CAMBIAMENTI CLIMATICI, LA CALABRIA È
SEMPRE PIÙ FAGILE: SERVE PIANIFICAZIONE

di GIULIO IOVINE – Il maltempo dei giorni scorsi ha, di nuovo messo, in evidenza le difficoltà del territorio calabrese sott’acqua con fiumi di fango e detriti. Ma perché basta una forte pioggia per mettere in ginocchio intere aree di un territorio abbastanza fragile?

Infatti, basta un temporale e la Calabria va in tilt. Questo perché un evento temporalesco di tipo autorigenerante ha interessato la Calabria ionica nel fine settimana, colpendo in particolare le province di Catanzaro e Crotone con piogge abbondanti, forti raffiche di vento e fulminazioni. Le precipitazioni hanno causato processi erosivi e frane sui versanti, con trasporto di detriti verso valle e piene torrentizie.

Negli ultimi tempi, questo tipo di fenomeni sembra manifestarsi con maggiore frequenza nelle nostre zone, probabilmente a causa del cambiamento climatico in atto e produce effetti devastanti sul territorio. In presenza di zone edificate o infrastrutture, si finisce per contare i danni, quando va male, anche le vittime.

A fronte di queste situazioni, bisogna analizzare le cause e i rimedi, in modo da prevenire i danni. Innanzitutto, c’è da considerare che il territorio evolve continuamente e si modella, attraverso dinamiche del tutto naturali. In tal senso, vanno interpretati i processi di modellamento dei versanti che erodono il materiale e lo trasportano verso valle, attraverso fenomeni di dilavamento o di frana. Analogamente, le acque incanalate trasportano i detriti verso il mare, contribuendo all’equilibrio dinamico delle spiagge lungo le fasce costiere.

La presenza degli umani incide su questi processi, condizionandoli in vario modo. Per esempio, l’uso del suolo può favorire il ruscellamento (a discapito dell’infiltrazione) e quindi amplificare il deflusso, con tutte le conseguenze di una maggiore disponibilità di acqua che scorre in superficie. In altri casi, l’edificazione può esporre gli edifici (e la popolazione) a situazioni di pericolo eccessive, con conseguenti danni potenziali anche severi.

Ancora, gli stessi edifici possono non essere realizzati in maniera adeguata e quindi, non essere capaci di resistere all’impatto dei fenomeni naturali. Ciò vale in generale, per le alluvioni come per le frane, i terremoti. In una fase di cambiamento climatico, i suddetti equilibri (precari) tendono a modificarsi, e possono esserci conseguenze disastrose per le aree urbanizzate e per le infrastrutture.

Se lo si vuole spiegare in termini geologici, bisogna premettere che il territorio, anche in Calabria, è in continuo modellamento. Non è mai uguale a sé stesso, perché tende a raggiungere condizioni di equilibrio in un contesto ambientale mutevole.

Per esempio, la tettonica determina un sollevamento differenziato e, grazie al clima, favorisce l’approfondimento delle incisioni torrentizie, con generazione di energia di rilievo, processi erosivi e frane. Tutto ciò, alimenta il trasporto di detriti verso la costa, dove il mare agisce per redistribuirli. Alcuni aspetti del clima sono condizionati da eventi astronomici ciclici, di lungo periodo.

Nel complesso, tali processi si sviluppano quindi in tempi molto lunghi, ben oltre l’orizzonte di interesse che normalmente consideriamo. Non dobbiamo, però, sottovalutare il ruolo delle attività umane nell’amplificare alcuni processi naturali, come i cambiamenti climatici. La stragrande maggioranza degli esperti ritiene che la tendenza in atto sia sensibilmente influenzata dalle emissioni antropiche di gas serra. Secondo un principio di precauzione e quindi, anche in assenza di certezze assolute, sarebbe saggio assumere provvedimenti per la riduzione degli impatti anche per senso di responsabilità verso le nuove generazioni.

