di RITA DE LORENZO – I partiti in Italia non sono più fucina di elaborazione del pensiero e luoghi della militanza vera ma vivono, per la maggiore, una progressiva agonia dal post “Tangentopoli”.
Un’involuzione che ha determinato degli aggregati liquidi, privi di radicamento ideale e affetti dallo sfrenato leaderismo, l’unico elemento intorno al quale costruire il consenso e determinare gli esiti elettorali, attraverso profili che possano “bucare lo schermo”, per usare un’espressione televisiva, e lanciare improbabili proposte che, di fatto, non riformano il Paese ma tendono a mettere pezze e a creare nemici da combattere nell’immaginario collettivo.
È stata questa la genesi del problema che ha deteriorato la credibilità delle nostre istituzioni liberali. Ne costituiscono prova le leggi elettorali partorite dal Parlamento, a prescindere dai colori del governo di turno, dal 1994 ad oggi: la nascita delle cosiddette liste bloccate, attraverso le quali i singoli parlamentari vengono selezionati e cooptati in base alla fedeltà al presunto leader di partito, svilendone la funzione e deresponsabilizzando il mandato elettorale. Una selezione della classe politica dall’alto e spesso non corrispondente ai desiderata dei territori, sempre più astenuti dal recarsi alle urne.
E proprio perché tutt’oggi vi è chi continua a teorizzare cinicamente la liquidità dei partiti e del Parlamento, quasi come se parlassimo di zavorre, è importante che le forze politiche che non si rispecchiano in questo pantano abbiano l’obiettivo di offrire un’alternativa seria, credibile e ragionata perché in ballo vi è la vita democratica del Paese e dello Stato. Le regole democratiche, i processi decisionali o di formazione e selezione della classe dirigente non sono delle perdite di tempo ma rappresentano dei baluardi ai quali non possiamo rinunciare.
La recente storia del Paese insegna come lo scenario è tendente alla becera produzione di contenuti falsati o basati su antichi stereotipi, spesso non adattabili al contesto in cui viviamo: ciò che conta è l’intercettazione del consenso, giocando sulla pelle della povera gente, al solo fine di occupare il potere e tralasciando l’importanza della Stato di Diritto nel quale, teoricamente, vivremmo. Nasce da qui il nostro impegno, quello dell’Italia del Meridione, perché consapevoli che, tra i tanti nodi che attanagliano il Paese, vi è quello della mancata riduzione dei divari territoriali tra Nord e Sud che non solo vanifica i tentativi di crescita del sistema Italia, ma calpesta i diritti di uguaglianza sanciti dalla Costituzione.
Un impegno non ascrivibile alle desuete nostalgie novecentesche e men che meno a rivendicazioni secessioniste in stile Pontida ma all’esclusiva individuazione dei territori, ciascuno con le proprie vocazioni e problematiche, come nuovi luoghi del conflitto nei quali si consumano le disparità guidate da visioni di sviluppo che contemplano il sottosviluppo come riserva di forza lavoro da cui attingere in favore di una parte del Paese.
È su questi temi che, visto il contesto storico, occorre superare la vecchia dicotomia destra/sinistra, riunendo le migliori energie e ponendo il focus sui divari territoriali per concepire nuove coordinate di sviluppo di un’Italia davvero unita. Bisogna contrastare e superare la continua iniqua distribuzione di risorse da parte dello Stato, bisogna prendere consapevolezza delle diverse potenzialità territoriali e renderle finalmente volano di sviluppo del tessuto economico e sociale, bisogna rifiutare i meccanismi di cooptazione dei partiti centralisti e dialogare con gli stessi per apportare contributi tecnici e di merito. Bisogna, insomma, fare rete per il bene comune. (rdl)
[Rita De Lorenzo è vicesegretario regionale Vicario di Italia del Meridione]