SFRUTTARE I FONDI DEL PNRR CONTRO
IL CONSUMO DEL SUOLO IN CALABRIA

di GIOVANNI MACCARRONEL’estate ho l’abitudine di lasciare una vaschetta piena d’acqua in giardino. Serve al mio cane per rinfrescarsi durante le giornate di caldo afoso. Siamo alla fine di novembre e quella vaschetta continuo a tenerla in giardino. Il cane ci va spesso perché fuori le temperature sono ancora alte.

Ma cosa sta succedendo. Ovunque si guardi, il clima sembra essere veramente impazzito.  Basta guardarsi attorno per capire che qualcosa è cambiato. I climatologi stimano che l’aumento della temperatura terrestre ha sicuramente un effetto diretto sull’innalzamento della temperatura superficiale dei mari, che si traduce in una maggiore quantità di vapore acqueo nell’atmosfera. Un’atmosfera con più vapore acqueo favorisce l’insorgenza di eventi atmosferici più imprevedibili e impetuosi 

Come più volte segnalato, l’aumento della temperatura terrestre è dovuta principalmente all’attività dell’uomo. L’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change, Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, emanazione dell’Onu) ha fatto notare che esiste un forte legame fra utilizzo di fonti fossili (carbone, petrolio e gas naturale) e l’incremento delle emissioni di gas come anidride carbonica (CO2), metano, protossido di azoto e idrocarburi alogenati che impediscono al calore prodotto dalla terra di ritornare in buona parte nello spazio e fanno salire la temperatura del pianeta (c.d. effetto serra antropico che si aggiunge all’effetto serra naturale).

Bisogna, quindi, fare di tutto per abbandonare le fonti fossili e sviluppare sempre più le fonti di energia rinnovabili. Diversamente, le cose potrebbero presto addirittura peggiorare con l’insorgenza di numerosi processi climatici avversi legati all’innalzamento delle temperature, come ad esempio ridotte precipitazioni, siccità e fenomeni di degradazione del suolo. Inoltre, come abbiamo avuto modo di notare negli ultimi anni, l’aumento della temperatura non ha solo un effetto diretto sul processo di desertificazione. Al contrario, si stima che potrebbe verificarsi un ulteriore aumento della piovosità in certe aree geografiche con un possibile conseguente aumento delle inondazioni in queste zone

È terribile quello che sta accadendo. Pertanto, è subito necessario adottare provvedimenti urgenti per invertire la rotta a causa del riscaldamento globale. Soprattutto, occorre adottare misure coerenti al fine di far tornare il clima globale a qualcosa che si avvicini il più possibile al normale. 

Il problema è che se è vero che i difensori della lotta al mutamento climatico (che oggi si chiama “decarbonizzazione”) pensano che la transizione energetica ed ecologica (cioè il passaggio da un sistema di produzione di energie basato soprattutto sulle fonti fossili – quali il carbone, che ad oggi è la più grande fonte di emissioni globali di carbonio e che ha toccato un +9% nel 2021, il petrolio e il gas naturale – alle fonti rinnovabili) possa avvenire attraverso l’energia solare, l’eolico (inclusi gli impianti off-shore), gli impianti di biometano e la promozione dell’agri-voltaico, è altrettanto vero però che essi rimangono totalmente indifferenti davanti alla considerazione secondo la quale l’interesse sotteso alla realizzazione e alla ricerca di fonti energetiche alternative è normalmente non già quello di tutela ambientale ma quello economico imprenditoriale del soggetto privato ad effettuare un investimento pubblico.

Per cui, in qualche modo, si continua ad avallare un modo di pensare che, attraverso la spinta alla realizzazione e allo sviluppo delle fonti di energia rinnovabili, tutela indirettamente la creazione di uno strumento economico.

