di GIUSY IEMMA – La decisione di inviare la commissione d’accesso al comune di Bari costituisce un vulnus di non poco conto, alla luce del rischio che l’amministrazione di una grande città, democraticamente eletta e che si è distinta per l’impegno sul fronte della legalità e della lotta al malaffare, venga liquidata con un colpo di penna. Ecco perché la solidarietà verso il sindaco e presidente di Anci nazionale, Antonio Decaro, non sarà mai abbastanza. Così come non bisognerà stancarsi di ripetere che l’iniziativa sollecitata al ministro dell’Interno, per quanto ancorata a un impianto normativo vigente, è fin troppo al di sotto di ogni sospetto di strumentalità a fini politici.
Ma è proprio il clamore che la vicenda sta suscitando che può e deve trasformarsi in un’occasione per riflettere su una deriva di sistema che, a mio avviso, la politica non può più ignorare, pena la paralisi. Non è immaginabile, infatti, un’amministrazione difensiva com’è avvenuto per la medicina. Un’amministrazione cioè che rinunci al suo dovere di lavorare in favore dei cittadini perché prigioniera della paura di sbagliare o, peggio ancora, di finire nel mirino delle ritorsioni degli avversari politici.
Allora è venuto il momento di assumersi la responsabilità di dire che fermo restando l’obiettivo irrinunciabile di difendere sempre la legalità, vi sono tuttavia norme che devono essere riviste se non addirittura radicalmente riformate. Lo impone la civiltà del diritto, di cui il nostro Paese è stato lungamente riconosciuto culla.
Non c’è alcuna proporzione, nessuna ragionevolezza, nessun rispetto dei principi fondanti lo Stato moderno, se l’espressione massima della democrazia, rappresentata dal voto popolare, può essere cancellata da un meccanismo che si attiva sulla base di elementi aleatori e arriva alle sue estreme conseguenze senza mai prevedere un reale contraddittorio. Senza contare che spesso, in questi anni, i fatti ipotizzati si sono rivelati, nell’appropriata sede processuale, del tutto infondati senza che nessuno abbia avvertito il dovere di chiedere scusa agli amministratori e agli elettori.
La città di Bari, la stessa che ieri abbiamo visto presente massicciamente in piazza per difendere la sua onorabilità e le sue istituzioni, è stata un esempio per chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica. Soprattutto per noi amministratrici e amministratori del Sud, schierati dalla parte della legalità eppure guardati spesso con sospetto, gravati dal pregiudizio che ci vorrebbe espressione di una terra a vocazione criminale. E invece il malaffare si combatte tutti assieme; non si possono inserire strumentalmente elementi di dubbio perché si rischia di indebolire, fino a renderlo vano, lo sforzo di chi ha scelto di combattere la mafia con gli strumenti istituzionali disponibili; si rischia di provocare un pericoloso effetto disincentivante che paradossalmente finirebbe per rafforzare chi delinque.
L’auspicio è che la vicenda di Bari si traduca in un epilogo senza traumi per la città. Resta comunque l’opportunità che abbiamo di avviare fin da subito una riflessione seria e concreta affinché fatti come questi non abbiano mai più a ripetersi. (gi)