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Natuzza Evolo

Per la Festa della Mamma in migliaia in Piazza a Paravati per Natuzza

di PINO NANOTrentasei anni dopo la prima Festa della Mamma, celebrata anche allora in pubblico con in testa alla processione Natuzza Evolo, a Paravati si ripete oggi un rito che da allora non si è mai interrotto e che va avanti come se il tempo non passasse mai. Le solite nenie di festa, i soliti profumi del mondo, le solite preghiere di sempre, e al momento della comunione migliaia di fedeli in coda e in attesa del Corpus Cristi, e Natuzza che è ancora qui tra di loro, in testa ai pensieri di chi arriva sulla grande spianata di Paravati. 

Non c’ero domenica scorsa a Paravati, ma dalle immagini che la rete ribalta in tutto il mondo si intuisce e si tocca con mano una realtà incontestabile: il mito della donna che “parlava con i defunti” e che durante la Settimana Santa viveva il “mistero delle stigmate” è rimasto inalterato nel tempo. 

Come dire? Natuzza c’è ancora laggiù, Natuzza è presente nella vita di molti, Natuzza non è mai morta, e la gente aspetta che la Chiesa ufficiale la riconosca finalmente Santa.

A Roma in Vaticano se ne parla poco, si sa soltanto che il processo di beatificazione “è in corso”, ma i tempi che la Chiesa si dà in queste occasioni sono tempi di attesa e di riflessione, di saggezza e di verifiche continue, e non collimano quasi mai con le attese di chi da Natuzza ha già avuto un segno, una grazia, una carezza, forse anche un miracolo.

Il vero miracolo di domenica scorsa è la presenza sull’altare della grande Basilica di Natuzza di Don Pasquale Barone, il sacerdote che di Natuzza sa davvero tutto, tutto e il contrario di tutto. Don Pasquale è l’uomo che l’ha vista crescere nel suo carisma, che l’ha aiutata a difendersi dalle mille tentazioni terrene, che l’ha amata come una sorella più grande, e a cui ha dedicato tutta la sua vita. Per tenerla lontana dalla “violenza dei fari della televisione” ricordo che don Pasquale litigava anche con noi, ma lo faceva solo per aiutare Natuzza a stare il più lontana possibile dalla ribalta mediatica. 

Era la Chiesa solenne di un tempo, la Chiesa che riteneva la televisione “uno strumento anche pericoloso”, la Chiesa che credeva invece nel rito esclusivo della preghiera e del confronto, dell’ascolto, dell’attesa, della confessione, del silenzio, la Chiesa dei Padri, quella che Papa Giovanni Paolo Secondo aveva poi preso per mano e proiettato nel futuro. E chi meglio di don Pasquale? Questo sacerdote d’altri tempi, lontano da tutto, una vita eternamente vissuta in modestia e in miseria, e che con la sua presenza fisica discreta e a volte immobile ha segnato dall’inizio fino alla fine il lungo percorso terreno di Natuzza.

Ma domenica Festa della Mamma, sull’altare con lui domenica scorsa, c’era anche don Michele Cordiano, l’altro angelo custode di Natuzza, storia anche la sua di un sacerdote che ha dedicato la sua vita a Natuzza, accompagnandola là dove don Pasquale non poteva fisicamente farlo, sostituendosi a don Pasquale quando don Pasquale era impegnato a fare altro, e soprattutto seguendo Natuzza dalla mattina alla sera nei mille incontri che la “Santa” di Paravati concedeva e riservata al suo “popolo di preghiera”. 

Una unione indissolubile la loro, granitica, amorevole, ma questo lo si coglieva con mano ogni qual volta compariva Natuzza al braccio di don Michele. Si capiva da lontano che Natuzza lo amava come un figlio, e che lui ricambiava il suo amore come se lei fosse stata la sua vera mamma. 

Aveva ragione il grande antropologo calabrese Luigi Maria Lombardi Satriani quando spiegava che “dietro questo straordinario fenomeno che era Natuzza Evolo si nascondevano in effetti mille emozioni diverse, il più delle volte sentimenti affettivi e intimi forti”.

Dalle immagini colgo sulla pianata la presenza di migliaia di persone, di migliaia di ombrelli per via del maltempo di domenica scorsa, e un tripudio di applausi nel momento in cui decine e decine di giovani portano la statua della Madonna sul sagrato della Basilica, perché tutti la vedessero e l’adorassero. Era come se in realtà Natuzza fosse lì quel giorno, in mezzo a questa folla festante, come se lei non si fosse mai allontanata dal suo posto tradizionale, seduta al lato dell’altare in perenne adorazione di Maria, attaccata al braccio di don Michele che alla fine della cerimonia la riporta in macchina verso casa.

Ma mi basta fare una telefonata a Paravati per avere la conferma che cercavo. Alla fine della cerimonia per ore la gente presente ha sfilato muta e con immensa pazienza davanti alla tomba della Santa, il tempo di accarezzare il marmo, di portare un fiore, di chiedere a Natuzza qualcosa. Natuzza qui non è mai morta sul serio. 

Mi tornano continuamente in mente le parole di don Attilio Nostro, il vescovo di Mileto, che il 5 marzo di un anno fa, rivolgendosi ai suoi sacerdoti proprio dalla Basilica di Mileto, spiegava: «Ma in cosa consiste mai la santità, se non nell’assomigliare a Dio, al suo essere essenzialmente Unità nella Trinità? Assomigliare a Dio significa, pertanto, crescere nell’amore e nella comunione, questo è il destino di ogni uomo: lasciare entrare lo Spirito nella nostra natura umana, per farci da Lui trasfigurare ad immagine di Cristo… I Padri dei primi secoli chiamavano questo processo con un termine preciso: “deificazione” (Theosis) che consiste proprio nella somiglianza progressiva della nostra vita alla vita divina e beata di Dio, Uno e Trino, eterno Amore!”».

Una indimenticabile lezione di vita. (pn)