Invece, bisognerebbe evitare questa strumentalità al mercato delle fonti rinnovabili. Così come bisognerebbe evitare di pensare ancora oggi che “occorre una severa comparazione tra i diversi interessi coinvolti nel rilascio dei titoli abilitativi — ivi compreso quello paesaggistico — alla realizzazione ed al mantenimento (come nel caso di specie, trattandosi di un procedimento di sanatoria) di un impianto di energia elettrica da fonte rinnovabile. Tale comparazione, infatti, nei casi in cui l’opera progettata o realizzata dal privato ha una espressa qualificazione legale in termini di opera di pubblica utilità, soggetta fra l’altro a finanziamenti agevolati (a pena di decadenza senza il rispetto di tempi adeguati) non può ridursi all’esame dell’ordinaria contrapposizione interesse pubblico/interesse privato, che connota generalmente il tema della compatibilità paesaggistica negli ordinari interventi edilizi, ma impone una valutazione più analitica che si faccia carico di esaminare la complessità degli interessi coinvolti. Ciò in quanto la produzione di energia elettrica da fonte solare è essa stessa attività che contribuisce, sia pur indirettamente, alla salvaguardia dei valori paesaggistici” (cfr. in specie Consiglio di Stato, sez. V, 12 aprile 2021, n. 2983, ma nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. VI, 9 giugno 2020, n. 3696 e Consiglio di Stato, sez. VI, 23 marzo 2016, n. 1201).

Lo sviluppo economico imprenditoriale del privato rappresenta certamente un interesse meritevole di tutela (ai sensi dell’art. 41 Cost.), ma non deve necessariamente porsi in modo da compromettere la qualità dell’ambiente e la disponibilità delle risorse naturali, la qualità della vita. A tale soluzione è pervenuto di recente il nostro legislatore che ha provveduto ad integrare l’art.41, secondo cui “la libertà dell’azione economica privata non può danneggiare la salute e l’ambiente“.

In tal senso, del resto, già l’art. 3-quater del “codice dell’ambiente” che, in proposito, ha, per l’appunto, esplicitato la regola per cui, in applicazione del principio dello sviluppo sostenibile, in qualsiasi procedimento amministrativo che comporti il bilanciamento di istanze e interessi pubblici e privati contrapposti, l’interesse alla tutela ambientale deve essere tenuto in prioritaria considerazione nella ponderazione e comparazione degli interessi in gioco.  

Pertanto, per ridurre le emissioni di gas serra e garantire un futuro energetico più pulito e sostenibile, le fonti energetiche alternative sono cruciali. Come già detto in altra occasione, sarebbe auspicabile, però, che tale riduzione non finisca per tradursi in un ulteriore pregiudizio per l’ambiente, la qualità dei paesaggi e in un ulteriore depauperamento delle risorse ecosistemiche (e non solo alimentari) dell’agricoltura.

Pur affermando che le fonti rinnovabili possono dare un forte impulso al cambiamento climatico, si deve tuttavia riconoscere che soprattutto in territori come il nostro, dove la perdita di superficie utile per il settore agricolo è già imponente a causa della cementificazione spinta e l’erosione collinare, l’introduzione di quantità considerevoli di impianti di energia elettrica da fonti rinnovabili (in particolare eolico e fotovoltaico) determinerebbe inesorabilmente uno scenario “catastrofico, “apocalittico”.

La Calabria con i suoi 479.000 ettari si pone tra le regioni italiane con il più alto indice di boscosità. Nell’ultimo cinquantennio, tuttavia, abbiamo avuto una forte perdita di alberi determinata in particolar modo dagli incendi boschivi. Inoltre, nel tempo abbiamo avuto anche una forte perdita di superficie utile per il settore agricolo. Tutto questo è stato in generale determinato dai fenomeni erosivi (molto più evidenti nel versante ionico rispetto a quello tirrenico) a loro volta favoriti dai numerosi e ripetuti incendi estivi che hanno ridotto sensibilmente la buona copertura vegetale di tipo arboreo o arbustivo del nostro territorio. Nello specifico, invece, la perdita di suolo è stato anche determinato dalla cementificazione spinta che negli anni ha sottratto al settore primario imponenti superfici.

