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Il racconto / Gregorio Corigliano: Scusi c’è il lavoro? Torni l’anno prossimo

di GREGORIO CORIGLIANO – Scusi, finalmente, c’è? «Chi»? Il lavoro! «E lo cerca qui, perché»? Non è l’ufficio provinciale del lavoro? «Certo, ma qui è l’ufficio, non il lavoro»! Se c’è l’ufficio, c’è il lavoro, se no che ufficio è? Lo dice la parola stessa: ufficio provinciale del lavoro. Significa che da voi si distribuisce il lavoro a chi lo cerca. «Non è così, come dice lei, amico mio»! Ed allora come è? «Qui si fanno le pratiche per vedere di organizzare al meglio, quasi scientificamente, i posti di lavoro»! Visto, lo dice lei stesso, come organizzare. Con scienza e, quindi, coscienza, spero, i posti di lavoro. Quindi siete tutti impegnati a fare lavori di matematica, trigonometria, algebra per far quadrare i conti in modo da poter procedere, in un secondo tempo, alla distribuzione dei posti tra quanti anelano ad un posto e sono in fila da anni. Applicavano la legge di Taylor, senza conoscerla, forse. Alcuni sono diventati vecchi, vero? «Aspetti, io sono solo il centralinista, assunto con la legge sulle categorie protette perché non vedente e non sono a conoscenza di come i dirigenti stiano lavorando. So che lavorano da anni, perché sento i ticchettii delle macchine da scrivere, i fischi dei gessetti sulle lavagne (quelli che facevano “arrizzicare” le carni) le porte che sbattono, un tram tram (guardi che si dice tran tran, mi inserisco) nei corridoi, poi c’è chi grida, chi urla, chi entra, chi esce. Insomma, da non vedente capisco che c’è gran movimento, quindi significa che lavorano, altrimenti non si sarebbe sentita una mosca volare!» Vabbè, non parli mi passi il dirigente.

Si inserisce di nuovo perché, mi dice, che il dirigente non risponde. «Signore, aspetti in linea, per non perdere la priorità ricevuta, perché capisco che c’è gente in attesa!» Gente in attesa? Lo so bene, i miei figli sono in attesa da trent’anni di un posto! «No, in attesa di parlare col dirigente che non riesco a beccare mai, in tutta la mattinata perchè sarà nella sala riunioni e, a dire la verità, passo la linea, ma poi non la prende nessuno!».

Dimenticando che è cieco, pardon, non vedente, gli chiedo la cortesia di andare a vedere, poi mi riprendo, e gli chiedo di mandare qualcuno. «No, signore son tutti là, presi e compresi ad organizzare numero, graduatorie e distribuzione dei posti, almeno così mi hanno detto, pregandomi di dirlo a quanti avrebbero telefonato e cosi sto facendo, come con Lei, ma piuttosto mi perdoni ma sento il cicalino che mi avverte che ci sono altre telefonate in corso e chiude!» io, che chiamo da un paesino della provincia non so come fare, però sono contento perché finalmente ho trovato un posto che si chiamava “Ufficio del lavoro e della massima occupazione” al quale mi aveva indirizzato un conoscente che si chiamava “collocatore” comunale ma che, alla fine, non era stato messo nelle condizioni di collocare proprio nessuno. Indirizzava le persone a questo ufficio. Io mi ero appena laureato ed ero convinto, con una telefonata, di aver trovato o quasi il posto.

Papà. Lo sai che ho trovato il posto? Davvero? Come, dove, quando? Così racconto al mio genitore quello che mi era capitato: la telefonata, la sala riunioni, i consigli del telefonista, le graduatorie. Mio padre mi guarda e parla… con gli occhi. Volendomi dire «che beata illusione». Lui che era riuscito a vincere un concorso nel 1948 al ministero della pubblica istruzione e raggiungeva la scuola dove insegnare, distante assai da casa, con un guzzino. Come devo andare a Reggio, chiedo a mio padre. Non c’era soluzione diversa dalla ferrovia. Altra avventura, insomma mi organizzo e, alzatomi prestissimo, alle cinque del mattino, tra autobus e treno, raggiungo Reggio. Vado a quell’ufficio del lavoro e chiedo del centralinista del giorno prima. Era assente per malattia. Lo sostituiva un altro collega, sempre della stessa categoria protetta. Gli spiego la questione facendogli il riassunto della telefonata.

Il lavoro, i posti, le graduatorie. Anche il mio nuovo interlocutore mi dice che, a suo sapere, la riunione “dei posti” era in corso. Mi fa entrare e mi dice di attendere nella sala della terza porta a destra. Un freddo cane, mi siedo fiducioso ed attendo il mio turno. Si fanno le 14, ma non mi chiama nessuno. Mi alzo, con uno scatto, vado nella sala riunioni ma non trovo “anima criata” come avrebbe detto Camilleri. Mi arrabbio e grido perché mi sentivo preso in giro. Deluso e sconfortato, prendo le scale – l’ascensore era rotto – manco a dirsi. Saranno state le masse di disoccupati che quotidianamente raggiungevano la sede della “massima occupazione” che non aveva sopportato i richiedenti lavoro. Qualcuno mi dice di tornare l’anno prossimo, e poi l’altro ancora fino a quando… il lavoro non sarebbe giunto a me. Cosa che non è mai avvenuta. Quell’ufficio non c’è più: abolito. Era una presa in giro con quella denominazione. In compenso oggi si celebra la storica festa del lavoro ed in tutte le Prefetture viene consegnata l’onorificenza della “Stella ai Maestri del lavoro” che, ancora e non si sa per quanto, non c’è! Ed i giovani fischiano alla luna, come e più di prima! (gc)