di DOMENICO NUNNARI – In cinquant’anni di vita regionale, mai eravamo caduti così in basso. Eppure, ne abbiamo viste di tutti i colori: indagati, arrestati, corrotti, hanno frequentato i Palazzi, di Reggio e di Catanzaro, ma forse è vero che al peggio non c’è mai fine. Più caduta in basso di così, la Calabria, non potrebbe e auguriamoci veramente di aver toccato il fondo. Lo scenario della campagna elettorale è stato avvilente. Sul palcoscenico sono saliti personaggi ispirati alla commedia dell’arte, dove i testi non si recitano, ma si improvvisano in scena.
Banalità, politichese, battibeccamenti, orazioni mediocri, pensieri spompati. Contenuti? Zero. Programmi? Zero. Eppure cose da dire ce ne sarebbero state, e tante, sulla regione dei misteri e delle ombre nere, lontana da ogni realtà civile oltre che economica, oppressa dalla convinzione (e rassegnazione) di non riuscire a mutare il suo destino, segnato da oscuri presagi.
«Mio Dio come sono caduta in basso», era il titolo di un film di Luigi Comencini del 1974. Una commedia brillante, con Laura Antonelli e Alberto Lionello. Se fosse possibile far pronunciare quell’espressione alla Calabria che si reca alle urne per il voto regionale sarebbe perfetta. Mai, eravamo caduti così in basso, in cinquant’anni di vita regionale. Eppure, ne abbiamo viste di tutti i colori: indagati, arrestati, corrotti, hanno frequentato i Palazzi, di Reggio e di Catanzaro, ma forse è vero che al peggio non c’è mai fine. Più caduta in basso di così, la Calabria, non potrebbe e auguriamoci veramente di aver toccato il fondo.
Lo scenario della campagna elettorale è stato avvilente. Sul palcoscenico sono saliti personaggi ispirati alla commedia dell’arte, dove i testi non si recitano, ma si improvvisano in scena. Già, che dire delle cose dette dagli “Attori”? Banalità, politichese, battibeccamenti, orazioni mediocri, pensieri spompati. Contenuti? Zero. Programmi? Zero. Eppure cose da dire ce ne sarebbero state e tante, sulla regione dei misteri e delle ombre nere, lontana da ogni realtà civile oltre che economica, oppressa dalla convinzione (e rassegnazione) di non riuscire a mutare il suo destino, segnato da oscuri presagi.
Mio Dio, come sei caduta in basso Calabria, senza che nessuno tra i protagonisti di queste elezioni si sia chiesto il motivo per cui le cose sono arrivate a tal punto di degrado in questo pezzo d’Italia, bello e disprezzato, visitato dai leader politici nazionali solamente nelle occasioni delle campagne elettorali: facce toste, campioni di ipocrisia, lombrosiani a loro insaputa, cercatori di consensi, da spendere altrove, come negli emendamenti subdoli che sottraggono risorse al Sud, nelle proposte di autonomia differenziata, nei Mose e nelle Tav per la Francia, nelle autostrade, doppie e triple, che servono a Venezia, a Torino e Milano. Tutti gli indicatori economici europei ritraggono lo scivolamento della Calabria verso una marginalità estrema, di fanalino di coda dell’Europa, appena una soglia prima delle enclavi spagnole di Ceuta e Melilla che si trovano in terra africana. Ma di questo, e del perché la Calabria sia così, nessuno ne ha parlato.
Non saprebbero che direi i rispettabili e meno rispettabili candidati alla presidenza della Giunta, dato che dietro al loro sostegno, a parte il fai da te di De Magistris che a Napoli nessuno rimpiange come sindaco, hanno partiti che la Calabria la vedono soltanto come granaio di voti e colonizzatori e manutengoli commissari che hanno deciso, a Roma o a Milano, chi si deve candidare e chi non candidare.
Eppure questa Calabria, caduta ai margini, richiederebbe giuste attenzioni, impegni seri, capaci di far riemergere la sua storia negata, la tenacia di un’umanità forte, la consapevolezza che il senso del limite è stato varcato e che l’approssimarsi di forme di stato mafia sono vicine e bisogna correre ai ripari, non certo con le sceneggiate dei timbri romani antimafia, o dei registri da firmare nelle Prefetture, che è letteratura per ragazzi o fiabe per grandi. Un esame acuto e approfondito, della situazione della Calabria ci fa capire quanto importante sia comunque il voto, anche se il “Grande Spettacolo” di questa campagna elettorale ci dice pure quanta frustrazione ci sia nell’elettore, di fronte alla staticità della politica. La tentazione di starsene a casa per molti, forse per la maggioranza dei calabresi, è forte, ma il voto è un controllo (l’unico) oltre che un esercizio di preferenza e non possiamo/dobbiamo rinunciarci.
Possiamo, però, essere “Creativi”, senza dare nulla per scontato, lasciandoci alle spalle appartenenze, convinzioni ideologiche, per votare chi riteniamo possa essere il migliore o il meno peggio, senza dimenticare, questo è il minimo, di respingere al mittente chi questa Calabria l’ha disprezzata, vilipesa, insultata, con volgarità irripetibili, condite di razzismo.
In questo caso, diciamolo forte, e in lumbard: “Và a cà a petenà i gaenn!”. (dn)
[courtesy Riviera.web]
Nella foto la prima seduta del primo Consiglio regionale della Calabria a Catanzaro: era il 13 luglio 1970