Pensate, quindi, cosa potrebbe accadere in futuro se non riuscissimo a fermare l’ulteriore consumo del suolo provocato da un incremento considerevole dei parchi eolici oppure di campi fotovoltaici. Possiamo solo immaginare uno scenario “apocalittico e un territorio completamente devastato dal forte incremento delle aeree impermeabilizzate realizzato anche grazie al d.lgs 29 dicembre 2003, n. 387 che, nel prevedere espressamente all’art. 12, comma 1, che “le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti, autorizzate ai sensi del comma 3, sono di pubblica utilità”, sostanzialmente spiana la strada all’espropriazione per pochi soldi delle aree agricole.

Quello che addolora è constatare che in futuro con molta probabilità la bellezza dei territori calabresi verrà completamente sacrificata in nome di una riduzione su scala globale del gas ad effetto serra, dietro la quale – dobbiamo proprio dirlo – “agiscono in realtà molto concreti e potenti interessi economici locali delle imprese del settore (finanziati con lauti incentivi statali, a carico della finanza pubblica e delle bollette dei consumatori)”.

Mi auguro che ciò non accada. Anche perché da un certo punto in avanti non ci sarà più modo di tornare indietro. La nostra generazione e soprattutto quella precedente hanno già causato enormi criticità ambientali. Perciò, in futuro, bisogna intervenire energicamente per migliorare le condizioni di vita sul pianeta e garantire alle nuove generazioni l’accesso a un ambiente pulito e salubre (a tal fine gli stati che aderiscono all’Onu si sono infatti impegnati con l’Agenda 2030 a mettere a punto un piano per il miglioramento delle condizioni di vita sul pianeta entro tale data; inoltre, nell’art. 9 della nostra Costituzione recentemente è stato aggiunto: “Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.”).

Non c’è più tempo da perdere, dobbiamo mettere a frutto la normativa vigente e, in particolare, l’articolo 9, comma 1 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2021 n. 108), il quale precisa che “alla realizzazione operativa degli interventi previsti dal Pnrr provvedono le Amministrazioni centrali, le Regioni, le Province autonome di Trento e di Bolzano e gli Enti locali, sulla base delle specifiche competenze istituzionali, ovvero della diversa titolarità degli interventi definita nel Pnrr, attraverso le proprie strutture, ovvero avvalendosi di soggetti attuatori esterni individuati nel Pnrr, ovvero con le modalità previste dalla normativa nazionale ed europea vigente”.

L’attuazione del Pnrr (che è il mezzo con cui, all’interno di ciascuno Stato, si realizzano gli obiettivi di Next Generation Eu) avviene secondo un cronoprogramma con millestones (traguardi) definite e il trasferimento delle risorse avviene periodicamente per tranches, a seguito di un procedimento di verifica del conseguimento da parte dello Stato dei traguardi.

Ogni indugio e ritardo delle amministrazioni pubbliche, compreso le nostre, può compromettere il rispetto del cronoprogramma stabilito, bloccando, alla scadenza prevista, l’erogazione da parte dell’Eu delle tranche di risorse stanziate.

Per cui, compromettere l’attuazione del Pnrr equivale ad impedire ai soggetti attuatori la realizzazione delle Missioni (il Pnrr prevede sette Missioni a loro volta suddivise in sedici componenti e 216 Misure) e, per quello che ci interessa, della Missione 2 relativa ad “Energia rinnovabile, idrogeno, rete e transizione energetica e mobilità sostenibile” che prevede ingenti stanziamenti finalizzati alla crescita delle rinnovabili, al potenziamento delle infrastrutture di rete e all’utilizzo dell’idrogeno che può essere generato anche da rinnovabili e, in tal caso, viene specificamente definito come “verde” per distinguerlo da quello generato da altre fonti.

