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L'OPINIONE / Giusy Staropoli Calafati: Walter Pedullà compie 93 anni

AUGURI / Giusy Staropoli Calafati: Walter Pedullà compie 93 anni

di GIUSY STAROPOLI CALAFATI – Siderno, 10 ottobre 1930. Nasce Walter Pedullà.

Il bambino del pallone di stoffa, a cui a fare da sponda ci sono lo Ionio e l’Aspromonte; il giovane studente di lettere all’università di Messina, a cui i libri cambiano la rotta; l’allievo modello di Giacomo De Benedetti, a cui la letteratura salva i sogni. L’intellettuale italiano, il professore delle lettere e della storia, il calabrese geniale che ha insegnato all’Italia a conoscere l’Italia meridionale.
E poi l’amico di Melo (Carmelo Filocamo) e di Saverio (Saverio Strati): il primo, intellettuale gentile apprezzato da Calvino per i suoi anagrammi, l’altro, muratore contadino con il demone della narrazione, voce incessante del neorealismo italiano. Il professore universitario con lo scranno dell’identità e la voce più imprimente, totalizzante e longeva della letteratura italiana del ‘900. Walter Pedullà nasce dalle favole. Quelle che la madre gli racconta sapientemente da bambino. Frutto di una “cultura orale”, che solo poi si depositerà nei libri.
Il padre è un grande affabulatore. Trasforma in favole la realtà. Ed è proprio la sua capacità di modificare un evento trascurabile in un racconto con la morale della favola, che persuade il giovane Walter quando è ancora un ragazzo. Quando Cuore, diventa il suo primo libro di letteratura.
A 13 anni, ha già letto tutto Shakespeare. Lo sottrae al fratello, insegnante di greco e di latino. In casa non vi sono libri di matrice diversa, e Pedullà, che legge ciò che trova, li passa tutti a memoria, e li deposita nella parte più profonda di sé. La sua inclinazione non lascia dubbi. Ma prima che con il gusto e il piacere dei sogni, è con la realtà che deve fare i conti, Walter Pedullà. E lui lo sa bene. Ne ha piena coscienza. La condizione economica precaria, non ammette né sbagli né sprechi. Bisogna centellinare tutto. Anche il tempo.
Carmina non dant panem, ripete a sé stesso.
E allora cosa può dare il pane a un giovane desideroso di conoscere la vita, come lui? Dopo il diploma liceale, si iscrive alla facoltà di Chimica Industriale a Messina. Con una laurea così avere un buon futuro, era pressoché certo. Ma è un ovvio ripiego, non è questo il pane di cui ha bisogno per nutrirsi, Walter Pedullà. A lui serve di più. Sono il suo spirito e la sua anima che hanno fame, non il suo stomaco. E insaziabile è il senso dell’umano che lo aggroviglia.
Matura immediatamente la scelta di passare a Lettere, un cambiamento da cui avrà origine la condizione esistenziale che accompagnerà parallelamente l’uomo e l’intellettuale per tutta la sua vita. A Messina diventa uno degli allievi di spicco del professore Giacomo De Bendetti. A lui lo indirizza Saverio Strati, studente di lettere anch’egli, calabrese come lui, che già segue le lezioni del professore torinese.
“ C’è un grande professore che sta tenendo una lezione su Italo Svevo” gli dice, quando per la prima volta si incontrano nei corridoi dell’università. E vanno ad ascoltarlo insieme. Pedullà, Strati e Carmelo Filocamo. Il trittico delle lettere.
La Locride è sempre stata un crocevia di geni e di intelletti. Siderno con Pedullà, Locri con Filocamo, Sant’Agata del Bianco con Strati, e poi San Luca con Alvaro, Careri con Perri, Bovalino con Mario La Cava. Un fermento culturale di cui ha sempre goduto l’Italia intera. Narratori, poeti, docenti e critici letterari. E Pedullà è frutto di quel fermento.
La Calabria non offre molto negli anni della sua giovinezza, non esistono fabbriche e le terre non danno il sostegno sperato. Resta la cultura però. La conoscenza, il sapere, e soprattutto quella sottile consapevolezza che se con la cultura non si mangia, con l’ignoranza si muore.
Le lettere hanno sempre contribuito, e in maniera attiva e concreta, alla sopravvivenza delle realtà meridionali precarie. Il sottosviluppo economico, politico sociale e culturale, vissuto e subito dai paesi del Mezzogiorno, sottomessi dai balordi sistemi dell’Italia progressista, ha sempre favorito l’annoso divario Nord/Sud.
E mentre nell’Italia settentrionale nascono e si sviluppavano le aree industriali, con decine e centinaia di fabbriche, nel Mezzogiorno continua la lotta all’arretratezza e all’analfabetismo. Ma ci sono delle aree geografiche in cui l’uomo, forte del senso della sua esistenza, è più caparbio che in altre. La Locride, in Calabria, è la prima zona interna a insorgere con una vera e propria rivoluzione culturale. Una concentrazione di genialità che guardano all’Italia e all’Europa.
