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Presente Umano

REGGIO – La mostra “Presente Umano” di Giuseppe Raffaele

Inaugurata, a Reggio, presso la Galleria dell’Accademia di Belle Arti, la mostra personale Presente Umano di Giuseppe Raffaele.

La mostra, proposta e curata da Filippo MaliceMosè Previti, è stata organizzata con la supervisione scientifica del direttore Maria Daniela Maisano, e del vicedirettore dell’Accademia di Belle Arti di Reggio, Francesco Scialò.

L’esposizione si compone di 14 sculture e l’ allestimento è a cura di Remo Malice con i suoi studenti, mentre la progettazione grafica della mostra è a cura di Àgner Mezei.

«L’artista – scrive Mosè Previti – ha la sua volontà molto determinata, la sua linea molto precisa, confrontandosi con lui è facile arrivare al punto in cui le idee diverse si fronteggiano e l’artista non cede. La ricerca intorno alle potenzialità della linea l’ha accompagnato senza interruzioni fino a oggi con risultati molto interessanti. Nella vibrazione del segno minimo, riesce a imprimere le stratificazioni del sentire, le fragilità dell’esistenza, la ricerca oltre le norme topologiche classiche della rappresentazione nello spazio».

«Nel ferro – prosegue Mosè Previti – Raffaele ha trovato la materia in grado di tradurre questa sua forte tensione minimalista via via sempre più radicale. A perfezionare la sua tecnica è stato certamente l’insegnamento di Filippo Malice, suo maestro all’Accademia di Reggio Calabria. Con Malice ha potuto approfondire le possibilità espressive di questo metallo, sviluppando tecnica e controllo della materia. Per sua natura, il ferro ha una certa duttilità e resistenza, è segno di fortezza, attributo marziale, sostanza tecnica della prima età moderna».

«Con Presente Umano, Raffale vuole parlare quotidiano drammatico della nostra epoca. Per farlo, l’artista ha scelto di utilizzare un linguaggio che avesse degli episodi diversi, uno stile maggiormente comprensibile, a tratti quasi stradaiolo, adatto a un’audience larghissimo. L’artista percepisce nel nostro tempo un senso di oscura distruzione. Tutte le opere del progetto sono nere. I colori vengono dagli “accessori”, gli “oggetti trovati” che Raffale mette in relazione con il suo lavoro. I tondini delle costruzioni edilizie sono stati scelti quale elemento per via del loro profilo frastagliato, grezzo. La lamiera del grande tondo, il grande scudo di ferro, s’impongono per la loro brutale presenza. Ci sono anche elementi ironici, come il salvagente dentro la teca e il suo martello inamovibile, o le coperte termiche appese come capi griffati all’appendiabiti travolto. Sensibilissima la linea del Crocifisso con i braccioli, attento e molto ponderato l’elegante rapporto tra vuoti, pieni, deformazioni e riflessi dell’altra lamiera».

«L’artista ha voluto raccontare il dolore del mondo. L’imbarazzante pesantezza, l’oscuro frastagliato bordo di certi involucri, l’architettura complessa di certi piani saldati secondo geometrie ricercate, restituiscono l’aria fatale che l’umanità sta vivendo. Hic sunt leones, qui ci sono i leoni. Così riportavano certe antiche mappe per segnalare terre selvagge dove la civiltà aveva termine. Raffaele ha voluto raccontare di questa fine, di questa riduzione dell’uomo a cosa morta, a cosa nera bruciata. L’esperimento è riuscito. Queste sculture fanno rimanere immobili di fronte alla certezza del fallimento. Manovrando la materia più fredda e crudele, Raffaele è capace di fare battere il cuore con la geometria della linea. È in grado costruire cortei e teatri, prigioni e prospettive aperte dove l’umanità, nonostante tutto, esiste e sa guardare ancora molto oltre la propria miseria». (rrc)