Il giornalista calabrese Pasquale Laurito è il decano dell’Associazione Stampa Parlamentare. 92 anni portati con leggerezza e allegria, Laurito è l’inventore della Velina rossa, apprezzato foglio quotidiano d’informazione parlamentare. Un calabrese-arberëshe di cui andare orgogliosi. Ecco un ritratto a tutto tondo da parte di chi lo conosce bene.
di MARIO NANNI – ‘’Suaviter in modo, fortiter in re’’ ( per tradurre alla buona: garbatamente nei modi, tenacemente nella sostanza). Pasquale Laurito, che conosce bene il latino, che ha una profonda cultura classica, ed è capace di tradurre all’impronta un libro scritto nella lingua di Cicerone, saprà forse riconoscersi in questo ritratto ispirato al noto detto latino. E saprà certamente che viene citata come regola di condotta della Compagnia di Gesù. Poiché s’intende anche di storia religiosa.
Quante volte, lui nato a Lungro, in provincia di Cosenza, mi ha parlato delle tradizioni religiose del suo paese, sede dell’Eparchia bizantina, che raccoglie sotto la propria giurisdizione tutte le comunità albanesi continentali che hanno conservato il rito bizantino!
Chi ha avuto negli anni passati, e anche ora ha che fare con l’autore della quotidiana ‘’Velina rossa’’, riconoscerà a Pasquale alcuni tratti che lo contraddistinguono: il garbo, la dolcezza, l’urbanità e la signorilità dei modi; e la passione, la tenacia, finanche la forte ostinazione nel sostenere e difendere le sue idee. Con lui le dispute molto spesso si risolvono in una rassegnata quanto docile resa dell’interlocutore, alla fine anche piacevolmente ‘’stremato’’ dalla dovizia degli argomenti, dei riferimenti storici con nomi e date, sciorinati con naturalezza da Pasquale.
La sua velina – che egli detta a un volenteroso collaboratore durante l’ora di pranzo – oltre che per le sue analisi politiche, spesso colpisce per il ricorso frequente a veri e propri tormentoni polemici, in cui prende periodicamente di mira altissimi personaggi politici. Non lesinando anche colorite e pittoresche definizioni. Colorite ma non volgari, e comunque puntualmente ancorate a ricordi storici, precedenti politici, raccontati da Pasquale con la sua nota generosità nel dispensare il suo sapere, con quel suo atteggiamento naturalmente dimesso e disarmante.
Senza ostentazione, quindi. L’essere schivo e modesto, è infatti un altro aspetto sorprendente della sua personalità. Nessuna spocchia intellettualistica, nessuna vanagloria culturale, ma semplicemente un suo spontaneo manifestarsi nelle occasioni che si presentano. Non ha mai parlato, per esempio, dei suoi giovanili trascorsi cinematografici, e in film non di registucoli ma di firme prestigiose: per esempio, Mauro Bolognini.
Avrei tanti aneddoti da raccontare ma mi limiterò ad alcuni. Un giorno, lavoravamo allo stesso tavolo nella sala stampa della Camera, mi presentai con un libro in francese che avevo appena acquistato: era un bella edizione in folio dei diari dei fratelli Goncourt, un affresco della Parigi salottiera del 1800, con i suoi personaggi e i suoi coloriti pettegolezzi. Appena Pasquale lo vide, mi chiese un attimo di consultarlo. In un minuto cercò e trovò un aneddoto (ora non ricordo quale) e mi mostrò la pagina; e poi me lo raccontò in italiano (evidentemente sapeva leggere anche il francese).
Quando chiedevano le ferie, i giornalisti dell’Ansa, come tutti del resto, dovevano compilare un modulo e indicare l’indirizzo della vacanza. Dovevano insomma dare la reperibilità in caso di emergenza. Allora non c’erano i telefoni cellulari. Cosa scrisse una volta Pasquale alla voce ‘’indirizzo’’? ‘’Mare Nostrum’’. Non era una bravata, non era uno sfottò. Pasquale passava le ferie in barca, nel mar Mediterraneo!
Una sera venne a trovarmi in sala stampa una direttrice d’orchestra (sono pochissime in Italia); sapendo che Pasquale era non solo amante dell’opera ma un vero e proprio intenditore, lo presentai alla signora. Si misero a conversare su Puccini, e cominciarono a disputare amabilmente su un punto: l’ampiezza e il tipo di ‘’concertato’’ nella Tosca. Laurito dissentiva dalla signora, ma con garbo, con quel suo tipico sorriso di chi pare voglia dire: vorrei tanto darti ragione, ma non posso.
Sapeva bene che io avevo un fratello direttore del teatro dell’Opera di Roma, ma la sua riservatezza e ritrosia lo hanno sempre dissuaso dal chiedermi di procurargli qualche biglietto. Eppure tra noi c’era molta confidenza. Ma lui non lo ha mai fatto, aveva il suo abbonamento.
Ho avuto Pasquale tra i redattori nella redazione politica e parlamentare. Un soldato semplice, senza gradi, ma che soldato! Lui seguiva il Pci, era l’informatore e il punto di riferimento anche per i colleghi della carta stampata. Tornava dai comitati centrali con una massa di appunti. Non ha mai amato la macchina per scrivere, men che meno il computer. Personalmente non l’ho mai visto ticchettare sui tasti. Le riunioni del Comitato centrale, si sa, duravano molte ore, a volte tutta la giornata, salvo breve intervallo. E bisognava fare i resoconti del CC, dei discorsi di Berlinguer, Pajetta, Amendola, Ingrao, Natta, Chiaromonte, Occhetto, poi D’Alema, Veltroni. Le agenzie, e ancor di più l’ANSA quale Numero Uno, riservava ovviamente a queste riunioni molti ‘’lanci’’.
