ELECTION DAY: IN CALABRIA SI È VOTATO PER IL SINDACO NEL CAPOLUOGO DELLA REGIONE E IN ALTRI 73 COMUNI;
Il Presidente Occhiuto ha votato a Cosenza

QUORUM INGRATO, UN FLOP IL REFERENDUM
PER IL COMUNE A CZ HA VOTATO IL 66,04%

di SANTO STRATI – Che sarebbe mancato il quorum ai referendum sulla giustizia non c’era bisogno della zingara a presagirlo: scarsa e poco chiara la comunicazione che non ha raggiunto il grande pubblico, ma non è solo questo. Molto probabilmente gli elettori, anche quelli che avevano ben compreso il significato delle richieste abrogative, hanno ceduto alla pigrizia e alla convinzione che il loro voto non avrebbe aiutato a raggiungere il quorum. Se ne desume, in maniera lampante, che il sistema referendario, pur restando uno strumento di democrazia diretta che, in passato, ha permesso agli italiani di mantenere conquiste sociali importanti (basti ricordare il divorzio e l’aborto), non funziona più.

Il problema, evidentemente, è nel quorum: è dal 1997 che viene a mancare e risulta chiaro  che, in assenza di un cambiamento radicale delle regole vigenti, sarà sempre più difficile, se non impossibile raggiungerlo. Abbiamo un afflusso alle urne che vale all’incirca poco più della metà degli aventi diritto, ma per il referendum abrogativo (non esiste quello propositivo e sarebbe ora di introdurlo) viene chiesta la partecipazione di metà più uno degli elettori iscritti negli elenchi.

Tanto per citare qualche numero (tratto dal libro di Andrea Morrone La Repubblica del referendum – Il Mulino) dal 1970 al 2022 sono state presentate 666 richieste di referendum abrogativi e sono state accolte soltanto 87, dopo il vaglio della Cassazione. E al voto sono arrivati solo 72 referendum. 

A questi vanno aggiunti 23 referendum costituzionali e 1 d’indirizzo sui poteri del Parlamento europeo (nel 1989).

Solo 39 referendum hanno raggiunto il quorum – spiega nel suo libro Morrone – e in questi 23 volte hanno vinto i sì e 16 volte i no.

Intendiamoci bene, alla politica i referendum non sono mai piaciuti (e ne sa qualcosa Renzi che ha riportato una sonora sberla) ma siamo sicuri che siano lo strumento giusto per sollecitare interventi legislativi da parte del Parlamento? In passato, sappiamo bene come siano state scavalcate le abrogazioni imposte (Pannella guidava un’instancabile macchina da guerra): vedi l’abolizione del ministero dell’Agricoltura (ha cambiato nome) e il finanziamento pubblico ai partiti (aggirato abilmente).

Che la giustizia italiana abbia bisogno di una seria riforma è sotto gli occhi di tutti, ma crediamo che sia materia del Parlamento intervenire e correggere le evidenti storture che si rivelano, ormai troppo spesso, un serio handicap soprattutto per il disinvolto superamento della presunzione d’innocenza (costituzionalmente garantita) che diversi magistrati inquirenti applicano con troppa frequenza. Uno dei quesiti riguardava proprio l’istituto della custodia cautelare che ha fatto molti danni nei confronti di innocenti, la cui vita, la posizione professionale o l’impegno politico, sono state violentate senza motivate ragioni. Tant’è che i costi dei cosiddetti “danni” da carcerazioni ingiuste sono arrivati a livelli stellari (un caso eclatante è quello dell’ex sindaco di Marina di Gioiosa Jonica Rocco Femia, strappato alla famiglia e alla politica e tenuto in carcere per 5 anni, prima di vedere riconosciuta la sua completa estraneità). Ma non si cancella l’abuso della custodia cautelare con una croce, perché si rischierebbe di lasciare in libertà anche i delinquenti di professione e i mafiosi, serve una riforma che il Parlamento si deve impegnare ad attuare con la partecipazione e il concorso di tutti: maggioranza e opposizione devono trovare la quadra per risolvere i troppi problemi di una giustizia che ispira, a volte, qualche dubbio al cittadino onesto.

Servirà questa ulteriore dimostrazione di spreco di risorse e di denaro per un referendum nato già morto prima di arrivare alle urne? Con tutta la buona volontà prevale una fortissima perplessità.

IL VOTO DELLE COMUNALI

Lo spoglio del voto per le amministrative comincia oggi alle 14.00. L’attesa maggiore è ovviamente quella per il capoluogo di regione: a Catanzaro alle 19 aveva votato il 46,93% (cinque anni fa la percentuale era del 54,41%). Anche qui è facile prevedere il ballottaggio che domenica 26 giugno consegnerà il nuovo primo cittadino. 

È stata una campagna elettorale affannata, con diversi colpi di scena, soprattutto a destra, e i numeri sapranno dirci se la scelta (suicida?) di Giorgia Meloni di far correre da sola Wanda Ferro le darà qualche punto in percentuale aggiuntivo nella corsa al primato delle preferenze degli italiani. La sensazione è che ci saranno forti delusioni sia in casa della Lega che di Fratelli d’Italia, non sufficienti – comunque – a consegnare al primo turno la Città a Donato o a Fiorita. In entrambi i casi si è ottenuto di confondere l’elettorato, senza offrire un progetto importante e convincente per il rilancio e un rinnovato ruolo di capoluogo di regione. I diciotto anni di Abramo non vanno in archivio senza lasciare strascichi, pur con qualche nota positiva, e sarà necessario un processo di rigenerazione urbana (ma soprattutto politica) che permetta a Catanzaro di crescere e mostrare le capacità che, potenzialmente, possiede ma non è riuscita in questi 50 anni di capoluogo a mostrare e far apprezzare al di fuori della regione. 

Manca una politica culturale di spessore (che l’assessore Ivan Cardamone aveva comunque tentato di imprimere col suo impegno personale) di cui si dovrà far carico la futura Giunta. 

La Città ha grandi opportunità per diventare un centro nevralgico di cultura a livello non solo regionale e nazionale, ma persino internazionale se si sapranno mettere da parte provincialismi e dilettantismi. 

Una buona catanzaresi di catanzaresi è andata a votare: è un buon segnale che la passione politica, quand’anche sopita, si può risvegliare facilmente.  (s)