Carl Sagan ci ricordava che, durante la Guerra Fredda, furono infatti investiti triliardi di dollari nella corsa agli armamenti nucleari, soltanto perché si temeva (ma non si era affatto certi) che il nemico volesse attaccare. Strano che, negli stessi “ambienti culturali”, ci si ostini a rifiutare l’approccio di precauzione e si tenda a minimizzare il ruolo delle attività umane nel condizionare il clima.

Eppure, gli effetti in termini di inquinamento (e malattie correlate) e di modificazioni climatiche (e relativi effetti al suolo) sono piuttosto evidenti. Qual è il motivo di tale atteggiamento?

Di fronte a questo quadro preoccupante, è necessario che le istituzioni locali e regionali mettano in campo degli strumenti di pianificazione. Innanzitutto, è importante sottolineare che il territorio deve essere utilizzato secondo principi di precauzione, in modo da tutelare sia l’incolumità della popolazione sia i beni (zone urbanizzate, infrastrutture, aree produttive e industriali, ecc.), permettendo al contempo un sano sviluppo economico.

L’approccio semplicistico del divieto assoluto, ampiamente adottato nel secolo scorso, è ormai superato da quello legato al concetto di rischio accettabile. In altre parole, non si può pretendere di garantire condizioni di rischio nulle. Ovunque, c’è sempre un livello di rischio cui resteremo esposti, perché il territorio è soggetto a una serie di processi che si sviluppano nel tempo e possono causare danni o distruzione. Ecco perché è meglio non utilizzare alcuni termini fuorvianti, come la famosa “messa in sicurezza”, che rischiano di infondere convinzioni errate nella popolazione: come sappiamo, nulla è sicuro.

Occorre, viceversa, analizzare più in generale il territorio in termini di multirischio, ovvero di condizioni potenzialmente dannose imputabili a una serie di fenomeni (naturali o artificiali), anche indipendenti tra loro. Se, per esempio, mi allontano da un torrente, posso magari riuscire a evitare una piena, ma posso essere colpito dai massi che precipitano dalle pareti rocciose più a monte. Quindi, mentre diminuisco il rischio legato alle alluvioni, aumento quello legato alle frane. Esistono diversi strumenti di pianificazione, a varia scala, che permettono di utilizzare il territorio consentendone uno sviluppo armonico, mitigando i rischi.
A livello comunale, i Piani di Protezione Civile sono uno strumento fondamentale, e dovrebbero essere conosciuti e praticati sia dagli amministratori sia dalla popolazione. Di recente, la Protezione Civile regionale ha stanziato dei fondi per la digitalizzazione. Bisognerebbe approfittarne per modernizzare il sistema e fare divulgazione. A scala regionale, i vari “piani stralcio” previsti nell’ambito della pianificazione di bacino (ex L.183/1989) sono uno strumento prezioso e imprescindibile. Attraverso la redazione di tali piani, le zone del territorio maggiormente esposte a problematiche di franosità, alluvione ed erosione costiera possono essere riconosciute e così, in esse, è possibile adottare criteri di utilizzo del territorio compatibili con le condizioni di rischio.
Purtroppo, in Calabria questi piani sono rimasti fermi per un quarto di secolo. Gli Ordini professionali dell’area tecnica hanno ripetutamente sollecitato l’Autorità di Distretto dell’Appennino Meridionale a provvedere, con urgenza, all’aggiornamento di tali strumenti di pianificazione, consapevoli della loro fondamentale importanza per la salvaguardia di beni e persone. In alcuni documenti, trasmessi formalmente all’Autorità, ne sono state evidenziate le principali criticità, fornendo suggerimenti per la risoluzione degli annosi problemi evidenziati dai professionisti.
A novembre scorso, c’è stato un colpo di scena. Abbiamo, infatti, appreso (casualmente) che era stato approvato il Progetto di Piano per il Rischio Alluvioni (inutile sottolineare che nessuno dei Presidenti dei 22 Ordini calabresi dell’area tecnica fosse stato avvisato). L’Autorità ha, però, concesso un periodo alquanto ridotto per formulare osservazioni: entro metà gennaio bisognava completare il tutto. Festività comprese.
L’analisi di un lavoro così articolato e specialistico necessita, evidentemente, di elevate competenze e di tempo. Ciò malgrado, già a un primo esame, sono sorte varie perplessità di carattere procedurale e metodologico, nonché inerenti alle Norme di Attuazione (ovvero ai vincoli che si intendono imporre nelle zone che risultano esposte a tale problematica).
In collaborazione con gli altri Ordini della Rete delle Professioni Tecniche calabrese, sono state quindi formulate tutta una serie di richieste di dati e informazioni, per mettere tutti in condizione di comprendere a fondo e replicare lo studio effettuato dall’Autorità, e proporre eventuali modifiche. Sono state anche formulate puntuali proposte di modifica alle Norme, per non bloccare i procedimenti in atto e per gestire le situazioni di rischio secondo una visione più moderna di mitigazione. Si tratta, nel complesso, di numerose osservazioni, difficilmente risolvibili con una semplice risposta formale. Attendiamo fiduciosi di capire come intenderà procedere l’Autorità di Distretto per chiarire le perplessità avanzate e condividere gli elementi informativi necessari per un corretto utilizzo del Piano.
Purtroppo, malgrado le sollecitazioni avanzate all’Autorità nel corso degli ultimi anni, è mancato del tutto il coinvolgimento del mondo professionale e di altri “portatori di interesse” nelle fasi di impostazione e di redazione del Piano (a differenza dell’esperienza pioneristica del 2001).
Auspichiamo, in futuro, una maggiore apertura al confronto costruttivo da parte dell’Autorità, anche in vista degli aggiornamenti di altri Piani (frane ed erosione costiera), attesi ormai da troppo tempo. (gi)
[Giulio Iovine è presidente dell’Ordine dei Geologi della Calabria]

