di SANTO STRATI – Il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha dichiarato a Radio Capital di essere “perplesso” a proposito del Ponte sullo Stretto, ma poi ha aggiunto che non ha “studiato il progetto”. Ora un ministro “perplesso” lascia indubbiamente anche noi (e probabilmente gran parte dei nostri lettori) più che perplessi. Che significa? Perché parlare se “non ho studiato il progetto”?. Il punto è che intorno al Ponte ci sono due scuole di pensiero quelli “che si deve fare comunque” e quelli che “non si deve fare e basta”. Alla prima categoria possiamo schierare i possibilisti, visionari e – se permettete – i realisti che guardano alle ricadute che un’opera del genere potrebbe avere in termini di occupazione, lavoro e, naturalmente, indotto: una grande quantità di posti di lavoro che farebbero respirare questa terra sempre più asfittica e ansiosa di vedere occupati i propri giovani, ma anche i manovali, carpentieri, artigiani, progettisti e via discorrendo che continuano a essere privati di ogni opportunità. Capacità e competenze non sono un metro valido per garantire lavoro dignitoso e all’altezza del proprio talento: è la drammatica situazione della Calabria, non stiamo scoprendo nulla di nuovo.
Alla seconda categoria quelli del NO a tutti i costi iscriviamo d’ufficio i talebani che non riescono a guardare oltre la propria ristrettissima “fede” ideologicamente povera e terribilmente ispirata alla “decrescita infelice”: quelli che il Ponte è la maledizione per le due sponde, che distrugge il paesaggio, che richiederà due ore per l’attraversamento, che verrà giù alla prima scossetta, e via discorrendo. Con tutto il rispetto per questa scuola di pensiero che non cambia mai idea nemmeno davanti all’evidenza dei fatti, c’è da iscrivere un’ulteriore categoria anti-Ponte che rispecchia – consentitecelo – un sentimento antimeridionalista mai sopito e che, stupidamente, continua a ignorare che se il Sud resta al chiodo, non ci sarà alcuna ripresa economica per il Nord, che dai consumi del Mezzogiorno ricava gran parte dei propri utili. E questa categoria è la peggiore, perché fa capo a personaggi politici che si oppongono senza argomentazioni valide alla realizzazione del Ponte, chiedendo nuove verifiche, nuovi studi di fattibilità, aprendo a bizzarre quanto suggestive soluzioni sottomarine, e via discorrendo. Quelli, per intenderci, dell’autonomia differenziata che la pandemia ha mandato al diavolo, ma che continuano a perpetrare l’infame pregiudiziale nei confronti del Sud e della Calabria, in particolare. Quelli che il Sud è un fastidio, come un foruncolo che non si decide ad esplodere: e pensare che l’importo del Recovery Plan è stato raddoppiato solo in funzione del disagio delle aree meridionali del nostro Paese, alle quali andrà, malcontato, appen ail 34% delle risorse, come da normativa voluta da Conte (prima era di gran lunga inferiore la percentuale degli investimenti riservati al mezzogiorno).
Tanto per rinfrescare la memoria, uno de maggiori esponenti di questa categoria si chiama Mario Monti. È stato presidente del Consiglio e non ha lasciato un buon ricordo di sé né dell’azione del suo governo. Nel nostro caso specifico, decise che il Ponte – nonostante il progetto già esecutivo e l’assegnazione alla società vincitrice dell’appalto-concorso – non si doveva fare. Dopo di lui, a corrente alternata, si sono avvicendati tanti protagonisti della politica nazionale che non hanno fatto gli interessi del Sud, né tantomeno si sono preoccupati di sentire il territorio (ovvero le due sponde interessate) prima di emettere solenni bocciature, generalmente suffragate dal nulla. Gli ultimi episodi sono rivelatori di un certo atteggiamento paternalistico-consolatorio: Giuseppe Conte – che è pur uomo del Sud –, dovendo anche tenere a bada nel governo i turbolenti pentastellati anti-ponte – aveva aperto alla possibilità di esaminare l’ipotesi del tunnel sottomarino, proposto dall’ing. Giovanni Saccà, ma giusto per animare un argomento che, quando ci sono consultazioni elettorali, fa sempre la sua grande figura; poi la ministra dei Trasporti e delle Infrastrutture Paola De Micheli che non ha trovato di meglio che suggerire l’avvio di nuovi studi preliminari, ignorando che esiste un progetto esecutivo approvato e che, volendo, già domattina si potrebbe mettere in atto. Cosa si può dedurre da tutto ciò, finendo alle “perplessità” del ministro Cingolani che a nostro avviso non dovrebbero far parte delle abitudini essenziali di chi sta al Governo? Che il ponte non si fa perché manca la volontà politica, forse perché la lobby dell’attraversamento a mezzo traghetto dovrebbe rinunciare a centinaia di milioni di ricavi l’anno (considerate, oltretutto, le vergognose tariffe applicate), o forse perché ci sono altri interessi nascosti, difficili da individuare o interpretare.
