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Carlo Morace

Referendum giustizia: il parere del penalista reggino Carlo Morace

di FRANCESCO FATONE – La data per votare i cinque referendum sulla giustizia si avvicina eppure sembra difficile-se non impossibile-raggiungere il quorum necessario. I cinque quesiti rischiano di essere ignorati per svariate ragioni quando invece meritano maggiore spazio nel dibattito pubblico e sui giornali. Abbiamo parlato con l’avvocato Carlo Morace di cosa potrebbe succedere il prossimo 12 giugno e dell’importanza dei referendum per la giustizia italiana.

– Perché questi referendum sono così importanti?

«Innanzitutto cominciamo a sgombrare il campo da un equivoco che sembra diffuso. In questo momento i referendum sul sistema giustizia sono referendum che riguardano direttamente il cittadino. Nessuno si sognerebbe di dire oggi che l’efficienza del sistema sanitario non tocca da vicino il cittadino, ma allora non riesco a comprendere perché quando si parla di efficienza della giustizia ciò possa essere percepito come qualcosa che non riguardi direttamente il cittadino. Soprattutto oggi, in un momento in cui si sono verificati anche fatti che hanno minato il rapporto di fiducia tra il cittadino e il sistema giustizia, il referendum assume una particolare importanza». 

– Come percepisce il cittadino la giustizia?

«L’idea di giustizia, e soprattutto di giustizia penale, che è stata veicolata al cittadino è un’idea sbagliata. È un’idea frutto di una spinta di natura populista che, attraverso il ricorso alle semplificazioni, ha portato a ritenere che il processo si svolge e si conclude nella fase delle indagini, tanto che nessuno poi si occupa dell’evoluzione successiva che è quella più importante, quella che riguarda il dibattimento, dove cioè si forma la prova, dove si decide se taluno è innocente o colpevole. Invece la decisione sulla colpevolezza o meno del cittadino è una decisione immediata, che si consuma mediaticamente, sulle pagine dei giornali, nei talk show televisivi, il tutto in contrasto con la presunzione di innocenza, in più si è veicolata l’idea che il processo penale serva a combattere i fenomeni, quali la corruzione, la criminalità organizzata, la microcriminalità, ma così non è, la funzione del processo è quella di dirimere un contrato tra Stato e cittadino incolpato, di accertare la responsabilità per un fatto. Veicolare questa idea distorta della giustizia penale ha poi portato inevitabilmente a un calo di fiducia del cittadino quale reazione al mancato raggiungimento dei falsi scopi.

Uno dei referendum riguarda la partecipazione degli avvocati giudiziari in tema di valutazione del merito dei magistrati. 

«Sì, riguarda la partecipazione degli avvocati nei consigli giudiziari per la valutazione del merito dei magistrati, gli avvocati – pur partecipando ai consigli giudiziari – non hanno alcun ruolo oggi per quanto riguarda la valutazione di professionalità dei magistrati. Il referendum e la riforma Cartabia prevedono che gli avvocati si esprimano sulle valutazioni dei magistrati e votino. È una questione importante perché poi i magistrati che vengono valutati potranno andare a ricoprire degli incarichi direttivi e, quindi, la correttezza e trasparenza delle valutazioni è propedeutica alla efficienza della giustizia. Si tratta di realizzare una sinergia tra magistrati e avvocati per come auspicato dal presidente Mattarella».

– Come si lega alle vicende dei magistrati il referendum?

«I referendum sono strettamente connessi al fenomeno degenerativo delle correnti emerso di recente. Non bisogna generalizzare perché la stragrande maggioranza dei magistrati è rimasta estranea a quelle vicende e sono coloro che quotidianamente svolgono un servizio di qualità per la collettività unitamente agli avvocati. Vi sono tre quesiti che sicuramente tendono a ridurre il potere delle correnti. Il pluralismo associativo tra magistrati non è un male, viceversa è da evitare che si trasformi in associazionismo finalizzato a determinare le nomine del CSM o a gestire comunque potere.

Il quesito sulla possibilità che il magistrato si candidi al CSM senza bisogno di avere da 25 a 50 firme, quello sulla separazione delle funzioni che vuole che il magistrato all’inizio della carriere scelga se fare il giudice o il pubblico ministero e non possa poi mutare funzione, il quesito sulla votazione degli avvocati sulle valutazioni di professionalità dei magistrati nel Consiglio Giudiziario, sono legati da uno stesso filo che tende a dare trasparenza al sistema giustizia, indipendenza al magistrato che non deve ricorrere alle correnti per potersi candidare e garantire un processo accusatorio più vicino alla Costituzione, con maggiore distinzione tra pubblico ministero e giudice. Quindi si tratta di quesiti che incidono direttamente sul processo e sulla efficienza della giustizia penale».

– Quante possibilità ci sono di raggiungere il quorum?

«Poche se il cittadino, come avvenuto fino ad oggi, non viene informato dell’importanza dei temi oggetto del referendum. Diciamo che il silenzio che è calato su questi referendum non è fisiologico». 

– A cosa dobbiamo attribuire il silenzio generale che c’è stato sui referendum?

«Una delle cause potrebbe essere che chi l’ha proposto un certo punto non ha ritenuto di dover proseguire nella sponsorizzazione di questi referendum. 

Ma il silenzio non fa che incentivare il disinteresse del cittadino nei confronti della giustizia. Si arriva a far credere o a rafforzare l’erronea idea che la giustizia è qualcosa di distante rispetto agli interessi del cittadino, paradossalmente quasi un mondo indifferente ai diritti dell’individuo».

– Il referendum potrebbe avvicinare all’armonizzazione legislativa europea? 

«A livello europeo è presente il processo accusatorio con carriere separate tra pubblici ministeri e giudici. Soltanto in Francia c’è una situazione simile alla nostra, ma lì il pubblico ministero è sottoposto all’esecutivo. 

Sicuramente sono riforme che ci possono avvicinare al nuovo standard europeo in tema di giustizia, così come le modifiche previste dalla Riforma Cartabia.

L’errore che si è fatto negli ultimi anni è stato pensare che la giustizia sia tanto più efficiente quanto più celere è il processo. Ma la giustizia è prima ancora efficiente se qualitativamente adeguata. Invece oggi al magistrato si chiede quantità, con il paradosso determinato dal fatto che una politica sbagliata degli ultimi 15 anni, ispirata da visoni populiste e giustizialiste, ha portato a un incremento del settore penale anche per vicende banali, con la conseguenza che noi abbiamo oggi troppi reati, troppi processi e pochi magistrati oberati spesso, soprattutto nei Distretti del Meridione d’Italia, da un carico di lavoro eccessivo. Si dovrebbe ridurre, depenalizzare, snellire la giustizia penale e poi aumentare il numero di magistrati e le risorse destinate al settore giustizia». 

[Carlo Morace è un affermato penalista reggino]

(courtesy BeeMagazine, diretto da Mario Nanni)