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Nicola Gratteri

L’OPINIONE / Franco Cimino: Usare i palazzi storici di Catanzaro per i cittadini

di FRANCO CIMINO – L’ho vista in diretta Facebook. Non ero, evidentemente e per diversi motivi, invitato e non ci sarei potuto andare se anche lo avessi voluto. L’ho vista, però, tutta l’inaugurazione della nuova sede della Procura della Repubblica di Catanzaro.

È stata una festa del fatto e dell’autorevole persona che obiettivamente l’ha determinato. Il fatto, straordinario veramente per una terra che non trasforma in realtà neppure ciò che le viene portato su un piatto d’argento o, come usa dire, chiavi in mano, è la ristrutturazione a tempo record, del Convento del quattrocento, a noi noto purtroppo solo per essere stato l’ospedale militare su cui tanti fragili benefici ha costruito la nostra Città, sempre debole di progettualità e di sogni in essa realizzabili. È stata una festa sobria nell’ora del tempo breve di sé assai più sobria. Sobri e contenuti nell’imposta brevità gli interventi programmati, ai quali è mancato stranamente quello del sindaco, che forse a qualcuno è sfuggito essere nella propria Città sempre il primo cittadino, secondo solo al Presidente della Repubblica, se ivi presente.

Semplice la cornice che l’ha ospitata, anche se a renderla solenne e spettacolare è bastato quel magnifico quadrato in cui si è svolta. È il chiostro su cui vigila attento e forte la cinta di mura dietro le quali scorrono spazi stupendi, dai quali, dall’ingresso o dai nascondimenti, del tempo riappaiono portali e affreschi di sconosciuta bellezza. Neppure il più grande regista teatrale e cinematografico avrebbe potuto costruire uno scenario così bello. E neppure uno scrittore e un pittore di valore avrebbero saputo rappresentarlo così bene. Solo l’arte dell’architettura del quattrocento, la visione religiosa dell’opera dell’uomo, l’ottimismo del tempo, il fine cui quell’edificio era affidato, il Convento degli Osservanti, avrebbe potuto pensarlo, progettarlo, costruirlo.

È stata una bella festa, come lo è sempre quando un bene si offre ad altro bene e insieme alla Comunità che dovrebbe goderlo. Una bella festa, anche, e giustamente, per il dottore Gratteri, l’uomo testardo e volenteroso, che quando si mette in testa una cosa la realizza facendo ricorso soprattutto alle sue risorse, anche fisiche, straordinarie. Nella sobrietà del suo discorso ha nuovamente detto parole forti, riproponendole nei brevi video del suo iniziale lavoro in Procura, apparentemente indirizzate a coloro i quali (pochissimi tanto che io non ne ricordo uno, tranne il mio soltanto e quello di un noto avvocato e politico catanzarese che per pochissimo mi ha sostenuto in quella “gentile” battaglia) avrebbero pensato a un’altra destinazione di quell’edificio monumentale. Pensato e lungamente motivato è stato il mio pensiero in merito.

Che così sintetizzo: Catanzaro ha bisogno di giovani, che studino dentro spazi non solo confortevoli ma anche pieni di storia e di bellezza. Ché la storia si impara anche con gli occhi e la bellezza si respira soprattutto col cuore.

Quel Convento della seconda metà del Quattrocento, a due passi dal Centro Storico, che i giovani e nuova vita attende da troppi anni per liberarsi del traffico d’auto, dei rumori dei motori e poter finalmente riascoltare il vociare e i passi delle persone, mi sembrava, e da tempi molto lontano da quello dell’avvento di Nicola Gratteri, fosse perfetto per allocarvi una o più facoltà universitarie, oppure un polo poliartistico che andasse dal Conservatorio all’Accademia della Bellezza Arti.

Con gli occhi aperti, sognando, ogniqualvolta, per più volte al giorno, di tutti i giorni, compresi i molti estivi, vi passasi davanti, che in quelle stanze si potessero tenere lezioni. E in quella corte o chiostro i ragazzi, nelle pause dello studio, si dessero agli incontri, amicali e amorosi, ovvero soltanto per discutere delle proprie semplici cose e di quelle complesse del mondo. E poi, tutti, al riapparir della prima sera sul Corso, a bere una birra, a fare l’aperitivo, prima di un bel film o del teatro, o di una pizza o di un piatto.

Ovvero, di un buon morzeddru nelle trattorie tipiche, nel frattempo da noi catanzaresi, istituzioni comprese, difese e valorizzate. Un’idea, questa mia, che vive sulle stesse altre idee, a questa vicine, riguardanti l’utilizzo di palazzi storici. E sono ancora tanti, nonostante alcuni, tra i più importati, le amministrazioni pubbliche se li siano lasciati sfuggire, quando addirittura esse stesse non le abbiano “(s)vendute” ai privati.