SENZA CURA LE FIUMARE DELLA CALABRIA
SERIO ALLARME RISCHIO IDROGEOLOGICO

di EMILIO ERRIGO – Il territorio montano, collinare, della pianura e costiero della Calabria è considerato vulnerabile dal pericolo alluvioni e inondazioni invernali.

Stante all’ultimo Rapporto redatto dall’Ispra, la Calabria è indicata quale Regione d’Italia a più alto rischio alluvioni, pari al 17,1 % su un area di 2604,9 Kmq, riferita a un totale di Kmq 15222.

Le repentine variazioni climatiche durante la stagione invernale e le naturali improvvise avverse condizioni meteorologiche, possono originare la caduta di piogge insistenti in grande, straordinaria ed eccezionale quantità di millimetri di acqua causando enormi difficoltà.
La preventiva messa in sicurezza degli argini, la bonifica dei greti e manutenzione periodica dei letti ghiaiosi o sabbiosi, delle centinaia di Fiumare presenti nella Regione Calabria, non sono atti amministrativi discrezionali, come se si trattasse di un optional lasciato alla libera scelta Autorità regionali e organi tecnico-amministrativi competenti.

Le tante tragedie umane e i tanti disastri ambientali, che storicamente si sono verificate e registrate in Calabria e non solo, hanno portato morti e distruzioni, nelle aree golenali e in molti Comuni litoranei e montanti, confinanti con le Fiumare che sfociano nel Mare Tirreno e nelle acque dello Jonio, delle Regioni costiere più meridionali d’Italia, avrebbero dovuto fatto comprendere a tutti politici, amministratori e cittadini, la vera natura ed entità della minaccia incombente sulle popolazioni che abitano e lavorano in quei territori calabresi.

Le più devastanti e disastrose alluvioni e inondazioni del 1951- 1953 e le successive tragedie, alluvioni, inondazioni e disastri ambientali, verificatesi in Calabria e in altre regioni d’Italia, sono date e vittime da ricordare, commemorare e non certo da dimenticare. La costante vigilanza lungo tutto il percorso naturale delle bellissime, affascinanti, percorribili, esplorabili e godibili paesaggisticamente durante le altre tre stagioni estive per la Calabria, possono rivelarsi pericolose d’inverno.

