, coinvolgendo gli importanti atenei di Catanzaro e Cosenza, creando un acceleratore, un incubatole di sviluppo che non è della Città Metropolitana: è di tutta la Calabria.

I calabresi facciano tesoro del passato, dimentichino rancori e malanimo degli uni contro gli altri, e facciano in nome delle generazioni future un vero passo di progresso che solo una auspicata “pacificazione” può generare. La visione di futuro non appartiene solo a chi ci amministra (quando dimostra di averla, come il presidente Occhiuto) ma è del territorio. La Calabria deve crederci, ci devono credere i calabresi, ci dobbiamo credere tutti. Ce lo chiedono i nostri ragazzi indipendentemente se vivono a Crotone o a Lamezia Terme, o nei borghi meravigliosi della Jonica reggina, nel capoluogo o nella bella Vibo Valentia, sempre ultima nelle classifiche sulla qualità della vita. C’è ingegno, creatività, una innata forza di volontà nei calabresi e nei nostri giovani: restituiamo loro il futuro che qualcuno ha provato a rubare. E per farlo ricominciamo dall’anno zero: la nostra terra è meravigliosa, ma  molti calabresi ancora non l’hanno capito. Lo attestano gli altri: sia i calabresi (oltre sei milioni) che vivono in ogni angolo del mondo, sia quelli che scoprono la Calabria e, inevitabilmente, se ne innamorano. Se anche i calabresi d’innamorassero della propria terra, avremmo la nuova California d’Europa. (s)

(La foto di copertina è di Oreste Arconte)