Bevacqua (PD): Inaccettabile e vergognoso scontro Lega-Cei

Il capogruppo Pd in Consiglio regionale, Mimmo Bevacqua, ha definito «vergognoso e inaccettabile» l’attacco della Lega alla Cei sul tema dei migranti.

«Basandosi soltanto su articoli apparsi a mezzo stampa – ha aggiunto – il commissario regionale della Lega Sasso e la senatrice Minasi si sono lasciati andare a speculazioni contro la Chiesa, invitando a utilizzare l’otto per mille per l’accoglienza, come se lo stesso fosse destinato a chissà quali altri fini. Non solo. Provocatoriamente i leghisti si sono spinti a chiedere il numero dei migranti che il Vaticano sarebbe disposto a prendere in carica».

«Pare evidente – ha proseguito – che la Lega abbia perso completamente la bussola e il senso della misura. L’attacco violento nei confronti della Chiesa appare del tutto gratuito e figlio del nervosismo indotto dalla posizione assunta dalla Cei sull’autonomia differenziata con la quale il Carroccio vuole spaccare il Paese. Nonché dalle parole di Monsignor Savino, vescovo della Diocesi di Cassano allo Jonio. Invitiamo la Lega ad abbassare i toni e a moderare la deriva populista e di estrema destra assunta nell’ultimo periodo avaro di consensi alle urne».

«Esprimiamo, al contempo – ha concluso – piena vicinanza alla Cei ringraziandola dell’opera meritoria svolta quotidianamente al fianco dei più deboli e a sostegno dell’unità del Paese e dei diritti del Sud. Come Pd proseguiremo senza sosta a sostegno delle battaglie per la giustizia e l’equità». (rcz)

La riforma dell’Autonomia è diventato un terreno minato

di P.P.P.La riforma dell’autonomia è diventato un terreno minato: materia di scontro tra maggioranza e opposizione, fonte di divisioni tra gli alleati di governo, attaccata dalle Regioni del Sud, contestata dalla Cei. E partendo da qui, forse non è un caso che all’indomani dell’affondo del vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana Francesco Savino, la Lega vada all’attacco dei vescovi. «Sparano a zero contro l’autonomia, approvata in Parlamento e riconosciuta in Costituzione. Con tutto il rispetto, non sono assolutamente d’accordo», punta il dito Matteo Salvini. Ispirando il sarcasmo di Enrico Borghi, capogruppo di Italia Viva al Senato: «È singolare che il segretario della Lega sia passato dall’ostensione plateale del rosario ad una rincorsa al modello religioso russo, dove la religione è instrumentum regni».

Se il leader leghista fronteggia la conferenza dei vescovi italiani con chiarezza in precedenza i parlamentari leghisti avevano iniziato a bombardare la Cei sul fronte dei migranti. I vescovi invitano all’accoglienza? «Dovrebbero essere chiari con i fedeli e dire loro quanti migranti intendono ospitare in Vaticano», «intendono utilizzare così i soldi dell’8×1000?». E ancora: si rilancia «la notizia» secondo cui «alcune missioni delle Ong, vicine ad ambienti dei centri sociali, sarebbero state finanziate anche con risorse provenienti dalle offerte dei fedeli», circostanza che «pone degli interrogativi sull’atteggiamento della Cei».

Autonomia, il retroscena: Occhiuto ha chiesto una moratoria a Meloni

Un retroscena dell’Ansa riscrive anche la cronaca dell’incontro di mercoledì mattina tra il presidente della Calabria Roberto Occhiuto e la premier Giorgia Meloni. Se le veline arrivate da fonti di Palazzo Chigi parlavano di un faccia a faccia su temi regionali, secondo altre fonti citate dall’agenzia Occhiuto – che da tempo guida il fronte degli scettici sull’applicazione del ddl Calderoli – avrebbe chiesto una moratoria: evitare intese con le Regioni, anche su materie non Lep, fino a quando non sarà superata la spesa storica. E la risposta di Meloni sarebbe suonata più o meno così: l’autonomia è un tema nazionale, mi assumo io la responsabilità di verificare passo dopo passo, non ci saranno fughe in avanti.

Esattamente la richiesta di Forza Italia, che dopo il via libera al provvedimento in Parlamento, si è assestata sulla linea di una maggiore prudenza: probabilmente anche per il pressing interno del fronte del Sud che ha perorato la linea della cautela per non perdere voti nel Meridione.

