Adriano Giannola (Svimez): Autonomia rischia di sostituire le Regioni allo Stato

«Il disegno di legge approvato dal governo il 15 marzo 2023, poi dal Senato il 23 gennaio 2024 e ora all’esame della Camera, rappresenta un pericoloso disegno dell’autonomia differenziata che finisce per sostituire le Regioni allo Stato». È quanto ha detto Adriano Giannola, presidente della Svimez, nel corso dell’audizione in Commissione Affari Istituzionali.

Per la Svimez, infatti, il ddl «non favorisce, affatto, la coesione del Paese; appare, in più parti, incostituzionale; è impraticabile sotto il profilo finanziario; non prevede Fondi di perequazione territoriale e, infine, cristallizza la spesa storica invece di superarla. Da qui, il «rischio maggiore è che, al termine di questo processo – ha spiegato Giannola – nasca un Grande Nord, seguito per contraltare da un Grande Sud, entrambi nell’ambito di una Piccola Italia non ancora confederale ma che certamente non avrebbe nulla a che vedere con un federalismo realmente cooperativo e solidale».

Il timore del presidente, infatti, è che «la fretta di chiudere la partita dell’autonomia rafforzata finisca per forzare regole e principi non derogabili, con un approdo finale basato su Intese tra Stato e singole Regioni che richiedono maggiori poteri, approvate dal Parlamento con una legge non emendabile».

«Inoltre, se le Funzioni che prevedono la determinazione dei Lep (soprattutto Sanità, Istruzione e Mobilità locale) non possono essere trasferite – ha spiegato Giannola – se prima non si definiscono i Livelli Essenziali delle Prestazioni e non si trovano le risorse per finanziarli, per tutte le altre, oggi a legislazione concorrente (dai porti all’energia, dal lavoro alla tutela del territorio, solo per citarne alcune) si possono stipulare subito le Intese».

In definitiva, la Svimez teme questa «Babele di Regioni sovrane, all’interno di uno Stato Arlecchino, (timore che non a caso paventano anche la maggior parte dei Sindaci di qualunque parte politica) cui risponderà la soluzione del Grande Nord, per la cui nascita basterà attivare l’articolo 117 comma 8, perfetto – e non casuale – complemento del 116 terzo comma». (rrm)

 

IL PONTE CENTRALITÀ DEL MERIDIONE:
PERCHÈ SERVE UN PROGETTO DI SISTEMA

di LIA ROMAGNO – L’obiettivo è accendere il secondo motore economico dell’Italia, il Mezzogiorno, e ridurre allo stesso tempo la diseguaglianza sociale ed economica tra il Nord e il Sud. La chiave è la messa in campo di un “progetto di sistema” infrastrutturale con al centro il ponte sullo Stretto di Messina una delle porte d’ingresso in Europa da Sud, ovvero quella vasta, popolosa area del Mediterraneo che il Vecchio Continente ha riscoperto con la guerra in Ucraina e la “sete” di energia – di cui i paesi affacciati sul Mare Nostrum sono ricchi – determinata dalla chiusura dei rubinetti di Mosca e dalla volontà di affrancarsi dai combustibili russi.

Un “Progetto di sistema” per il Sud in Italia e per l’Italia in Europa è quello messo a punto da Svimez, insieme ad Animi (Associazione nazionale per gli interessi del Mezzogiorno), Cnim (Comitato nazionale per la manutenzione) e Arge, già presentato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, posto al centro di un confronto nella sede della Ficei, cui oltre al presidente della Federazione Italiana Consorzi ed Enti di Industrializzazione, Antonio Visconti e Andrea Ferroni, hanno preso parte, tra gli altri, il viceministro alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, Adriano Giannola e Aurelio Misiti, presidenti rispettivamente di Svimez e Cnim, l’architetto Pier Paolo Maggiora di Arge.

Il Ponte, che ha una rilevanza strategica, è quindi parte di un progetto più complesso che, ha sostenuto Aurelio Misiti, presidente del Cnim, vale circa 80 miliardi, di cui 30 e 20 sono rispettivamente il peso dell’alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria sulla linea tirrenica e dell’alta capacità sul fronte ionico.