Tutto questo mio sentire, che viene dal sogno, fa parte della mia idea di Città, che può rinascere se innalza la soglia delle sue ambizioni. E se, al di là della difficile emergenza in cui essa è stata costretta da una classe dirigente negli anni sempre più debole sotto ogni profilo, saprà puntare decisamente sulla promozione della Cultura, che è, lo ripeterò fino alla noia, recupero della storia di Catanzaro e della sua lingua, valorizzazione delle sue tradizioni, religiose, in particolare, ché si trovano in ogni quartiere o parte più piccola del suo territorio. Cultura che è cura, promozione, dei luoghi antichi, dalle piazze alle chiese ai palazzi.

Cura questa che avrà più valore se in quegli luoghi vi si farà vivere la Città nella sua anima più profonda e nei suoi elementi fondamentali, a partire dai cittadini. Un luogo della memoria storica sarà pienamente della Città se lo potranno godere liberamente e quotidianamente tutti i cittadini, anche come famiglie e singolarmente intesi. Tutto questo mio idealizzare “concretamente” si agita all’interno della mia visione di Città, del suo essere capoluogo di Regione, del suo chiamarsi Catanzaro, la Città, per cultura e posizione territoriale, aperta al mondo intero. Città ricca di bellezza con il suo mare che la bagna, l’altro che la guarda e i suoi monti, quelli della Sila, che le fanno da mantello sulle spalle, per per darle la frescura d’estate e quel vento buono che dal caldo afoso la ristora. Io sono questo. Sono il mio sentire, il mio sognare, il mio testardo voler sempre coniugare sentimento sensibilità e sogno all’interno di un agire sociale, che io chiamo Politica.

La Politica che ho sempre professato e praticato, senza soluzione di continuità e senza la deviazione dell’ambizione personale. Quella che porta molti praticanti la politica ad assoggettarsi a un potente, a cambiare continuamente veste, casacca, opinione e posizione, pur di potersi annoverare negli elenchi dei graditi al potere che conta. Ovvero, poter restare nel proprio piccolo potere disinvoltamente conquistato e a qualunque costo mantenuto.

Io sono questo, perché sono sempre stato un maestro di scuola anche nei licei in cui ho insegnato. E tale resterò per costituzione caratteriale e per il dovere di non venir meno agli ideali che ho presentato ai miei ragazzi. Anche quando ho parlato della Città. E di loro nella Città in cui vivono. E in quella che devono costruire con le proprie mani. Io sono questo, in quanto figlio di un padre che gli ha insegnato, senza libri nella testa, attraverso detti antichi, la filosofia più profonda. Ne ricordo adesso solo quelli utili al mio dire. Il primo:” cu pocu ha caru ha.” Il secondo:” iungiti cu i megghiu toi e facci i spisi. “Il terzo:” cosa fattu, capu ha.”

Il tutto mi porta a dire che adesso che all’ex Convento e ex Ospedale Militare vi è la nuova sede della Procura, realizzata con un finanziamento complessivo di circa dieci milioni di euro ben impiegati a tempo record, che la Città ha ottenuto un bene importante del quale potrà farne un utile più vasto di quello già alto della Giurisdizione.

L’ha realizzato il procuratore Gratteri con la forza del suo coraggio e di una visione delle cose fortissima, pur se diversa dalla mia. Una visione che gli è stata consentita dalla sua intelligenza e dal suo spirito di concretezza, dal suo amore per la professione e per i luoghi in cui essa si esercita, ma anche, se mi è ci sentito, dal fatto di non essere di Catanzaro. Di questa opera la nostra non potrà che essergliene grata per sempre, augurandogli ogni successo nella vita come nel lavoro. Specialmente, in quello prossimo che lo attende in una sede assai importante, non solo in Italia ma nel resto dell’Europa. Nel ringraziarlo anch’io pur se non ci siamo mai incontrati di persona (ho alcuni suoi libri non autografati), desidero, della sua schiettezza ripetuta ieri, sottolineare il suo atto d’accusa alla politica nostrana, che con i suoi rappresentanti presenti nel chiostro pure lo applaudiva.

Riguarda quel passaggio, da me condiviso, in cui dice, quasi testualmente, che lui ha portato in salvo un Palazzo storico abbandonato da anni e sul quale non vi era traccia di un progetto o di uno straccio di finanziamento. Un duro atto d’accusa a questa politica, che io condivido. E quindi, “cu pocu ricevetta tantu bonu si pigghiau” parafrasando il detto “ megghiu chistu ca nenta”. (fc)