di FRANCESCO KOSTNER – Se fossimo in una regione normale, cioè una realtà che avesse saputo fare i conti con la propria storia, segnata da fortissimi terremoti, e da questi eventi avesse tratto i necessari insegnamenti, dando vita a scelte culturali ed organizzative adeguate, proprie di una comunità consapevole, educata a fronteggiare un’oggettiva ed ineludibile condizione geofisica, la “tirata d’orecchie” di Emanuela Guidoboni sarebbe stata prontamente rispedita al mittente. Con tanto di piccata reazione, e la richiesta di scuse immediate, da parte dei “diretti interessati”, alla sismologa storica dell’Ingv.
La “creatura” del compianto Enzo Boschi, al quale, è bene ricordarlo, tra i tanti meriti, va riconosciuto anche quello di aver promosso, nel 1989 e per il biennio successivo, la prima iniziativa di sensibilizzazione al rischio sismico nelle scuole calabresi. La preoccupazione manifestata dalla Guidoboni (almeno finora) pare essere caduta nel vuoto. Non hanno risposto la politica e le istituzioni, che il problema sismico, in genere, hanno sempre considerato, e continua evidentemente a ritenere, di secondaria importanza (sarebbe poco credibile rivendicare meriti per singole e sporadiche iniziative, ben lontane dal rappresentare un sostanziale cambio di marcia in questa direzione); e hanno fatto finta di niente i cittadini, non educati a comprendere la portata del rischio sismico in Calabria.
La Guidoboni, in sostanza, ha ricordato alcuni elementi che dovrebbero far parte del bagaglio culturale di ogni calabrese: ciò che è successo in passato, a causa del terremoto, e ciò che resta un’identità gravemente sottovalutata, appunto l’elevata sismicità del territorio regionale. Lo ha fatto a proposito di una vicenda che, sempre se vivessimo in una realtà che avesse saputo fare i conti con la propria storia – il che non significa soltanto ricordare ciò che è accaduto, ma valutare con consapevolezza il fatto che gli eventi accaduti in passato possano ripetersi – non avrebbe mai potuto avere “diritto di cittadinanza”.
L’oggetto in questione riguarda il Museo del Terremoto di Soriano Calabro, realizzato in parte negli spazi ipogei del convento domenicano, distrutto dal terremoto nel 1659 e nel 1783. Il Museo rappresenta un tangibile esempio di come sia possibile trasformare le vicende del passato in una proficua ed efficace lezione di vita. Come ha ben scritto la sismologa storica dell’Ingv, «un punto fisso di riferimento per la conoscenza del problema sismico regionale e del contesto italiano, attrezzato con supporti multimediali e interattivi di grande valore didattico».
Chi avesse tempo e interesse per visitarlo – e noi l’abbiamo fatto, accompagnati dalla brava Silvana Iannelli – rimarrebbe piacevolmente colpito da questa realtà e dal relativo percorso museale. Nel senso di comprendere immediatamente l’alto valore educativo di una struttura, un unicum, conferma la Guidoboni, nel nostro Paese, per la quale dopo due anni (confinata nel solito «piano senz’anima e colmo d’indifferenza» in cui purtroppo troppe volte finiscono questioni importanti), è stata finalmente avviata a soluzione la copertura del posto di direttore.
Figura che la Guidoboni giustamente auspica «sappia dialogare con il mondo della ricerca e sappia rendere fruibile il patrimonio di dati messi a disposizione della popolazione di Soriano e della intera Calabria per una maggiore consapevolezza del rischio sismico, condizione per una migliore sicurezza abitativa».
Cosa vogliamo dire, in sostanza? Non si provi a rispondere – speriamo nessuno lo faccia – che il problema abbia risentito dell’instabilità amministrativa del comune di Soriano, che ha via via rallentato, fin quasi a bloccarlo, il funzionamento del Museo. Intendiamoci, ciò è vero, ma non aiuta a focalizzare il vero tema, il cuore dell’intervento di Emanuela Guidoboni: la sostanziale “freddezza” con cui il problema sismico ancora viene considerato in Calabria. Questo è il punto sul quale bisogna riflettere. Ripeterlo non guasta: se fossimo stati una regione “normale”, con la giusta dose di consapevolezza rispetto al terremoto, e se questo tema fosse realmente e compiutamente al centro dell’agenda politica, non avremmo mai consentito che una struttura tanto importante, e l’attività culturale che ad essa fa capo, risentisse di alcuna difficoltà.
Avremmo tutelato in ogni modo – evitando interruzioni e difficoltà varie – ciò che rappresenta il simbolo di una necessaria rivoluzione culturale. Lo strumento per la creazione di una sensibilità collettiva verso il rischio sismico, di cui abbiamo assolutamente bisogno, ma che evidentemente è ancora tutta da costruire. (fk)