Si fa un gran parlare e se il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Enrico Giovannini glissa su una cosa che è di sua competenza, adducendo l’impossibilità di mettere il Ponte nel Recovery Plan perché c’è la scadenza del 2026 da rispettare («non potrebbe essere completata, ma apriremo presto un dibattito pubblico» – ha detto), non capiamo perché il ministro della Transizione Ecologica si occupa di materia non sua (anche se, ovviamente, ci sono evidenti implicazioni ambientali nell’opera) e parla senza avere studiato il progetto.
C’e un documento firmato da 150 studiosi (docenti, professori universitari, progettisti) che spiega perché il Ponte è necessario. E da ultimo c’è persino la proposta di “abitare il Ponte”, suggerendo di integrare le infrastrutture per la mobilità con altri spazi abitati, ma nessuno al ministero si è degnato di darci almeno un’occhiata. Da 50 anni si susseguono studi e ricerche, ma non si riesce ad arrivare a capo della questione.
Mario Monti liquidò il 17 dicembre 2012 la società Stretto di Messina (che faceva capo all’Anas) che doveva portare a termine la progettazione esecutiva: sono passati nove anni. «Se non ci fosse stata questa decisione, quanto meno improvvida – dice il prof. Enzo Siviero, professore di ponti e Rettore dell’Università telematica E-Campus –, il Ponte sarebbe oggi transitabile e l’economia del Sud e del Paese intero ne avrebbe tratto enormi benefici». In tutto il mondo si continuano a costruire ponti, anche nel Giappone che in fatto di terremoti non scherza, ma si vaticinano disastri solo nell’area dello Stretto. In verità, le nuove tecniche di costruzioni, la tecnologia avanzata, i materiali di nuova generazione, lascerebbero ampio spazio alla grande creatività dei progettisti italiani, apprezzati e ammirati in tutto il mondo. Invece si continua a dire NO. Ma qualcosa potrebbe cambiare.
I due governatori, Nello Musumeci per la Sicilia e quello pro-tempore Nino Spirlì per la Calabria, ci stanno lavorando su e, soprattutto dall’Isola traspare una forte determinazione per non lasciare niente di intentato per far riaccendere i fari sul progetto Ponte. Un convegno a breve dovrebbe fare il punto, non sulla progettazione – perché c’è già quella esecutiva – ma sulla necessità di far cambiare idea alla politica italiana, ovvero concentrare ogni sforzo perché il partito dei contrari al Ponte (che in realtà sono contrari allo sviluppo del Sud) una volta tanto non l’abbia vinta.
«Nel Ponte sullo Stretto – dice ancora il prof. Siviero – si intravede una straordinaria occasione per costruire un nuovo paesaggio attraverso l’abitare nell’accezione più estensiva del termine: prender dimora, lavorare, soggiornare, transitare ed incontrarsi in occasioni sociali. La posizione strategica di enorme suggestione del ponte, amplificata dall’altezza di circa 400 m delle pile che forniscono il vantaggio di un punto privilegiato di osservazione dello Stretto, sono i due elementi chiave che inducono a credere fortemente ad uno studio sulla fattibilità del progetto»: quello di realizzare torri abitative adiacenti alle pile del Ponte. Dice Siviero: «Il presupposto fondamentale su cui si intende lavorare è quello di non interferire con la redazione del progetto definitivo del ponte, in corso d’opera. Le torri potranno essere realizzate in un secondo momento rispetto al ponte, che manterrà quindi una totale indipendenza nei tempi di realizzazione. Allo stato attuale sono state fatte alcune verifiche dimensionali per valutare preliminarmente l’inserimento delle nuove strutture nel paesaggio dello Stretto e la compatibilità morfologica con il progetto preliminare del ponte. L’ipotesi valutata prevede la realizzazione di quattro torri, accoppiate a due a due, in adiacenza alle pile del ponte, sul fianco esterno. L’intera altezza delle torri avrà un rivestimento trasparente dal profilo curvilineo, per offrire meno resistenza al vento trasversale, ed aperto nella parte sommitale, per far passare i cavi di sospensione principali del ponte.
