Lascia sconcertati la condanna a 5 anni e 4 mesi comminata ieri a Reggio Calabria al sen. Marco Siclari per il reato di “scambio elettorale politico-mafioso”, ipotizzato dalla Direzione distrettuale antimafia guidata da Giovanni Bombardieri. Le sentenze non si commentano e si rispettano, è, però, possibile manifestare un qualche sgomento quando ci si trova davanti a una palese interpretazione distorta dei fatti.
Abbiamo letto fino in fondo le molte migliaia di pagine della richiesta di arresto per tutti gli imputati (per il sen. Siclari il Senato non ha mai autorizzato il provvedimento restrittivo) dell’inchiesta Eyphemos, nonché la requisitoria del pm Giulia Pantano (che aveva chiesto 4 anni) e non siamo riusciti a individuare in alcuna riga un’intercettazione diretta tra il politico reggino e qualcuno dei presunti mafiosi che oggi risultano condannati a pene che arrivano anche a 17 anni e 9 mesi di carcere. C’è il riferimento a una presunta “raccomandazione” per un trasferimento alle Poste di cui non esiste traccia e mai avvenuto. L’unico elemento è la “visita” di 40 minuti durante la campagna elettorale alla segreteria elettorale (aperta al pubblico e affollata di sostenitori, curiosi e simpatizzanti) del senatore di Forza Italia di un sospettato di legami mafiosi (all’epoca non pregiudicato) documentata da una fotografia. Tutto qui.
Basta questo per definire “mafioso” un rappresentante delle istituzioni? Qualche dubbio, ci sia consentito, pur nel rispetto pieno della sentenza, ci sembra plausibile. L’appello dirà se ci sono stati errori (con la dignità di una persona per bene messa sotto le scarpe) o se ci troviamo di fronte a un dr Jeckyll-Mr Hyde che ha convinto migliaia di elettori (anche grazie alla lunga storia di legalità e onestà che contraddistingue la sua famiglia) ma non ha ingannato il collegio giudicante. Ma, in questo caso, chi lo ripagherà – se errore sarà accertato – della penitenza di 578 giorni e della gogna mediatica – infame – che certamente oggi molta stampa infliggerà al più giovane senatore della Repubblica? Sorge il dubbio che l’essere nato in Calabria, o peggio a Reggio, costituisca un pregiudizio vergognoso (inevitabilmente mafiosi tutti i calabresi?) per giustificare una sentenza di colpevolezza. (s)
Il sen. Marco Siclari ha postato un lungo sfogo su Facebook, che riportiamo integralmente. Le sentente non si commentano, sia chiaro, ma dev’essere permesso a chi ritiene di aver subito un grave torto dalla giustizia di esprimere la sua amarezza.
«La dignità e la verità valgono più di una sentenza.
Condannato per “NON aver commesso il fatto”.
Per dovere istituzionale e per trasparenza verso gli elettori ed il Senato della Repubblica, interrompo il rispettoso silenzio per le notizie totalmente fuorvianti che sono riportate su alcuni articoli dell’ultima ora.
Io non racconto una “mia storia”, ma rendo giustizia alla verità pubblicando sul MIO SITO l’ordinanza del GIP e la difesa (provata) per ogni opportuna valutazione dei cittadini.
Non ho nulla da nascondere.
Ho provato sulla mia pelle ciò che non credevo, cioè come si potesse nel nostro Paese condannare un cittadino onesto ed totalmente estraneo ai fatti contestati, in questo caso anche espressione della democrazia rappresentativa, membro della più alta camera della Repubblica Italiana, senza ALCUNA prova e senza alcun indizio come dimostrano le 1054 pagine di indagini della stessa Procura effettuate #dopo la firma dell’ordinanza (le 1054 pagine saranno pubblicate nei prossimi giorni).
Il PM nell’ordinanza, mi accusa di aver #vinto l’unico collegio del Sud, come centrodestra, contro il candidato del Movimento Cinque Stelle, cosa che non poteva non accadere, secondo l’accusa, se non per il tramite dei voti mafiosi considerando che siamo a Reggio Cal (!).
Ma, cosa molto grave, e che il pm non tiene conto che il candidato del M5S è stato ESPULSO dal movimento stesso 18 giorni prima del voto (espulso il 15 febbraio 2018 per non aver dichiarato di aver fatto parte della massoneria come riporta la stampa nazionale).
Ho atteso in prima persona, in un aula del tribunale dove non ero mai entrato prima d’ora, la sentenza del giudice.
Mi chiedo ogni giorno da 578 giorni perché mai avrei dovuto “sperare” in un giudizio positivo sapendo di non aver commesso il fatto, sapendo che la Procura ha commesso un grave errore di valutazione elettorale, sapendo che le CELLE dei cellulari come dalle indagini della stessa Procura non si sono mai incrociati tra me e l’indagato, sapendo come accertato dalla CTU effettuata dalla stessa Procura di Reggio Cal sul cellulare e sul tablet sequestrato dell’indagato, che NON HO MAI avuto alcun contatto, ne diretto ne indiretto, con un “soggetto” fino ad OGGI “NON MAFIOSO” e del quale mi contestano che un giorno è entrato nella segreteria elettorale (4 giorni prima del voto, 28 febbraio 2018) accompagnato dal Presidente del Sindacato dei Medici di Medicina Generale di Reggio Calabria e nel quale incontro (NON PROVATO) secondo il pm, avrei fatto un patto mafioso perché quei due signori (fino ad oggi NON MAFIOSI) sono rimasti dentro la segreteria per un tempo pari a 40 minuti.
L’accusa sostiene che quel “soggetto”, segretario dell’Udeur prima e dell’UDC dopo a Sant’Eufemia d’Aspromonte (come scrive il Giudice del Tribunale di Palmi), avrebbe portato “per deduzione” i voti di un clan.
Dalle intercettazioni, invece, risulta che quel “soggetto” avrebbe chiesto UN SOLO VOTO per Forza Italia ad un’altra donna, sua amica e proprietaria di un bar.
Io non ero NEMMENO candidato in Forza Italia, ma ero espressione di tutti i partiti della coalizione.
Il VANTAGGIO, secondo l’accusa, che avrei apportato al clan (potentissimo secondo il pm) sarebbe il TRASFERIMENTO di una dipendente di Poste Italiane. TRASFERIMENTO SMENTITO dagli stessi dirigenti e funzionari di Poste Italiane, che sono stati oggetto di indagine come provato dalle SIT e dalle intercettazioni effettuati dalla stessa Procura
Andrò avanti fino alla fine per aver una sentenza giusta. In attesa delle motivazioni, mi dispiace intanto prendere atto, da Uomo dello Stato, che il dispositivo della sentenza non rispecchia quello che emerge evidentemente dagli atti. Sono certo che il grado di Appello renderà giustizia e rispetterà le evidenze probatorie circa la mia estraneità dai fatti contestati
Andrò avanti a testa alta più di prima, perché so di non aver agito MAI nell’illegalità.
Il mio pensiero, in questo momento va alla sofferenza dei miei cari e della mia famiglia.
Ai miei concittadini dico: “Un’ingiustizia fatta in un luogo è un’ingiustizia fatta in ogni luogo” e tocca ciascuno di noi nella nostra onesta e integrità. Ho scelto l’abbreviato perché credevo in uno Stato di Diritto
Vi abbraccio con tutto me stesso e ringrazio tutti dal profondo del mio cuore per la vicinanza che mi state dimostrando». (rrc)