Con la conseguenza che l’eventuale inerzia amministrativa da parte dei nostri enti locali viene a pregiudicare gravemente la realizzazione di interventi diretti a contribuire alla lotta (globale) ai gas serra, quali l’installazione di impianti diretti allo sfruttamento dell’energia solare, idrica, del vento, geotermica, delle biomasse (come i rifiuti organici), delle onde, delle correnti e delle maree, oppure di interventi finalizzati allo sviluppo della filiera idrogeno verde pari a €3,64 miliardi (di questi, il Governo ha già stanziato €500 milioni per la creazione di 52 Hydrogen Valley in aree industriali dismesse).

Quindi, armiamoci di santa pazienza e vediamo se le istituzioni pubbliche hanno l’intenzione seria di adottare – in tempi brevi – le misure connesse con la tutela dell’ambiente e, soprattutto, se sono in qualche modo in grado di impedire o al massimo di limitare il consumo di territorio e di paesaggio.

“Chi vivrà vedrà” (dalla canzone “Gianna” di Rino Gaetano). Speriamo bene. (gm)

Basta abbattere gli alberi a Rende: la denuncia di Giardini di Eva

Non si ferma la marea di adesioni a sostegno della denuncia fatta dai Giardini di Eva sul taglio e la potatura di alberi in pieno agosto a Rende.

Sono più di 50 le associazioni ambientaliste nazionali, regionali e locali che hanno aderito.

Spiega Nadia Gambilongo la fondatrice di Giardini di Eva: « Qualcuno dice “sono solo alberi”. Ma forse non sanno che gli alberi fanno parte di ecosistemi intelligenti che esistevano già prima della comparsa dei sapiens e che con molta probabilità li sopravviveranno. Gli alberi raccontano la nostra storia e il nostro modo di stare al mondo.

A Rende in questi giorni si sta compiendo una vera e propria strage degli innocenti, il sopralluogo effettuato da volontari esperti dei Giardini di Eva e le foto scattate dimostrano che molti degli esemplari abbattuti erano perfettamente sani.

Certo le capitozzature ripetute negli ultimi anni e la copertura maldestra con asfalto e cemento delle radici hanno indebolito alcuni esemplari, ma erano danni sanabili con interventi mirati che avrebbero consentito la messa in sicurezza.

Abbiamo chiesto ripetutamente in queste settimane all’amministrazione comunale di fare dei sopralluoghi congiunti con i volontari dei Giardini di Eva, insieme agli esperti incaricati dal comune di redigere le relazioni tecniche sullo stato vegetativo degli alberi nell’area urbana, ma non ci hanno ascoltato, hanno preferito avviare prima i tagli.

Questa scelta allontana i cittadini e la rete delle associazioni ambientaliste dal governo dei beni comuni e, ovviamente, stigmatizziamo questo comportamento, anche perché non è così che si gestisce il verde urbano in piena crisi climatica.

Gli alberi ci regalano ossigeno, ingentiliscono il paesaggio, abbassano la temperatura al suolo, in cambio chiedono il giusto rispetto e un po’ di cura che nelle aree urbanizzate si rende necessaria.

Il paesaggio rendese fortemente edificato era addolcito dalla presenza di viali alberati ad alto fusto. In passato, chi ha governato la città ha concesso molto ai costruttori, ma contemporaneamente ha messo a dimora moltissimi alberi. In questi giorni il paesaggio urbano  è stato deturpato irrimediabilmente. La rassicurazione sulla messa a dimora di nuove essenze in sostituzione di quelli abbattuti, dovrà vedere il coinvolgimento attivo delle associazioni ambientaliste nei prossimi mesi, così come la verifica e il monitoraggio nel tempo delle condizioni vegetative degli altri esemplari considerati a rischio.

