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L’OPINIONE / Filippo Veltri: Il valore dell’Unical e le polemiche da pollaio

di FILIPPO VELTRI – «L’Unical ha laureato più di 100mila giovani calabresi, realizzando così quello che era il sogno dei padri fondatori: diventare fucina della classe dirigente»: così ha detto ieri mattina nel corso della cerimonia per i 50 anni di istituzione dell’ Ateneo di Arcavata il suo attuale Rettore, Nicola Leone. Il quale ha subito aggiunto: «anche il presidente della Regione ed io stesso oggi rettore dell’Unical abbiamo conseguito qui la laurea».

Leone ovviamente per assoluta modestia non ha aggiunto che egli stesso è oggi uno scienziato di valore mondiale. Ma il punto di fondo non è questo e sta invece in quella cifra di 100 mila giovani calabresi laureati in quella struttura. Per gran parte di quei 100 mila non sarebbe stato infatti possibile arrivare alla laurea visto che fuori dalla nostra regione non erano in grado le loro famiglie di sostenere i costi di 5 e più anni di studi. Sono invece arrivati al traguardo finale ragazzi di famiglie poverissime dei paesi più sperduti e lontani di tutta (rpt tutta) la Calabria, che in questi 50 anni hanno avuto la possibilità di farlo e poi di diventare qualcuno, non solo di trovare un lavoro.

Io ne conosco decine e decine di ragazze e ragazzi di Locri, di Isca sullo Jonio, di Mormanno, di Limbadi, di Caraffa del Bianco, di Cotronei e via discorrendo che si sono laureati in Ingegneria, in matematica, in fisica, in chimica, in lettere, in storia e hanno cambiato le sorti loro e delle loro famiglie. Ne conosco decine che oggi lavorano in prestigiose aziende o istituti di ricerca delle principali città europee e che occupano anzi postazioni di prestigio in grandi multinazionali.

Ieri mattina il magnifico rettore ha tracciato un bilancio dei primi tre anni del suo mandato: «Nel solo 2022 l’Unical ha già vinto bandi per più di 100 milioni di risorse del Pnrr. Si tratta di una grande opportunità. Siamo pronti a mettere competenze, progettualità e saperi a disposizione delle altre istituzioni per realizzare progetti ancora più ambiziosi. Siamo un ateneo moderno e abbiamo, tra i nostri obiettivi strategici, anche quello di garantire la copertura del cento per cento delle borse di studio» ed ha pure annunciato l’attivazione di una call aperta a scienziati di tutto il mondo per verificare se ve ne siano alcuni disposti ad assumere incarichi nell’ateneo di Arcavacata. «Ci sono manifestazioni d’interesse – ha aggiunto – molto lusinghiere».

Ovviamente ci sono anche ombre e non solo luci in questi 50 anni di storia di Arcavacata, che il mai dimenticato Beniamino Andreatta volle in quel modo per sprovincializzare una società ferma e abulica come quella calabrese. Ma quello che più colpisce in queste ore è che la scommessa vinta dall’Unical si accoppi da un lato a polemiche incomprensibili sul suo specifico ruolo e dall’altro – cosa più grave – ad una polemica da pollaio che sta agitando parte del mondo politico sulle istituzioni o meno di nuove facoltà nelle tre università calabresi, con toni da guerra municipalistica che ricordano ben altri periodi bui della nostra recente storia e che sono privi di qualsiasi visione d’assieme su come – ad esempio – debba essere il sistema universitario regionale e a quali sfide debba rispondere. Ancora una volta prevale il pennacchio e il campanile, magari per strappare qualche votarello a 5 giorni dalle elezioni agitando il vessillo facile facile della difesa della città.

Ma questa non è classe dirigente, è una classe buona per addomesticare un momento, una rabbia, un desiderio di rivincita ma non per costruire il futuro. Forse tra quei 100 mila giovani calabresi laureatisi in questi 50 anni all’ Unical ci sarà anche qualcuno degli agitatori di oggi della guerra delle Università. Ma non hanno appreso costoro la lezione – caro rettore Leone – di quello che ha significato questo ateneo per la cosa più bella di tutte: tenere cioè assieme, fare crescere, studiare, dormire, mangiare sempre tutti assieme, e magari lavorare ragazze e ragazzi di Reggio e Vibo, di Catanzaro e Cosenza, di Crotone e Castrovillari. Senza pennacchi o campanili. (fv)