Tajani: «Vogliamo che la riforma sia fatta bene»

In linea con questa lettura anche l’intervento del vicepremier, ministro degli Esteri e leader di Forza Italia Antonio Tajani: «Non voteremo il referendum della sinistra sull’Autonomia differenziata», ha detto a “Zona bianca”. «Non abbiamo messo dei paletti sull’Autonomia differenziata – ha spiegato ancora Tajani –, noi abbiamo detto che è giusto andare avanti perché l’abbiamo approvata, ma vogliamo che l’applicazione della riforma sia preceduta da una fotografia della situazione, i Lep, quindi avere un’analisi per capire come attuare nel modo migliore l’Autonomia differenziata. Lo facciamo perché non vogliamo discrepanze tra i cittadini del Nord e quelli del Sud. Non voteremo, né raccoglieremo firme per il referendum proposto dalla sinistra, però vogliamo che la riforma sia fatta bene. Non capisco perché la sinistra raccolga le firme visto che questa riforma è stata inserita nella Costituzione proprio da loro e la regione Emilia-Romagna esultava quando venne approvata questa riforma». (ppp)

[Courtesy LaCNews24]

AUTONOMIA, L’ATTUAZIONE NON È VICINA
IL NODO PER TROVARE LE RISORSE PER I LEP

di ERCOLE INCALZA – La Legge sull’Autonomia differenziata delle Regioni penso sia una “Legge bandiera”, cioè uno strumento voluto da uno schieramento politico come la Lega, uno schieramento che da sempre ha inseguito un preciso obiettivo: dare ruolo e funzione alla identità regionale. Un obiettivo che, oltre ad essere divisivo, genera, automaticamente linee strategiche completamente diverse da quelle che gli schieramenti politici storici del nostro Paese avevano sostenuto sin dall’inizio nel varo della Carta costituzionale.

Ma io non voglio e non posso cimentarmi su un argomento, quello strettamente legato alla nostra Costituzione, perché non sono affatto preparato e non riuscirei, in alcun modo, a vagliare le positività e le negatività del provvedimento. Voglio invece affidarmi alle dichiarazioni di due esponenti di due schieramenti politici diversi: uno di Fratelli d’Italia nella persona dell’Onorevole Tommaso Foti, capogruppo alla Camera dei Deputati e l’altro del Patito Democratico nella persona di Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia Romagna.

L’onorevole Foti alla domanda di un giornalista se ci sono le risorse per dare attuazione ai Livelli Essenziali delle Prestazioni (Lep) ha risposto: «Se non ci sono le risorse non si faranno le intese. C’è una Commissione presieduta da Sabino Cassese che ha due anni di tempo per definire i Lep. La Legge introduce un vincolo che prima non c’era: sulle materie che prevedono i Lep, se non ci saranno le risorse, non si faranno le intese».

Il Presidente Bonaccini invece ha fatto presente: «In molte materie si pensa addirittura di procedere senza alcun criterio perequativo e senza aver stabilito i Lep. Noi puntavamo sulla efficienza dei servizi, qui invece ci si prepara a dividere i destini delle aree del Paese, come se l’Italia non fosse già profondamente divisa. Prima di procedere avevamo chiesto che fossero stabiliti e garantiti i Lep in tutto il territorio nazionale e che fosse assicurato il coinvolgimento del Parlamento».

Dopo queste due dichiarazioni nasce spontanea una domanda: quali sono le distanze attuali nella offerta delle prestazioni essenziali? La risposta è immediata: per quanto concerne la offerta di servizi socio – assistenziali si passa da 22 euro pro capite in Calabria ai 540 euro nella Provincia di Bolzano inoltre la spesa sociale del Sud è di 58 euro pro capite, mentre la media nazionale è di 124 euro e questo tragico indicatore ne genera automaticamente un altro: il Pil pro capite nelle otto Regioni del Mezzogiorno non supera la soglia dei 22 mila euro e addirittura in alcune, sempre delle otto Regioni, si attesta su un valore di 17 mila euro; al Nord si parte da una soglia di 36 mila euro per arrivare addirittura a 40 mila euro.

Non metto in dubbio la buona volontà nel traguardare un obiettivo così strategico e determinante per la crescita e lo sviluppo del Sud e di vaste aree del Paese non solo meridionali, mi preoccupa però che la copertura per traguardare un simile obiettivo non sia possibile trovarla in un arco temporale limitato e, soprattutto a mio avviso, non è solo un problema legato alla copertura finanziaria ma anche procedurale e gestionale. Faccio solo un esempio quello relativo al trasporto pubblico locale; ebbene in questo comparto lo Stato annualmente assicura una disponibilità di 5 – 6 miliardi di euro per il ripiano dei disavanzi delle società preposte alla gestione della mobilità; una cifra già limitata ma che se si volesse rendere comparabile la offerta del Mezzogiorno ed in questo caso anche del Centro del Paese con quella del Nord occorrerebbe, per almeno dodici anni, assicurare annualmente non 5 – 6 miliardi di euro ma 13 miliardi di euro. Non mi dilungo su altri comparti come la “sanità” o “la scuola”. In realtà non si tratta di assegnare per un arco temporale limitato un determinato volano di risorse ma immettere nelle prossime leggi di stabilità delle assegnazioni obbligate per un arco temporale non identificabile. Cioè significa stravolgere il nostro bilancio pubblico ordinario.

Il Governo e la Presidente Meloni sanno bene questo e penso utilizzeranno il “fattore tempo” per smorzare gli effetti di una norma, ripeto, utile solo come effetto mediatico. (ei)

L’OPINIONE / Sergio Dragone: Nella guerra sull’autonomia, chi si schiererà Roberto Occhiuto?

di SERGIO DRAGONEE ora che è scoppiata la guerra tra i Governatori sull’autonomia, con chi si schiererà Roberto Occhiuto? La domanda sorge spontanea dopo le ultime mosse compiute dalle Regioni per contrastare (o sostenere, a seconda dei punti di vista) la legge Calderoli che trasferisce all’autonomia regionale importanti materie finora concorrenti con lo Stato. 