Come si muoveva Pasquale? Scriveva i pezzi? Metteva sul tavolo fogli sparsi. Di solito si preparava scrivendo con la penna un breve attacco, quattro o cinque righe, perlopiù un virgolettato seguito da: ‘’lo ha affermato il segretario durante i lavori del Comitato Centrale’’. Ma spesso, quando era alla quinta riga, diceva al dimafonista (che raccoglieva e trascriveva via telefono gli articoli dettati dai giornalisti): no, non mi piace, cancella, ricominciamo da capo. Come tutti gli uomini di cultura, Pasquale è un perfezionista. Ma il perfezionismo, per un giornalista d’agenzia che deve scrivere sotto l’incalzare dei minuti e talvolta dei secondi, può essere una delizia ma più spesso si rivela una croce.
Pasquale è stato sempre molto amato, e anche i dimafonisti lo stimavano e gli erano affezionati. E quindi portavano pazienza. Ma una volta il capo dei dimafonisti mi fece riservatamente una telefonata garbata e un po’ apprensiva: in sostanza mi pregò di sollecitare Pasquale a mettere per iscritto una parte più lunga, e non solo poche righe dell’intero resoconto, prima di mettersi a dettare a braccio. Ma da dove nasceva il problema? Dal fatto che, fino all’avvento dei computer, tutti i giornalisti di solito dettavano a braccio la notizia. Alcuni anche il servizio. I dimafonisti erano pochi, quindi si creava la fila, e il tempo che si prendeva Pasquale finiva con il rallentare tutto il lavoro dell’ufficio dimafoni. Questo episodio, che dà un’idea di com’erano i mezzi di trasmissione solo pochi decenni or sono, lo racconto per la prima volta né ho mai riferito a Pasquale quella telefonata. Mi bastò, per risolvere in gran parte il problema, consigliargli bonariamente di scrivere testi più lunghi prima di dettare a braccio. E lui acconsentì.
Del resto, è stato un redattore disciplinatissimo e molto collaborativo, non trovava disagevole avere per capo redattore un collega di qualche lustro più giovane di lui. Con Pasquale si è lavorato con molto piacere. E con quanti successi! Quante volte accorreva dal Transatlantico e mi diceva: manda qualcuno, c’è Craxi che parla con i giornalisti, c’è D’Alema che sta facendo una dichiarazione. Oppure era lui stesso a portarci dichiarazioni, notizie, indiscrezioni che aveva raccolto, in quel luogo che viene chiamato dei ‘’Passi perduti’’, dove i giornalisti parlamentari perdevano forse i passi ma non il tempo: qualcosa, come avviene a pesca, sempre si riusciva a raccogliere.
Quando è arrivato il tempo della pensione, chiesi e ottenni senza problemi dal Direttore (Bruno Caselli era subentrato al professor Sergio Lepri, lo storico direttore che ha fatto grande l’ANSA, e che con giovanile entusiasmo continua a dispensare dal suo sito perle di esperienza e di insegnamenti professionali a varie generazioni di giornalisti) che Pasquale restasse nella famiglia della redazione politico-parlamentare. Come informatore, come antenna nel campo politico.
E da questa sua collaborazione di informatore, scaturì un altro episodio, l’ultimo che mi accingo a raccontare. Un giorno, mi pare fossimo nell’imminenza delle elezioni del 1996, Pasquale mi diede una ‘’dritta’’ che io passai alla redazione di Palermo tramite l’Ufficio centrale dell’Ansa. L’indiscrezione aveva che fare con le dichiarazioni di un pentito che aveva parlato di Dell’Utri e Berlusconi. La redazione di Palermo scrisse una notizia in forma dubitativa, condita di condizionali. Ma ciò bastò al Ros (raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri) per indagare; chiamò l’Ansa, domandò come fosse nata la notizia, il vice direttore (pace all’anima sua) si lavò le mani e indicò me come il punto di partenza. Fui convocato in via Salaria, dov’era la sede del Ros, e dove mi aspettava un capitano dei Carabinieri che aveva all’apparenza modi e aspetto di diplomatico.
Mi accolse infatti con molta cordialità. Poi, alternando toni melliflui a lusinghe e accenti vagamente intimidatori, mi fece praticamente un interrogatorio da inquisitore come in un romanzo di Dostoevskij : un paio d’ore, intervallate da osservazioni compiaciute sulla’’ musicalità della cadenza salentina’’ e da un caffè al bar ; e in mezzo la domanda ritornello: chi le ha dato la soffiata?
Io non rivelai naturalmente la fonte, nonostante l’insistenza del capitano. A parte l’ovvio vincolo deontologico: se avessi fatto il nome di Pasquale, e fosse stato convocato, oltre a fargli una mascalzonata, gli avrei procurato – conoscendo il suo animo delicato e anche un po’ apprensivo– un grande imbarazzo. E forse si sarebbe sentito tradito e deluso. E ne avrebbe avuto tutte le ragioni. Neanche di questo ho fatto mai parola a lui; il non parlargliene per me era anche un modo di mostrargli affetto. Un affetto per la verità ricambiato negli anni e ancora oggi calorosamente presente tutte le volte che ci reincontriamo a Montecitorio. (mn)