di FRANCO CIMINO – «Le sentenze vanno rispettate», si dice, talvolta per convenienza. «Le sentenze vanno commentate», si dice, talvolta sull’altro versante della convenienza.
La sentenza d’appello a carico di Mimmo Lucano, emessa ieri sera, dopo otto ore di Camera di Consiglio, dalla Corte d’Appello del Tribunale di Reggio Calabria, va contemporaneamente rispettata e commentata. Innanzitutto, perché è una sentenza clamorosa, tanto auspicata quanto inaspettata. Infatti, è stata letteralmente stravolta la decisione dei giudici di primo grado del Tribunale di Locri, che l’avevano condannato a tredici anni e due mesi più settecentomila euro di ammenda e l’interruzione a vita dai pubblici uffici. Le accuse che gravavano su quella condanna, non erano mica noccioline.
L’elenco era breve ma pesante: associazione per delinquere, truffa, peculato, falso e abuso d’ufficio. Mancava la corruzione, la violenza fisica la più estesa, l’estorsione e simil reati, e sarebbe stato completo. È straordinaria perché arriva, questa sentenza, dopo quel trenta settembre del 2021 e un processo lunghissimo in quel di Locri.
L’inchiesta era iniziata alcuni anni prima. Straordinaria, perché in un “mondo di ladri” e in un Paese conosciuto per il personale politico tra i più esposti alla corruzione (fino a qualche anno fa così valutato dagli studi sociologici internazionali) un sindaco di un piccolo comune, innocente nella sua fanciullezza di persona umile e indifesa, immune da ambizioni di potere, spiritualmente intenso pur senza alcun legame religioso, veniva giudicato alla stregua del peggiore criminale.
Mimmo Lucano, l’uomo semplice e “ignorante” di legge e filosofia, matematica e tecnica finanziaria, ma profondamente saggio e autenticamente “francescano” per l’instancabile donazione di sé alla causa degli ultimi (i poveri, gli emarginati, i condannati dai poteri, gli esclusi e i cacciati, i fuggitivi dalle guerre e i respinti dai paese cosiddetti evoluti) era stato duramente condannato.
Ma la Legge è Legge e va rispettata. Applicata. E con “giustizia”. Così si dice, aggiungendo anche che più che bendata essa è cieca, propri perché non deve guardare in faccia a nessuno. Aldilà del fatto in sé, del giudizio in sé, della vicenda personale in questione, io penso, e non da ieri, che una Giustizia, quando da bendata diventa strabica, ovvero quando applica pedissequamente le sue norme senza aprirsi all’interpretazione più umana delle stesse, non si rappresenta come Legge giusta. Ovvero, non si sentire come giusta.
La prima sentenza nei confronti di quest’uomo visibilmente buono, onesto, pulito, con quel suoi occhi sognatori e quelle mani sporche di terra, è apparsa subito davvero incredibile. Paradossale. Io posso dirlo, con serenità essendo stato uno strenuo difensore di Mimmo Lucano sin dalla prima ora. E oggi sono felice. Molto felice. Per lui, lo sono. Per la società tutta, lo sono. Per l’Italia, lo sono. Per Riace, lo sono e di più. “È finito un incubo”, sono state le prime parole di Mimmo.
È finito un incubo per noi, anche. E con esso la paura che la Giustizia non sia giusta con i “giusti”. Perché, quale che sia ancora l’atteggiamento degli italiani verso colui che fu sindaco di un paese “ abbandonato”, e però recuperato, nessuno può smentire che questi sia un uomo giusto. Buono. Profondamente ancorato al principio, da noi anche “costituzionalizzato”, che l’essere umano sia il centro del divenire della storia e che il suo determinarsi all’interno della comunità degli esseri umani sia strettamente collegato alla difesa esclusiva della dignità della persona.
Dignità, che si afferma sul principio consequenziale dell’eguaglianza nella libertà. E sugli altri, che si fa ancora finta di non capire: che il mondo sia di tutti, la terra di cui è fatto sia unica e non divisibile, che i confini siano una mera invenzione in contrasto con la libertà delle persone, che il mare sia anch’esso unico e sia dell’acqua di cui è fatta la vita, la strada del viaggio, il piacere della ricerca di nuovi orizzonti. Sia il sogno che naviga verso la sua realizzazione.
E, ancora, che se il dovere di ogni uomo sia di salvare la vita di ciascun essere umano che la rischia, quello della Politica sia di valorizzarla. Anche attraverso il lavoro che la “nobilita”, una casa che l’accolga, una scuola che la fortifichi, una chiesa che la carezzi, uno Stato che l’assicuri e la rassicuri. Riace, che l’ideologia divisiva vuole rappresenti un modello, è stato invece “ nient’altro” che tutto questo.
Una casa, è stato. Per tutti coloro che ne fossero privi. Una scuola, per coloro che l’avrebbero frequentata. Una bottega artigiana e un campo da arare, è stato. E cento chiese, per coloro che volessero pregare. Ed è stato la piazze e le vie dell’incontro tra la gente, che si dipingeva del colore del viso delle persone “diverse” che l’abitavano. E questa è la Politica. La Riace di Mimmo Lucano è l’utopia che prende forma. La Democrazia che si concreta nella Libertà che diviene. Una condanna è sempre una condanna, è vero.
E che sia minima, come quella emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, è una soddisfazione che fa bene a Mimmo e alla Calabria, ma dispiace nel profondo egualmente. Anche in riferimento al fatto che il sistema Giustizia permanga inquietato per quelle contraddizioni poco rassicuranti. Cosa resta oggi sui margini dei fogli che riceveranno le motivazioni della nuova sentenza? Restano i tanti anni consumati dalle istituzioni, insieme alle preziose energie umane utilizzate, per raggiungere una verità accettabile.
Resta la rapida chiusura di un’esperienza amministrativa tra le più rivoluzionarie che la storia recente ricordi e l’abbandono del campo da parte di un politico davvero visionario, capace, pertanto, di contaminare, con i suoi risultati, i comuni più vicini. Resta il dolore di un uomo buono semplice e umile, intelligente e combattivo, che quella Riace bella, accogliente, intelligente, coraggiosa, aveva inventato.
E l’atteggiamento gentile nutrito di quella cultura di pace con i quali ha ha rispettato le istituzioni, gli operatori della Giustizia, le sentenze. E anche le posizioni politiche della parte che si è voluta presentare ideologicamente avversa utilizzando insulti e cattiverie feroci. Restano le migliaia di persone che hanno creduto in lui non abbandonalo mai. E le centinaia che sono rimaste tutto il giorno davanti al tribunale di Reggio in attesa della sentenza e che poi hanno applaudito, urlato la gioia e cantato di questa per lui. Resta il respiro vitale della Giustizia, che soffia benevolo sulla Democrazia.
Resta l’educazione educante di Mimmo Lucano che nella Giustizia ha sempre riposto la sua fiducia, la sua ansia di giustizia, il suo amore per l’uomo e il suo bisogno di libertà. Resta il sogno che riprende e la bellezza di un uomo che si rimette in cammino. E che non sarà mai più solo. (fc)