E mentre Sardegna, Toscana e Puglia, nelle ultime ore hanno formalizzato il ricorso alla Corte Costituzionale per ottenere la cancellazione, totale o parziale, della legge, il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha annunciato che presenterà un controricorso. Si profilo dunque anche un conflitto molto acuto tra le Regioni.

Ho molto apprezzato, per la sua fierezza, il discorso della presidente della Sardegna, Alessandra Todde, che pure avrebbe potuto infischiarsene vista la “specialità” della sua Regione.

Riporto testualmente un passaggio della sua dichiarazione: «Sono orgogliosa che la Sardegna sia capofila in questa battaglia, in difesa di chi ha di meno e contro la volontà di questo governo di aumentare una disparità inaccettabile tra i territori. La Sardegna non può tollerare una legge che favorisce le Regioni più ricche, a discapito dell’equità e della solidarietà nazionale oltre che delle prerogative costituzionali che ci sono state riconosciute attraverso il nostro Statuto. Stiamo lottando per garantire che ogni sardo e ogni cittadino italiano siano trattati con la stessa dignità e avere le stesse opportunità, ed è nostro dovere opporci a scelte politiche che indeboliscono il nostro Paese, vorrebbero silenziare le Regioni più povere e metterci gli uni contro gli altri».

Un manifesto dell’unità nazionale, quello di Todde, che è difficile non condividere. E l’appartenenza politica della presidente sarda non c’entra nulla con l’alto valore, oserei dire “patriottico”, di un richiamo forte a tutti gli italiani.

Diventa ora interessante comprendere l’atteggiamento che vorrà assumere il Governatore calabrese che sembra sospeso tra la fedeltà al centrodestra e le forti preoccupazioni per gli effetti che potrà avere sulla martoriata Calabria una legge che è destinata ad aprire forti disparità soprattutto in materia di sanità e istruzione. Alle dichiarazioni pubbliche, molto critiche verso la Calderoli, non sono seguiti atti concreti in sede istituzionale. Anzi, abbiamo assistito ad una melina che tende a rinviare più che possibile ogni decisione, in attesa degli eventi e degli sviluppi.

Occhiuto capisce bene che se il referendum si terrà (e sarà difficile per la Consulta dire no ad un milione di firme) ci sarà uno tsunami in Calabria e dunque la sua leadership ne uscirebbe molto indebolita. Non vorremmo essere nei suoi panni. Anche perché un atteggiamento “neutrale” gli procurerebbe l’ostilità di entrambi gli schieramenti in campo e le sue pubbliche perplessità sulla legge apparirebbero solo posizioni strumentali. Si capirebbe di più una posizione favorevole all’autonomia che una tattica attendista. Si dice, giustamente, che se pretendi di piacere a tutti (o meglio non scontentare nessuno), finirai per non piacere a nessuno. E qui c’è in gioco non una semplice partita politica, ma il futuro di una terra che – se dovesse andare in porto questa legge iniqua – rischia la desertificazione entro un decennio. (sd)

REFERENDUM, SUPERATE LE 500MILA FIRME
PUR CON ALCUNE CRITICITÀ AI BANCHETTI

di ERNESTO MANCINI – Si sta svolgendo in tutta Italia la raccolta delle firme per chiedere il referendum totalmente abrogativo della legge Calderoli, detta anche legge “sull’autonomia differenziata” oppure, in modo più significativo, legge “spacca Italia”. La raccolta è cominciata il 20 luglio scorso e terminerà con la consegna delle firme il 30 settembre prossimo.

I Comitati No AD (No a qualsiasi autonomia differenziata), i partiti promotori, i sindacati rappresentativi (Cgil, Uil) ed altre formazioni sociali (tra cui Anpi, Arci, Wwf, Libertà e Giustizia, Actionaid, Democrazia Costituzionale, ecc.) stanno facendo un ottimo lavoro sulle piazze. Peraltro, alla raccolta cartacea si è affiancata la raccolta elettronica da remoto attraverso lo strumento informatico dello “spid” che consente la firma on line con grande effetto sul risultato complessivo della richiesta referendaria.

Nonostante sia lontana la scadenza, proprio oggi si è raggiunto, con le sole richieste spid, l’obbiettivo delle 500mila firme come certifica il sito informatico realizzato ad hoc. A queste vanno aggiunte alcune centinaia di migliaia (dato ancora non conosciuto nel dettaglio) delle firme già acquisite ai “banchetti” sui moduli cartacei. È già certo, perciò, che il quorum verrà ampiamente superato ma i promotori ritengono politicamente importante che venga superato doppiando il quorum (un milione di firme).