Strategiche sono poi anche le altre due porte d’ingresso in Europa, ovvero i porti di Augusta – che deve intercettare e “rilanciare” quel 25% di ricchezza che passa dallo Stretto di Messina – e di Gioia Tauro. L’idea è poi quella di arrivare alla creazione nel retroporto di Gioia di una «città della piana, per fare di 160 mila abitanti una voce sola – ha spiegato Misiti – che insieme alla città metropolitana di Reggio-Calabria dialoghi con quella di Messina in modo da arrivare ad avere un’unica città metropolitana dello Stretto, con poteri simili a quelli di Roma Capitale». «L’obiettivo è far sì che il Mezzogiorno possa essere un motore economico alla stregua del Nord grazie alle ricchezze che passano dallo Stretto di Messina», ha sottolineato il presidente del Cnim, rilevando poi che la possibilità di collegare Roma e Catania in 3 ore e 30 (come Roma e Milano) grazie al ponte e all’alta velocità attiverebbe gli investimenti dei privati sulla rete autostradale. «Ci sono le condizioni perché il Sud possa svilupparsi, e possa farlo anche da solo».

Il Ponte, ha affermato il viceministro Bignami, «non è un’opera fine a se stessa ma un attivatore delle economie del territorio che dovrebbero mettere in connessione la Sicilia con il resto del Meridione e questo con il continente. E risponde anche all’esigenza di rendere più forte e strutturata la nostra nazione che oggi è tra le potenze manifatturiere mondiali nonostante la situazione del Meridione che consente di immaginare ampi margini di sviluppo per quest’area e di conseguenza per l’intero Paese».

Il viceministro ha poi  smontato le critiche di chi ritiene troppo elevato il costo dell’opera – circa 14 miliardi – come i “suggerimenti” di quanti considerano necessario un ripensamento sostanziale del progetto. Il ponte, ha sostenuto, consentirebbe di “elidere” i costi dell’insularità per la Sicilia, stimati in circa 6 miliardi l’anno, che verrebbero «ribaltati sulla realizzazione dell’opera che creerebbe anche sviluppo». Mentre «fare tabula rasa dei rapporti giuridici in essere, in caso di una nuova gara». considerando anche i contenziosi che ne deriverebbero, allungherebbe a dismisura i tempi.

L’opera trascinerebbe investimenti sulle altre infrastrutture, ha poi sottolineato: «Intendiamo realizzare il ribaltamento del paradigma che prevede prima la realizzazione delle opere complementari e poi l’innesto del ponte come completamento. É un approccio sbagliato, anzi la lunga storia del ponte sconta proprio questo errore. La realizzazione del ponte è la dimostrazione della volontà del governo Meloni di realizzare  la centralità del Meridione».

Adriano Giannola ha messo l’accento sul «piano straordinario di salvataggio» del sistema Italia messo in campo dall’Europa con il Pnrr, «un piano di rinascita», «condizionato al fatto che riduciamo le diseguaglianze e aumentiamo la coesione sociale», che vuol dire affrontare il nodo del dualismo Nord-Sud, soprattutto considerando il fatto che le regioni settentrionali si stanno progressivamente allontanando dalla media europea: «Lombardia, Emilia e Veneto, tanto amanti dell’autonomia, che è una follia, arretrano sempre di più, non trainano più nulla se non loro stesse», ha affermato il presidente di Svimez, sottolineando come il faro anche per l’imprenditoria del Nord debba essere diventare protagonisti della centralità del Mediterraneo che l’Europa oggi ha riscoperto dopo averla abbandonata per trent’anni.

«È il momento di recuperare sul ponte, sul Mezzogiorno che è il terreno su cui si innesca quella reazione a catena che può fare il secondo miracolo economico al Sud e al Nord». E in questo quadro Giannola ha posto la necessità di «cambiare radicalmente rotta sul Pnrr», la cui priorità, ha ribadito, è «l’unicità economica del Paese». (lr)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

MA QUALI MERIDIONALISTI DI PROFESSIONE
GIANNOLA DIFENDE RUOLO DELLA SVIMEZ

di SANTO STRATI – È passato quasi un mese dal Convegno di Sorrento promosso dalla ministra per il Sud Mara Carfagna con l’organizzazione affidata allo Studio Ambrosetti, ignorando del tutto la Svimez, ma la sottile polemica sui “meridionalisti di professione” continua a strisciare insidiosa.