Con la laurea tanti giovani meridionali sono riusciti ad occupare la capitale, riempiendo quei posti che ancora oggi, raccontano la storia di un esercito di persone che tramite un appuntamento inconscio e silenzioso, come lo definisce il professore Pedullà, si sono ritrovate dove il lavoro non era più una chimera, ed era finalmente possibile fermarsi.
A Walter Pedullà è andata proprio così.
Da studente pendolare, diventa professore fisso. Giacomo De Bendetti lo vuole con lui. A Roma, alla Sapienza. La sua preparazione può offrire agli studenti italiani forse più di quello che lo stesso De Benedetti, ha dato a lui. Da allora sono passati tanti anni. Dal 1930, esattamente 93. Quelli che oggi il professore compie e che certamente si onora di contare. 93 anni, che se sommati a quelli di tutti gli studenti formati, dei tanti intellettuali e scrittori incontrati, letti, recensiti e criticati, originerebbero secoli di vita in cui la geografia e la storia, di cui Pedullà è testimone, varrebbero – e valgono – la psicologia di un intero popolo e di tutte le sue generazioni.
Auguri, professore. Auguri per i suoi anni, ma soprattutto per la sua tempra, l’ostinazione, la lealtà, la tenacia, la sapienza e la saggezza.
Auguri per quella Calabria di cui non si è mai liberato e da cui ha sempre continuamente appreso.
Auguri, professore, per il suo compleanno, ma anche per la forza e il coraggio che ancora detiene, pari e mai impari a quelli con cui da giovane studente, pur di mantenersi agli studi, impartiva lezioni private, dall’alba a notte fonda.
Auguri, professore, per la sua esperienza letteraria trionfante, ma anche per aver saputo rinnovare ed elevare quotidianamente, con il suo intelligente operato, la forza della letteratura e quella delle parole. Per aver sempre ricordato ai suoi allievi, e al resto degli italiani, che è proprio nei momenti in cui la politica perde la strada che l’ha resa un fattore di rinnovamento e di sviluppo, che la letteratura chiede di dire la sua, rivolgendosi direttamente alla vita.
Auguri, professore, e non solo perché di stagioni oggi se ne contano 93, ma per lo spirito vivo che ancora la anima, e che è avanguardia, sperimentalismo, comicità e mutamento; indicatore di rotte che precisa che mai ci potrà essere speranza per il futuro, se non viene data la verità sul passato.
Auguri, professore, per il traguardo raggiunto che non si pone limiti e neppure ordini di tempo, ma chiede la costante revisione del processo di imbellettamento del passato. Come revisione e non revisionismo.
Grazie, professore, per il suo genio e per la sua genialità. Per aver dato modo di sapere, anche a quell’Italia e a quella Calabria, che non sempre hanno saputo comprendere il vero senso e il più profondo significato delle sue ricerche, che vi sono testi letterari in grado di essere utilizzati come materiale politico e come modello di comportamento. E grazie, glielo dico personalmente anch’io, per aver stimolato in me e nei giovani come me, il senso delle parole, il significato della letteratura. La capacità dei libri di creare indipendenza; la forza del pensiero intellettuale che permette di modificare sistemi, creandone nuovi. Con i suoi 93 anni di storia oggi, l’Italia avrebbe dovuto concedere alla letteratura, lo stesso medesimo valore della Costituzione italiana. Ma c’è ancora tanta strada da fare.
In quest’epoca contemporanea assai inquieta e spesse volte anche inconcludente, dove la storia è frequentata dal Male, l’Italia deve tornare a sentire forte, nei suoi processi di sviluppo, la vocazione verso le lettere. Per diritto e per dovere.
«Le intelligenze che una volta generavano ingegnerei, magistrati, professori, medici, avvocati, direttori generali, presidenti, industriali, intellettuali, uomini politici di grande immaginazione oggi, in assenza degli incentivi attraenti del passato, figliano ingegnosi ‘ndranghetisti, camorristi e mafiosi che figlieranno ingegneri, magistrati, ecc. ecc.?».
La letteratura ha il potere di sollevare questa cappa pietosa dalle nostre teste, sgomberando le nostre strade. Gli uomini come Walter Pedullà, l’intelligenza per dirci come fare. Ma bisogna essere disposti alla bellezza, predisposti alla signorilità della vita. (gsc)