Accade tuttavia che al momento della certificazione della raccolta dei moduli cartacei, gli ufficiali elettorali di molti comuni si limitano a certificare solo i moduli delle firme dei residenti accedendo alle liste elettorali della propria anagrafe comunale. Per i non residenti, anziché accertare direttamente ed in tempo reale il requisito attraverso l’Anpr (sistema web anagrafe nazionale popolazione residente), gli ufficiali elettorali ritengono di poter certificare solo le firme presentate insieme al certificato cartaceo di iscrizione alle liste elettorali di ciascun cittadino. Pertanto, ai comitati referendari viene richiesto di procurarsi via pec dai singoli comuni di provenienza dei non residenti, il certificato elettorale del cittadino interessato per poi presentarlo, attraverso ulteriore autenticazione, al Comune nel quale il cittadino non residente ha firmato.

Va detto che la situazione è molto variegata in tutta Italia perché alcuni comuni pretendono tale certificazione cartacea (per esempio: Roma), altri (per esempio: Genova, Voghera) non la richiedono e certificano i moduli ottenendo lo stesso dato in tempo reale accedendo all’Anpr ed avendo così la certezza giuridica che il firmatario è in possesso del diritto elettorale e quindi del diritto di firmare la richiesta di referendum.

La prassi dei comuni renitenti ad utilizzare essi stessi l’Anpr per certificare i non residenti è illegittima oltre che vessatoria per i comitati e dannosa per il risultato della campagna referendaria. Essa va respinta per i seguenti motivi.

1) Violazione di legge per mancato utilizzo dell’Anpr (anagrafe nazionale della popolazione residente)

L’Anpr è stata istituita con l’art. 2 del decreto-legge 179/2012 attraverso la rete digitale delle anagrafi comunali di tutta Italia. Tra le diverse funzioni l’Anpr consente agli Ufficiali Elettorali di ottenere in tempo reale dati rilevanti per i cittadini “non residenti”. Ciò ai fini dell’esercizio dei loro diritti politici, come quello in questione, di richiedere un referendum pur trovandosi per lavoro, per studio, per turismo o per altra causa in città diversa da quella di residenza. Trattasi di mobilità diffusissima in Italia, ancor di più in questo periodo di ferie estive.

Il mancato utilizzo di tale anagrafe per i non residenti da parte dei funzionari impedisce la validazione della richiesta e, di conseguenza, la certificazione dell’avvenuta volontà referendaria. Con l’ulteriore illegittima conseguenza dell’esclusione di tali cittadini dal conteggio dei richiedenti il referendum, la violazione del loro diritto politico di cittadino-elettore e la non meno grave conseguenza, politicamente significativa, di un numero complessivo minore, anche per centinaia di migliaia, di cittadini non residenti che hanno sottoscritto il modulo per il referendum abrogativo.

2) Violazione dell’art. 1 comma 2 e 2 bis della legge 241/90 che pone il divieto alla Pubblica Amministrazione di aggravare il procedimento amministrativo a carico dei cittadini

La violazione di questa norma consiste nel richiedere ai gruppi referendari ulteriori adempimenti rispetto a quelli effettivamente previsti a loro carico nei moduli di raccolta firme (numero documento di identificazione, generalità e residenza). Inoltre, pretendere che questi gruppi spediscano migliaia e migliaia di pec e ne attendano le risposte (che potrebbero non arrivare od arrivare tardivamente) è una palese violazione del principio per cui le amministrazioni non possono aggravare gli adempimenti del cittadino per questioni cui esse stesse possono agevolmente farvi fronte. Violato, per lo stesso motivo, è anche l’art. 2-bis della legge 241/90 secondo cui l’Amministrazione deve improntare i rapporti col cittadino a princìpi di collaborazione e buona fede.

3) Violazione della normativa sulla documentazione amministrativa (art. 43 Dpr 445/2000)

L’art. 43 del Dpr.28/12/2000, n. 445 (Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa), stabilisce che la Pubblica amministrazione non può richiedere atti o certificati riguardanti stati, qualità personali e fatti i cui contenuti siano già in suo possesso, ma deve acquisirli d’ufficio.

L’acquisizione ed il possesso, in questo caso, derivano dall’accesso al sistema anagrafico digitale che, come si è detto, è stato realizzato proprio per avere in qualsiasi momento e da qualsiasi comune la disponibilità dei dati.

Tutto ciò, a tacer d’altro, comporta la violazione del principio di derivazione europea del c.d. “once only” perché ogni Amministrazione, una volta per tutte, mette a disposizione delle altre attraverso il sistema digitale i dati costantemente aggiornati di propria competenza. Ed è proprio la disponibilità dei dati che consente di utilizzarli ai fini del controllo dello status di elettore del cittadino firmatario. Il non utilizzarli comporta la violazione dell’art. 43 d.p.r. 445/2000 qui evidenziato.

4) Eccesso di potere per irrazionalità ed illogicità manifesta, violazione dell’art. 97 della Costituzione per contrasto col principio di buon andamento degli uffici della Pubblica Amministrazione

Ma, a guardar bene, le Amministrazioni, appesantendo le incombenze dei promotori referendari per i non residenti, appesantiscono anche se stesse perché ogni Comune, a seconda delle dimensioni, dovrà rispondere a centinaia o migliaia di pec impegnando così non poco i propri uffici ed i relativi protocolli con maggiore spendita di tempo per la redazione e l’inutile scambio di corrispondenza visto che lo status di elettore è già acquisibile on line con assoluta certezza.