Il taglio e le potature in pieno agosto dei viali alberati di Rende hanno riacceso l’attenzione e l’attivismo di tante associazioni presenti non solo nell’area urbana, ma su tutto il territorio regionale e costiero, segno di una sempre più crescente sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali che pone chi amministra il territorio di fronte ad una grande responsabilità e vocazione collaborativa che purtroppo ad oggi non si riscontra». (rcs)

IN 8 ANNI 20 MILIONI DI ALBERI IN CALABRIA
COSÌ DIVENTERÀ VERDE IL CUORE DEL SUD

di SERGIO DRAGONEMille miliardi di alberi entro il 2030 per salvare il pianeta, 20 milioni di alberi entro il 2030 per fare della Calabria il “cuore verde” del Mezzogiorno. 

Se la nostra regione avrà la capacità di sintonizzarsi sulla strategica risoluzione del G20 sull’ambiente, intercettando le risorse che lo Stato dovrà impegnarsi a reperire e rispettando i parametri abitanti/nuovi alberi, si potrà realizzare al sud il miracolo della rivoluzione verde da tanti invocata.

Facendo parlare i numeri, l’impegno raggiunto al G20 di Roma prevede la piantumazione di mille miliardi di alberi entro il 2030, con una quota parte per ogni Stato che per l’Italia dovrebbe aggirarsi intorno ai 2 miliardi di piante in otto anni.

Alla Calabria spetterebbe pertanto il compito – perfino sottostimato – di piantare dai 20 ai 30 milioni di alberi da qui al 2030. Qualcosa come almeno 2,5 milioni di alberi all’anno, più di uno per ogni abitante.

Compito non facile, ma che diventa decisivo nella visione di una regione green che punta tutte le sue chances di sviluppo sul turismo sostenibile, sull’agricoltura biologica, sulla nuova mobilità, sulla salvaguardia dei mari e dei boschi, sulle energie rinnovabili. Senza contare il fondamentale apporto per contrastare il dissesto idrogeologico e il fenomeno delle frane.

Attraverso questa gigantesca operazione – che presuppone uno straordinario piano organizzativo, forse senza precedenti – la Calabria diventerebbe protagonista della lotta ai cambiamenti climatici con una significativa riduzione di anidride carbonica nell’atmosfera.

Le condizioni per mettere in piedi questa macchina da guerra ci sono tutte. Anche al G20 ci si è chiesto dove trovare le aree necessarie per piantare questo numero impressionante di alberi, antidoto naturale alle emissioni di CO2. Ebbene, in Calabria bisogna partire dalle aree devastante negli anni dagli incendi: si pensi che solo nel periodo 2004-2016 sono stati censiti 12.400 incendi che hanno percorso una superficie totale di quasi 163.000 ettari. A queste aree occorre aggiungere quelle desertificatesi naturalmente e quelle agricole abbandonate.

L’operazione, che presuppone la formazione di una vera e propria task force, dovrebbe estendersi anche alle aree urbane, beneficiando di parte dei 330 milioni di euro contenuto nella manovra finanziaria italiana per la piantumazione di 6,6 milioni di alberi nei perimetri delle città. Si tratta di un bonus rivolto a pubblico e privato che prevede una detrazione Irpef nella misura del 36% delle spese sostenute.

Sarà capace la Calabria di raccogliere questa sfida epocale? Di certo ci sarà bisogno di una visione manageriale, di una regia unica che sia in grado di predisporre un progetto serio, indicando con precisione assoluta le aree da rimboschire, i costi e soprattutto le unità lavorative che potrebbero essere diverse centinaia. Senza dimenticare un aspetto fondamentale: la protezione e la sorveglianza delle nuove aree boschive (e di quelle esistenti) con l’utilizzazione delle più sofisticate tecnologie in grado di contrastare il fenomeno degli incendi. Ma bisogna fare presto perché il 2030 non è poi così lontano. (sg)