È un modo di pensare che, alla luce delle ultime proposte della ministra Gelmini sull’autonomia differenziata (che è tornata improvvisamente alla ribalta) va respinto in toto, perché non si può ignorare il grandissimo sforzo e il ruolo precipuo recitato dalla Svimez a favore del Sud.

Non si può immaginare un “Mezzogiorno senza Svimez”, anche perché si farebbe torto ai padri fondatori Associazione per lo sviluppo del Mezzogiorno non erano figli del Meridione, bensì esponenti della politica e dell’economia dell’Italia industriale del Nord: basti pensare a Beneduce, Menichella, Giordani, Cenzato e Saraceno e al loro impegno per sostenere una politica di industrializzazione e di crescita che vedesse protagonista l’intero Paese e non soltanto le già sviluppate economie del Settentrione.

A dar fuoco alle polveri, con la consueta amabilità che lo contraddistingue è stato qualche giorno fa il presidente della Svimez Adriano Giannola con una lettera al Corriere del Mezzogiorno che aveva pubblicato un editoriale di Marco Demarco che ascriveva l’ostracismo riservato alla Svimez a una guerra d’indipendenza della ministra per il Sud rispetto a De Luca e ai “professionisti del Mezzogiorno”.

Secondo Giannola, “l’enfasi sulla presunta novità del «Mezzogiorno senza Svimez» si deve, probabilmente, alla “scoperta di una novità a ben vedere vecchia di trent’anni; un fuoco fatuo, un abbaglio per l’acuto interprete (Demarco) di vicende nazionali «viste da Sud».

Si commenta da sola – scrive Giannola – l’allusione al «meridionalista di professione» della Svimez: tali sarebbero Saraceno (Iri), Rodolfo Morandi (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia), Menichella (istituto ricostruzione industriale-Banca d’Italia), la Cassa del Mezzogiorno presieduta da Pescatore, ecc… che furono in sintonia con i Governi, in autonomia e con discreto successo. Oggi – certo – non si può cercare di stare dignitosamente sulle spalle di quei giganti – chiosa Giannola nella sua lettera.

“A scanso di equivoci – prosegue il presidente della Svimez – Demarco commette un errore marchiano quando afferma che Sorrento inaugura l’era di un “Mezzogiorno senza Svimez». C’è da chiedersi dove egli fosse nella boriosa-sterile stagione dei boys della Nuova Programmazione, o in quella dei patti territoriali e da quale spiaggia abbia osservato i disastri delle politiche di coesione tanto case a Governi e «Governatori». In altri termini, non si è accorto che sul Mezzogiorno da più di trent’anni il Governo ragiona senza e spesso contro la Svimez.

“A Sorrento – scrive Giannola – la politica ha provato a verniciare a nuovo uno scenario preso a prestito; autorevoli sponsor contribuiscono da par loro con suggestioni che hanno un qualche distillato di analisi untradecennali. Certo fa effetto – a noi, non a Demarco – vedere all’improvviso declamati slogan Svimez mai assurti prima alle luci della ribalta del governo. Ben venga perciò se la volenterosa ministra saprà «cambiare rotta» al Paese costruendo quel «Secondo Motore», anche esso rigorosamente marcato Svimez pur non rivendicando copyright”.