Insomma, un meccanismo perverso che rende più gravoso il compito sia per i comitati referendari che per la pubblica amministrazione. Siamo pertanto nel pieno della fattispecie di irrazionalità ed illogicità manifesta espressione dell’eccesso di potere quale vizio di illegittimità dell’agire amministrativo pubblico (art. 21 octies legge 241/90).

5) Violazione dell’art. 97 della Costituzione suol buon andamento della pubblica amministrazione

Non meno evidente, per i motivi anzidetti, è la violazione dell’art. 97 della Costituzione che impone il “buon andamento” della Pubblica Amministrazione inteso come canone di rapidità, efficacia, semplificazione dell’attività amministrativa. Tale attività è invece gravata da adempimenti inutili a carico dei gruppi referendari costituitisi dappertutto nel territorio nazionale.

6) Raccolta Cartacea e Spid (Sistema pubblico di identità digitale)

Ma all’ affermazione di illegittimità per irrazionalità ed illogicità manifeste si giunge anche per altra via. Se, infatti, si può firmare la richiesta di referendum attraverso lo Spid senza l’onere di dimostrare il proprio elettorato attivo perché è già insito nel sistema di controllo informatico, non si vede perché analoga modalità non possa attuarsi col sistema della certificazione utilizzando la medesima base-dati dell’ANPR a cura dei funzionari comunali delegati a controllare e certificare i moduli.

7) Violazione per errata interpretazione ed applicazione della normativa sui certificati elettorali

Se è pur vero che la normativa prevede il sistema delle pec con allegata certificazione, è anche vero che il progressivo subentro dei Comuni nell’ANPR consente di applicare tale sistema solo per quei comuni (invero ormai minoritari) che ancora non hanno l’accesso all’Anagrafe digitale mentre per tutti gli altri l’obbligo è implicito proprio grazie a tale accesso. Ne è ulteriore riprova il fatto che nel corso del 2022 è stato emanato il Decreto Ministeriale 17.10.22 che stabilisce le modalità di integrazione proprio delle liste elettorali dell’Anpr e che all’allegato 2 punto 4 stabilisce che il comune può rilasciare i certificati ai cittadini a prescindere dal comune di residenza dell’elettore, “ai fini di garantire e agevolare l’esercizio dell’elettorato attivo e dell’elettorato passivo costituzionalmente tutelati”.

Insomma, si tratta di una risorsa, quella dell’Anpr, creata per le finalità anzidette e che invece rimane inutilizzata nonostante gli sforzi notevoli dello Stato e dei Comuni per costruirla nel duplice interesse dell’Amministrazione (il cui lavoro viene semplificato e velocizzato) e degli stessi comitati dei cittadini referendari chiamati invece ad adempimenti inutili e, per come si è detto, vessatori.

8) Violazione dei princìpi del Codice di Amministrazione digitale

Vengono anche violati i princìpi del codice dell’Amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 07/03/2005 n.82 e successive modificazioni e integrazioni. Tra questi basta citare l’art. 2 secondo cui la Pubblica Amministrazione “si organizza ed agisce per garantire agli utenti (ma anche a se stessa – ndr) la fruibilità delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, oppure l’art.3 sul diritto all’uso delle tecnologie nei rapporti con la Pubblica Amministrazione cui corrisponde il dovere di questa di agire in modo da garantire tale diritto.

9) Maggiori carichi di lavoro e minore efficienza

Nessun pregio hanno le tesi di alcuni Comuni secondo cui aumenta il carico di lavoro dei propri uffici elettorali; intanto perché altri Comuni dovranno certificare dati che il Comune richiedente ha già in rete e, reciprocamente, questo dovrà verificare i dati di quelli (!!!) . Inoltre, perché sarebbe espressione di buona organizzazione rafforzare, se proprio ce n’è bisogno, attraverso comandi interni del tutto provvisori (due mesi) il personale da dedicare a questa importante funzione di democrazia senza sacrificarla in nome di non più ammissibili prassi.

10) Omissione dei doveri d’Ufficio da parte del Ministro dell’Interno

È molto grave che il Ministero dell’Interno, in una situazione nella quale si riscontra diversità di comportamento tra i comuni sulla medesima fattispecie, non sia intervenuto con apposita circolare esplicativa ai fini di un indirizzo uniforme e legittimo. Il risultato è la violazione diffusa di tutti princìpi di diritto sopra richiamati e la lesione del diritto al referendum con conseguenze sulla quota complessiva da raggiungere per il prosieguo del procedimento; quota che nel minimo (500 mila firme) non sarà compromessa, ma nel massimo certamente sì.

Conclusioni

Violare i princìpi di diritto pubblico come quelli sopra esposti in materia di referendum è un grave vulnus per la democrazia. Scaricare sui comitati promotori da parte di molti Comuni oneri che sono propri è illegittimo ed influisce assai negativamente sul risultato complessivo. Non consola il fatto che il quorum è stato già raggiunto e sarà comunque superato ampiamente: uno Stato di diritto non può permettersi questi assurdi comportamenti da parte degli organi pubblici che ad esso fanno capo. (em)

L’AMPIA SOTTOSCRIZIONE AL SUD CONTRO
AUTONOMIA È IL SEGNO DEL CAMBIAMENTO

di PIETRO MASSIMO BUSETTAInvece che il Ponte sullo stretto di Messina vogliamo l’acqua. In questo agosto con un solleone che rende difficile anche la respirazione, mentre la temperatura anche di notte non scende al di sotto dei 26° e le piogge diventano un miraggio, i luoghi comuni imperversano sui social. 

