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L'OPINIONE / Franco Cimino: Liliana Segre, la storia democratica, l'antifascismo vivente, la bellezza al Senato

LA RIFLESSIONE / Franco Cimino: Liliana Segre, la storia democratica, l’antifascismo vivente, la bellezza al Senato

di FRANCO CIMINO – Bella, solenne, ieratica, intensa, poetica, scultorea, magnifica, questa è la donna che è stata seduta per qualche ora sul banco più alto e prestigioso, come ella stessa ha voluto definire la sua postazione odierna, assegnatale dalla norma per la sua anzianità anagrafica e, purtroppo, non parlamentare, sebbene il riconoscimento della sua storia personale l’ha portata al Senato per l’altissima scelta di Sergio Mattarella, il presidente della Repubblica democratica. È Liliana Segre, la donna sopravvissuta ai campi di concentramento nazisti, nei quali è stata deportata nel 1938, ancora bambina con i suoi sette anni appena compiuti.

Vi fu inviata dal fascismo e dal suo capo, Benito Mussolini, alleato e anzi maestro di Hitler, che alla sua filosofia di potere ha ispirato il suo assolutismo dittatoriale mentre deragliando da quella ha consumato la più dura azione criminosa nei confronti dell’umanità. Liliana Segre, in apertura del diciannovesima legislatura, ha tenuto un discorso tra i più belli che si siano mai ascoltati al Senato, colorando di sentimenti profondi quell’aula che in tempi non proprio lontano si voleva rendere “sorda e grigia per un bivacco di manipoli ”. Non ripeterò qui le sue parole e non richiamerò i suoi passaggi più importanti, se non quello in cui accanto alla richiesta di tenere alta la vigilanza nei confronti dei fenomeni d’odio che stanno attraversando la società non soltanto italiana, che hanno nella discriminazione razziale e nel rifiuto delle diversità i pilastri fondamentali, vi ha messo il richiamo forte al valore della Carta Costituzionale.

Un richiamo che non è retorico in un momento come questo in cui i principi fondamentali del vivere civile e del semplice associarsi nel consorzio umano sono non soltanto messi da parte o dimenticati, ma decisamente violati da una brutta cultura che si è ormai affermata in Italia e nel mondo. Una cultura in cui prevale la concezione del potere come forma di dominio sulle persone e della guerra, in qualsiasi forma manifesta, come strumento non solo di risoluzione di conflitti sociali e fra gli Stati, ma quale affermazione dello strapotere di una ristretta fascia di individui nei confronti della stragrande parte dell’umanità e delle popolazioni, sempre più tenute ai margini del Progresso e della vera ricchezza.

Un potere che non tiene conto né della vita né della persona, ma unicamente dell’agire degli individui all’interno di un sistema in cui essi siano sempre più pedine e strumenti per l’acquisizione e il mantenimento delle stratosferiche ricchezze di pochi. Il richiamo della senatrice Segre al valore della vita e della persona in cui risiede il principio costitutivo della stessa, che è la Libertà, che la nostra Costituzione non concede, come avviene in altre democrazie, ma unicamente riconosce, è stato il momento più forte di questo discorso. Direi commovente.

Un discorso che da domani dovrà essere portato in tutte le aule scolastiche, dalle elementari fino a quelle delle università, affinché le nuove generazioni conoscano il valore di questa grande donna, ma soprattutto quello dei principi fondamentali per i quali ella si è battuta tutta la vita. Oggi, un Paese diverso da quello divisivo, litigioso, carico di tensione e di false contrapposizioni di inesistenti ideologie, un paese divenuto ancor più egoista e indifferente alle povertà, proprie, e alle sorti degli altri, oggi un Paese diverso da questo, e, pertanto, autenticamente democratico e con un Parlamento espressivo davvero dei principi costituzionali e dell’altezza della Politica, quella con la P maiuscola che quei principi sa difendere, conservare, valorizzare, applicare, avrebbe spinto il Senato a fare un solo gesto.

Alto, solenne, intenso, bello: lasciare Liliana Segre, con una votazione unanime, seduta su quel banco più alto. Che fosse per un’intera legislatura, un anno, un mese o un solo giorno, poco importa. Ma che fosse eletta all’unanimità da quell’Aula sarebbe stata la prova migliore del ritorno del nostro Paese alla sua grandezza. Grandezza democratica. (fc)