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Dario Antonucci

Un po’ di Calabria nella conquista della luna: 50 anni fa un ingegnere di San Marco…

C’è anche un po’ di Calabria nella conquista della Luna: Dario Antonucci, 94 anni, di San Marco Argentano (CS), 50 anni fa faceva parte del team che ha reso possibile lo sbarco sulla Luna. Ingegnere calabrese, emigrato negli Usa nel 1937 con il padre e la sorella, a lui si deve la progettazione del sistema che misurava e controllava tutti i parametri di bordo della navicella Apollo.

Impiegato presso la Grumman Aerospace Corporation, società nota per aver prodotto gli aerei utilizzati in Europa durante la Seconda Guerra Mondiale, Dario ha avuto presto modo di operare anche nel settore dell’ingegneria aerospaziale al quale il colosso industriale si era da poco accostato realizzando gli Orbiting Astronomical Observer, precursori del telescopio Hubble. Già nel ’62, la Grumman aveva, inoltre firmato, un contratto con la NASA per realizzare la strumentazione del modulo lunare (LEM) e, dopo aver affidato, senza esiti convincenti, il progetto a un nutrito gruppo di persone, aveva optato per un team più ristretto, composto da tredici tecnici e quattro ingegneri, con a capo proprio il calabrese Dario Antonucci.

Come riporta l’intervista del giornalista Andrea Gualtieri su Repubblica all’ingegnere  Antonucci, che oggi vive a Knoxville, in Tennessee, «Eravamo impegnati tutto il giorno. – racconta – Staccavamo alle due o alle tre di notte. Io vivevo poco distante dal laboratorio, mi chiamavano a tutte le ore e mi precipitavo lì. È stato un grande lavoro, eravamo concentrati sull’obiettivo perché sapevamo di far parte di una missione straordinaria».

«Con il programma lunare – prosegue l’intervista di Gualtieri – è stata ideata e sviluppata una mole impressionante di tecnologia che ha aiutato il mondo a progredire: le missioni Apollo sono ancora oggi la base che permette di guardare a future esplorazioni spaziali, verso Marte e magari oltre». La conquista della Luna, scrive Gualtieri, «non fu un punto di arrivo. Dopo il 1969 lavorò a tutte le spedizioni lunari, compresa la drammatica Apollo 13: in quell’occasione fu proprio a bordo del Lem che l’equipaggio riuscì a salvarsi e a ritornare sulla Terra».

Lo scienziato, proveniente da una fattoria di San Marco Argentano, nella sua autobiografia dal titolo Dario – America’s gift to an immigrant, pubblicata nel 2011, dove è forte la gratitudine nei confronti dell’America per le opportunità che gli ha offerto, non manca il ricordo, a sé stesso e agli altri, le proprie origini, la Calabria.

«Tu non puoi sapere dove stai andando se non sai da dove vieni» si legge nella sua autobiografia. Un legame indissolubile con la propria terra, un pensiero rivolto a quella terra che lo ha visto crescere e scoprire, per la prima volta, il fascino dello spazio, grazie a un professore ebreo del posto, che gli mostrò una piccola simulazione del cielo. «Erano gli anni del fascismo – continua a raccontare Antonucci – e a scuola tutti lo emarginavano per le sue origini. Io, invece, volevo imparare».

«All’inizio – racconta Antonucci al giornalista Gualtieri – non ci capivo nulla, ma lui mi spiegò che c’era la Terra, il Sole, Marte».

Tuttavia, il trasferimento in America non fu facile: la famiglia non aveva in tasca più di trenta dollari, ma poteva contare sulla cittadinanza ottenuta dal padre grazie ai tanti anni di lavoro negli Usa.

Un inizio non facile, che ha visto il giovane prima iniziare come giardiniere con il padre – e nel mentre studiava per imparare la lingua e recuperare il diploma -, poi l’arruolamento come radio operatore a causa della guerra, e poi il ritorno nel ’46, con difficoltà per entrare al college, in quanto «in quella fase c’erano cinque milioni di giovani reduci dal conflitto che volevano iscriversi e, così, mi dissero che avrei dovuto aspettare».

Il giovane, tuttavia, non si perse d’animo, e iniziò, contemporaneamente al lavoro, i corsi serali, dove ottenne la specializzazione in elettricità e meccanica, in quanto dovette rinunciare a quella aerospaziale, che era il suo sogno. Poi il lavoro presso il colosso Gt&E, che però abbandonò presto per non lasciare il padre e i suoceri, e poi l’offerta della Grumman, e il resto è storia.

«Il mio premio più grande – ha detto il calabrese Antonucci a Gualtieri – è stato riuscire a realizzare quel progetto, che è stato un grande successo per tutta l’umanità». (ams)