E visto che la carenza idrica ormai è diventata drammatica, non c’è miglior slogan che lanciare un nuovo luogo comune e contrapporre l’esigenza idrica alla madre di tutte le infrastrutture. 

Il tema è sempre lo stesso invece che… Di volta in volta cambia il secondo soggetto. Invece che il ponte, l’acqua; invece che il ponte, la sanità; invece che il ponte, le opere di difesa ambientale; invece che il ponte le fognature. Potrei continuare con una sfilza infinita di invece che. 

Sembra che i meridionali si siano convinti di non avere gli stessi diritti degli altri italiani. Che invece avrebbero diritto a recuperare le realtà alluvionate dell’Emilia-Romagna, ma contemporaneamente anche a completare il percorso della Tav per collegare Torino a Lione. Devono poter contare sull’aiuto del Governo Centrale in caso di calamità naturali, ma contemporaneamente non rinunciare alle tante opere che si stanno portando avanti, né tantomeno a organizzare eventi sportivi come le Olimpiadi invernali di Milano- Cortina, che costano alla fiscalità generale importi certamente non piccoli di risorse. 

Tale approccio è frutto di una atavica condizione di subalternità, prima nei confronti dei Baroni e della Chiesa, poi nei confronti di uno Stato che era stato visto come nemico ed invasore, e infine di una politica che fa passare il soddisfacimento dei diritti come l’elargizione di favori. 

Per cui non si hanno diritti da soddisfare contemporaneamente ma elargizioni che vanno richieste con una certa gradualità per evitare che il padrone possa infastidirsi. In fin dei conti è la stessa logica che prevede che si dibatta in modo serio sui Lep, Livelli Essenziali delle Prestazioni, senza manifestare indignazione per uno Stato che prevede che in alcune parti possano esserci non livelli uniformi rispetto a quelli esistenti in altre parti del Paese, ma solo quelli essenziali. 

È la logica che sottende tutta la legge sulla Autonomia Differenziata, che Roberto Calderoli dichiara essere a favore del Sud, perché finalmente si è messo per iscritto che in alcuni settori anche il Mezzogiorno ha diritto ad avere i livelli essenziali, cioè minimi. 

È un’affermazione grave perché vuol dire che fino adesso nemmeno quelli si sono avuti. Ci si potrebbe chiedere dove è stato lo Stato Centrale che ha permesso che ci fossero due realtà, così distanti tra di loro, in uno stesso Paese. Dove sono state le Istituzioni di garanzia. Dove i Partiti nazionali, dove i Sindacati e perfino la Chiesa. 

Altro che “Questione Settentrionale” strombazzata ai quattro venti da  opinionisti spesso al libro paga di interessi precisi. Questa è la realtà con la quale dobbiamo confrontarci, certamente non con i tecnicismi e i finti dati reali che il Ministro per gli Affari Regionali, nella sua campagna d’autunno anticipata ad agosto, vuole, con gli Uffici e i Centri Studi al suo servizio, diffondere perché continui la vulgata di un Sud che ha avuto risorse infinite che sono state sprecate, che ha avuto una classe dirigente inesistente, cosa in parte vera, ma funzionale agli interessi di un Nord bulimico. 

Tale incapacità di difendere i propri interessi e i propri elettori si è vista anche nelle votazioni per l’Autonomia Differenziata, per cui moltissimi rappresentanti meridionali al Parlamento, pur di non perdere la possibilità di continuare a fare politica, si sono sparati ai piedi. 

In fin dei conti bisogna accreditare la vulgata che il Sud deve soltanto  guardare a se stesso se è nelle condizioni per cui 100.000 persone ogni anno devono scappare via per avere un progetto di futuro, con un costo per le casse regionali di riferimento di oltre 20 miliardi annui. Che deve guardare alla sua incapacità se nelle case di alcuni Comuni del Sud l’acqua arriva soltanto una volta alla settimana e si è costretti ad avere sui tetti i recipienti di accumulo, per poter fruire di un servizio minimale per ogni Paese appena sviluppato. 

Che deve fare “mea culpa” se per risolvere un problema di sanità importante deve trasferirsi, spesso con la famiglia, e spendere decine di migliaia di euri per poter avere la speranza di essere curato adeguatamente. D’altra parte se a qualcuno instilli la convinzione che la colpa della sua condizione sta solo nella sua incapacità, è evidente che non avendo un nemico da attaccare si rifugerà nell’inazione, nella frustrazione e spesso nel desiderio di passare dalla parte vincente.

Per cui è normale che la maggior parte dei tifosi delle società calcistiche settentrionali siano nelle aree meridionali e che spesso anche nei paesi più sperduti vi sia un Club Juventus o Milan. O che dopo pochi mesi di residenza a Milano, vi siano interlocuzioni nel linguaggio assolutamente estranei rispetto alle origini dei soggetti. Atteggiamento tipico dei colonizzati che tentano in tutti i modi di non farsi riconoscere cadendo poi nel grottesco. 