Ogni torre può avere uno sviluppo in altezza di 380 metri, escludendo il coronamento superiore, divisi in circa 80 piani, interrati esclusi. Ogni coppia di torri potrà essere collegata a quote coincidenti con i traversi delle pile del ponte, tramite spazi dalla funzione di rappresentanza che godranno di una vista privilegiata con una suggestiva prospettiva sull’impalcato e sullo scorrere dei veicoli sottostanti».
Le torri dovrebbero ospitare diverse funzioni: sale convegni, centri commerciali, uffici, abitazioni e alberghi. «L’attacco a terra degli edifici – ha spiegato il prof. Siviero – potrà essere integrato con gli svincoli di progetto del ponte, in modo da organizzare i flussi di traffico e costituire degli spazi di mediazione ed avvicinamento agli ambienti abitati superando differenti “scale di velocità di percorrenza” (dall’automobile, all’ascensore, ai corridoi interni di smistamento). I diversi ambienti, dai centri commerciali ai piani più bassi, sino alle residenze ed uffici ai piani più alti, parteciperanno al funzionamento di una “macchina” volta alla percezione del paesaggio circostante».
Questo, per dire che le idee non mancano e le argomentazioni non sono da meno. Per esempio, l’Associazione Costruttori siciliani (Ance) ha redatto un documento molto esplicativo a sostegno della realizzazione del Ponte dove si afferma che:
- il cantiere del Ponte sullo Stretto di Messina è stato già formalmente avviato. Infatti, per la realizzazione della pila ubicata in Calabria, è stato spostato l’asse ferroviario in località Cannitello e questa decisione praticamente testimonia l’avvio concreto di una fase fondamentale dell’intero progetto;
- il Ponte non è un’opera costosissima, infatti gli interventi strettamente legati alla realizzazione del ponte non superano i 4,5 miliardi di euro
3. Il Ponte non è un’opera che deve essere condivisa dalla unione europea perché nella approvazione del corridoio Berlino – Palermo (reti Ten–T) del 2005 è contemplata anche l’approvazione del Ponte e nella edizione, sempre delle reti Ten-Tdel 2013, fu riconfermata la continuità territoriale. quindi il Ponte sarebbe, insieme all’asse Torino–Lione e al terzo valico dei Giovi l’unico progetto infrastrutturale già approvato dalla Unione europea.
- Il Ponte non è un’opera che deve essere condivisa dalle regioni Calabria e Sicilia perché più volte formalmente approvato dai due organismi e riportato integralmente in apposite intese generali quadro previste dal decreto legislativo 190/2002
- Il Ponte è stato aggiudicato con una gara internazionale; quindi è un’opera che è stata sottoposta ad una evidenza pubblica che rafforza la trasparenza della scelta tecnica ed economica
- Il Ponte rende funzionale la continuità del corridoio Helsinki–La Valletta; con il recente avvio del tunnel del Fehmarn Belt, infatti, si completa il corridoio baltico-adriatico e, quindi, manca solo l’attraversamento dello Stretto di Messina per completare la rete.
Da ultimo – secondo l’Ance siciliana – il Ponte «annulla il danno causato dall’attuale insularità, stimato in modo approfondito da Prometeia in circa 6 miliardi all’anno come mancato contributo alla crescita del Pil»
Se a tutto ciò si aggiunge che la Webuilt (ex Impregilo) dell’ing. Pietro Salini – che è aggiudicataria del progetto – si è detta pronta a investire in proprio per la realizzazione del Ponte (4 miliardi, lasciando allo Stato le spese per le opere accessorie, altri due), obiettivamente non si capisce questa perdurante e ostinata negazione dell’opera che cambierebbe la Calabria e la Sicilia. A chi oppone il pericolo di interessi mafiosi o della ‘ndrangheta, si può rispondere che con gli attuali sistemi di controllo antimafia difficilmente gli appalti finirebbero nelle mani sbagliate e che anche questa fa parte della pretestuosità permanente di chi non vuole il riscatto del Sud.
Immaginate la spinta per la crescita di tutto il territorio, l’occupazione e l’indotto: già gli stessi lavori sarebbero un irresistibile attrattore di turismo, figurarsi l’opera compiuta. Il Ponte – di cui, com’è evidente, siamo convinti sostenitori – è l’ultima chance per abbattere il pregiudizio e il divario nord-sud, con un’avvertenza: questa è davvero l’ultima occasione per realizzarlo. (s)