Le Fiumare notoriamente originano dalle montagne della Sila, Pollino, Aspromonte e Serre, gli Appennini Calabresi, arrivando fino al mare della Calabria, una meraviglia della natura percorrerle a piedi quando sono a secco e asciutte d’estate e pericolose a volte d’inverno. Sono tantissimi i turisti provenienti da ogni parte del mondo, che praticano il trekking nelle Fiumare della Calabria e ne sono molto entusiasti.

Le costanti ispezioni tecnico-idrauliche, la bonifica e manutenzione periodica, credo che devono essere supportate da un adeguato impegno economico-finanziario programmatico pluriennale, da inserire in ogni legge di bilancio ed eventuali successivi decreti correttivi integrativi delle necessarie risorse finanziarie.

Non sono sicuramente da considerare atti di buona amministrazione, non avere cura o assicurare le preventive manutenzioni alle Fiumare, così come al territorio tutto della Calabria.

Oggi le nuove tecnologie da impiegare, sensori, visori diurni e notturni, per il monitoraggio e osservazione aerea (droni), se ben teleguidate da persone specializzate negli Istituti Its e le immagini decodificate e decifrate da professionisti Ingegneri Idraulici, Forestali e Architetti del Paesaggio competenti, riducono molto il rischio dei continui dissesti idrogeologici e i tempi tecnici, consentendo di intervenire tempestivamente prima che sia troppo tardi, lì dove i pericoli, le necessità e urgenze, lo richiedono necessario e immediato.

La manutenzione delle Fiumare e Torrenti è importantissima, con particolare riguardo a quelle che si immettono nel Mar Tirreno, Stretto di Messina e Mare Jonio, a partire dalle Fiumare Allaro, Catona, Gallico, del Torrente Annunziata, Calopinace, Sant’Agata, Menga, Armo, Valanidi I e II, Fiumarella, quelle di San Leo, Pellaro e Amendolea.

Basti ricordare la più recente che ha coperto di acqua e fango, il Borgo della Marina di Scilla Chianalea, la piccola Venezia, le tanto disastrose alluvioni di San Gregorio di Reggio, Africo, Caulonia, Bivongi, Badolato e tante altre causarono centinaia di morti e dispersi. Solo nell’abitato della frazione di San Gregorio oltre 14 morti, decine di dispersi, tantissimi feriti gravi con invalidità permanenti e distruzioni di case.

Peraltro ho rischiato seriamente di non essere ne concepito e nato nel 1957, perché nell’alluvione del 1953, che interessò l’abitato di San Gregorio, mio padre, mia madre, mio fratello maggiore Ettore di soli 10 anni, mia sorella Santina di 8, Antonino di 4 e Domenico di appena 1 anno, rischiarono di essere tutti travolti dalle acque impetuose come un fiume in piena esondate dalla Fiumara del Valanidi.

La loro salvezza fu grazie a un grosso tronco di vite di uva bianca, piantata davanti casa nostra quale pergola, per riparare dal sole la piccola antistante veranda, che giungeva fin quasi al tetto della loro casa fatto di tegole tradizionali, che consentì a mio padre e mia madre di riuscire con inenarrabili momenti di terrore di mettere in salvo prima tutti i 4 figli e poi in ultimo loro oramai sfiniti ma tutti felicemente salvi sul tetto della propria casa, allora situata sulla Via SS 106, proprio davanti la Chiesa di San Gregorio di Reggio Calabria.

Intervenire come si dice, “prima di subito”, a favore delle tante Fiumare della Calabria, non solo si deve ritenere un atto amministrativo necessario e urgente, ma consentirà di contenere l’impiego di ingentissime risorse umane e finanziarie, al verificarsi delle prevedibili future reiterate alluvioni, inondazioni, evitando, prevedendo e prevenendo, ogni rischio di disastri con evitabili perdite di altre vite umane in Calabria. (ee)

[Emilio Errigo è nato a Reggio Calabria, Docente universitario di Diritto Internazionale e del Mare, e di Management delle Attività Portuali, Consigliere Giuridico nelle Forze Armate] 

(La fotografia di copertina è di Carmine Verduci)