C’era un Dipartimento per le Politiche di Coesione, istituito da Carlo Azeglio Ciampi, che calcolava in un modo neutro il pro capite in ciascuna parte del Paese e che ha rilevato che vi era una differenza tra il Sud e il Nord, in costanza di spesa pro-capite uguale, come peraltro prevede la nostra Costituzione, di 60 miliardi annui. Troppo neutra la posizione per farlo continuare a lavorare. È infatti è stato chiuso. Meglio avere i dati dalla Cgia di Mestre o dall’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani di Carlo Cottarelli

Perché la base della vulgata deve essere quella raccontata prima: molti soldi dati, incapacità di gestirli, responsabilità degli stessi meridionali. 

Ma la sottoscrizione ampia per un referendum che prevede l’abolizione dell’Autonomia Differenziata, l’orgoglio che viene dalla città di Napoli, che malgrado sia stata massacrata nell’immagine per anni, riesce ad esprimere un’identità mai cancellata, ci fa capire che la musica è cambiata. Ed è questo che rende alcune forze territoriali del Nord, come la Lega, estremamente nervose e pronte ad attaccare, sperando che quella testa che si vuole sollevare dalla sabbia ritorni nel suo alveo naturale. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

L’OPINIONE / Pierpaolo Bombardieri: Autonomia aggrava le diseguaglianze

di PIERPAOLO BOMBARDIERI – L’autonomia differenziata allarga la forbice delle disuguaglianze, non fa bene al Paese. Mette a rischio il diritto fondamentale a un sistema sanitario gratuito e universale; compromette la qualità dell’istruzione e danneggia la valenza dei contratti nazionali facendo spazio a sindacati gialli e organizzazioni datoriali non rappresentative.

Come se non bastasse, in una delicata fase di transizione energetica e digitale globale, si delegano scelte strategiche nazionali alle Regioni, che non possono avere gli strumenti adeguati per decidere.

È ovvio che non potevamo restare in silenzio. I nostri iscritti e le nostre iscritte non ci avrebbero mai perdonato per non aver fatto questa battaglia. Vogliamo un’Italia libera, unita e giusta, perciò diciamo no all’autonomia differenziata! (pb)
[Pierpaolo Bombardieri è segretario nazionale Uil]

Il Consiglio regionale non discute dell’autonomia: Troppe assenze

di CLAUDIO LABATE – «C’è bisogno di assumere una posizione. Come è stato fatto in Basilicata. Il tempo del dibattito è maturo». Così il capogruppo del Partito democratico Domenico Bevacqua ad inizio seduta del Consiglio regionale, ha chiesto di inserire la proposta di provvedimento amministrativo sul referendum abrogativo della legge Calderoli sull’autonomia differenziata. Il presidente Filippo Mancuso che era stato anche uno dei più duri durante i lavori della Prima Commissione, ha ricordato al capogruppo l’iter ordinario assegnato alla proposta e che quindi dopo il voto in Commissione arriverà di certo in aula.

Consiglio regionale, rinviata l’istituzione di ReDigit

Tocca invece a Luciana De Francesco chiedere il rinvio della proposta di legge – «c’è qualche assenza tra i colleghi di maggioranza interessati al provvedimento», ha detto – che prevedeva l’istituzione del Sistema Informativo Integrato Regionale della Calabria e costituzione della società “ReDigit S.p.A., che doveva soddisfare, nel quadro degli accordi tra le forze politiche di maggioranza, gli appetiti di Fratelli d’Italia. In effetti per l’approvazione alla nascita del nuovo Ente serve il voto favorevole dei 2/3 dell’aula, cosa che ha suggerito il rinvio, anche se dopo – a ritiro avvenuto – l’opposizione si è detta disponibile a votare favorevolmente così come avvenuto in Commissione. «Lo potevano dire prima – ha chiosato il presidente Mancuso – invece così dimostrano la strumentalità della loro decisione».

E tuttavia, i dem provano ad affondare il dito nella piaga, ancora con Bevacqua, secondo cui l’assenza di alcuni consiglieri di maggioranza «testimonia la difficoltà per l’approvazione del provvedimento. Chiedo a Pietropaolo di aprire anche con noi una discussione che può essere un buon punto di partenza, perché innovare la macchina burocratica della Regione è importante e fondamentale. Arriviamo ad una proposta condivisa» è l’invito dai banchi delle minoranze.

Ok al Rendiconto di Calabria Verde

Poi in rapida successione Antonio Montuoro illustra le pratiche di bilancio che ha impegnato l’aula nell’approvazione del Rendiconto 2022 e del Previsionale 2024/2026 di Azienda Calabria Verde.