Giannola rimarca nella sua lettera che “il quesito oggi non è se e come la Svimez sia in gioco, ma quale sostanza e credibilità possa attribuirsi all’annuncio di cambio di rotta. Ora (la ministra è baciata dalla fortuna) le risorse abbondano, vanno spese: è il progetto che rimane ignoto. In attesa di verificare la sequenza intenzioni-fatti non professiamo affatto granitica fiducia. Ministeri-chiave (mobilità sostenibile e transizione) a fronte di un’emergenza energetica che mette a rischio gli appuntamenti con la decarbonizzazione di Ue 2030 e 2050, palesano evidente inerzia, carenza di visione e di condivisione di questa opzione nel Pnrr. Di questo, sia consapevole la ministra e si attivi con fantasia. Serve a poco proclamare slogan Svimez (messi volentieri a disposizione) se dopo il maquillage non si passa in sala macchine ad accendere «il motore» per innescare quella sapiente, controllata reazione a catena che vale molto di più dell’ossessione del 40% al Sud. Per garantire un percorso di riequilibrio territoriale nei diritti di cittadinanza e va condiviso nel Paese grande malato d’Europa”.

È una replica, questa di Giannola che i nostri politici (ma non soltanto quelli carichi di pulsioni meridionalistiche) dovrebbero utilizzare come monito a una continua “distrazione” sui problemi del Mezzogiorno e sull’ – ahimè – crescente divario Nord-Sud. “Sul Sud– scrive ancora Giannola – si ha pieno diritto di ragionare: dico anzi che è tempo che Milano rompa il silenzio che, finora, segnala evidenze del suo malessere in fortuiti «fuori onda». Scenda invece in campo, magari aprendosi al confronto sul rivendicazionismo del «vento del Nord» e la bocconiana idea che per «far correre Milano» vale la pena di «rallentare Napoli» (Tabellini). Proporrei al presidente di Ambrosetti di ragionare sulla crisi di Milano che, per correre e non zoppicare, oltre a prendersela con Napoli crede di poter tornare locomotiva, con la scorciatoia di una incostituzionale autonomia che un’altra ministra di affretta a sfornare, senza che il presidente del Consiglio batta ciglio”.

Quest’ultimo riferimento alla Gelmini dovrebbe ulteriormente indurre a riflettere. Nel primo governo Conte la ministra Erika Stefani dovette battere in ritirata con le carte pronte per un’autonomia differenziata che mortificava il Sud e non aiutava, sicuramente il Nord. La Gelmini, si ritrova con una patata più bollente di prima che ha subito provocato la stizzita reazione della “collega” di partito Carfagna.

Il problema è e rimane ancora una volta la necessità di ragionare in termini di Paese e non di Nord-Sud dove l’uno corre e l’altro arranca. L’occasione del Pnrr è sicuramente più unica che rara e questo treno, una volta perso, non ha locomotive d’emergenza né corse aggiuntive su cui poter contare. Il Mediterraneo è la vera sfida (Giannola chiama “la via di Damasco – il cambio di rotta – da molti anni indicata dalla Svimez al Governo. Il vento gira e gonfia le vele di un Euro-Mediterraneo che da noi è ancora in cerca di identità, da costruire in casa prima che sull’altra sponda”.

Il fatto è che da troppo tempo gli illuminati rapporti della Svimez che avrebbero dovuto costituire un faro ideale per una sequela di governi insensibili al problema Mezzogiorno, non vengono presi in considerazione. Sono allarme circostanziati, con indicazioni di soluzioni affatto peregrine e che, anzi, potrebbero rappresentare il percorso più adatto per sostituire la parola crisi con ripartenza, la parola abbandono con ripresa, il termine degrado con sviluppo. La verità è che manca una precisa volontà politica a vedere finalmente crescere e avanzare il Mezzogiorno per un malcelato timore di un improbabile quanto impossibile “sorpasso”. I numeri del Pil sono impietosi e indicano ancora sofferenza in tutto il Meridione, ma senza i consumi delle popolazioni del Mezzogiorno – questo ancora non lo vogliono capire al Nord – le fabbriche e le industrie settentrionali si troveranno con ricavi dimezzati o azzerati. Ma alla popolazione del Mezzogiorno, oltre a offrire pari dignità abbattendo qualsiasi divario in qualsiasi campo, occorre offrire occupazione e lavoro stabile, garantire il futuro fino ad oggi rubato alle nuove generazioni del Sud. Se riparte il Sud, non dimentichiamolo, riparte il Paese. E non è uno slogan. (s)