Dai banchi delle opposizioni sono i dem Mammoliti e Bevacqua a dirsi contrari alla politica portata avanti dal governo regionale nell’ambito boschivo, lamentando una scarsa programmazione anche da parte dell’assessorato sul piano delle assunzioni. E proprio Gianluca Gallo difende l’operato della giunta Occhiuto, sottolineando che «approvare il Bilancio di previsione 2024/2026 significa tornare alla normalità, perché c’erano da ripianare circa 40 milioni di debiti certificati. Ogni anno è stato difficile far fronte agli impegni assunti nei confronti degli operai idraulico forestali». Gallo dà quindi merito ad Occhiuto che da parlamentare accelerò l’arrivo delle risorse per la forestazione per gli anni dal 2021 al 2023, sottolineando poi che l’assunzione di nuovi operai sarebbe possibile solo successivamente al pensionamento del personale in servizio. I provvedimenti passano con l’astensione annunciata da Mammoliti.

Occhiuto: «La Regione torna alla normalità»

Parere positivo anche sul Rendiconto generale dell’esercizio finanziario 2023, dopo il giudizio di parifica della Corte dei conti, il cui risultato di amministrazione dell’esercizio finanziario 2023 è pari a € 2.076.595.459,82. Per Mammoliti però non c’è da stare allegri rispetto alle conclusioni del giudizio di parifica, dove sono contenuti capitoli significativi con considerazioni che possono avere delle ricadute sul futuro della Regione, come l’autonomia differenziata o ancora una volta la sanità.

Montuoro da parte sua prova a ridimensionare le critiche affermando la necessità di «prendere atto delle criticità e migliorare le nostre performance di governo. Non ci accontentiamo, ma sono orgoglioso del lavoro che si sta portando avanti».

A mettere l’accento sull’anticipazione, rispetto al passato, del giudizio di parifica, che arriva comunque nei tempi stabilisti, è direttamente il presidente Occhiuto secondo cui questi, «segnali che vanno in direzione di una Regione che vuole tornare alla normalità». D’altra parte, è il ragionamento del presidente, se le segnalazioni della Corte vengono recepite a fine anno si vanifica l’effetto delle stesse, ma se avvengono nei tempi prestabiliti si può fare fronte ed intervenire.

«Queste ombre che permangono e che ci sono da decenni, negli ultimi anni stanno lasciando il posto a qualche luce nuova. Poi, l’effetto sui dati macroeconomici delle politiche di sviluppo non si traducono automaticamente in un aumento del Pil. Anzi in molti settori quello che si produce oggi si vedrà fra cinque o dieci anni».

«C’è ancora molto da fare nella sanità, come nella macchina amministrativa regionale – ha aggiunto Occhiuto – ci sono dirigenti e funzionari brillanti e altri dirigenti e funzionari che non tengono il passo. Pure nella valutazione dei dirigenti voglio imprimere un cambio di passo per cui ho chiesto ad un magistrato della Corte dei Conti (Lorelli) di fare il presidente del nostro organo di valutazione». (cl)

[Courtesy LaCNews24]

Scalese (Cgil Area Vasta): Raggiunte le 500mila firme, ma continueremo con i banchetti

Il segretario generale della Cgil Area Vasta Catanzaro-Crotone-Vibo, Enzo Scalese, a nome anche del Coordinamento referendario, ha evidenziato come «sono bastati solo undici giorni per centrare l’obiettivo formale delle 500 mila firme in calce al quesito che chiede l’abrogazione netta e totale della Legge Calderoli che istituisce l’Autonomia differenzia, la “Spacca Italia”».

«Questo risultato dimostra l’attenzione e la preoccupazione delle cittadine e dei cittadini rispetto a quella che è una battaglia chiaramente condivisa – ha aggiunto –. E noi, comunque, non ci fermeremo: continueremo ad allestire banchetti e raccogliere firme in tutto il territorio».

«Continueremo a raccogliere sottoscrizioni fino all’ultimo giorno utile, non solo sulla piattaforma digitale, ma soprattutto ai banchetti, organizzati da Cgil, Uil e altre 32 organizzazioni che compongono il Comitato promotore, tra questi Arci, Anpi, Legambiente, Wwf, Acli, Libera – ha detto ancora Scalese –. Per noi la priorità è parlare con le persone: informare, coinvolgere, spiegare».

Il Coordinamento referendario ha comunicato, inoltre, che le firme possono essere apposte anche al Comune di Vibo Valentia, in aggiunta alle altre sedi di Enti locali dove è disponibile il modulo per firmare.

Martedì 6 agosto

  • Lungomare di Soverato Europa (prolungamento via Zumpano): dalle 19.00 alle 23.00.

Mercoledì 7 agosto

  • Corso Umberto I, adiacente mercato – Mileto, dalle 9 alle 12

Sabato 10 agosto

  • Mercato Comunale di Chiaravalle Centrale: dalle ore 9.00.

Martedì 13 agosto 2024

  • Lungomare di Soverato Europa (prolungamento via Zumpano): dalle 19.00 alle 23.00. (rcz)

 

 

AMICI DEL NORD, LA BATTAGLIA CONTRO
L’AUTONOMIA È DA COMBATTERE INSIEME

di MIMMO NUNNARICarissime amiche e carissimi amici del Nord dobbiamo fermarci prima del precipizio che abbiamo davanti, non solo chi vive al Sud ed è “meridionale con difficoltà”, come diceva Sciascia con riferimento alla Sicilia, perché il Sud è notoriamente terra di contrasti e contraddizioni e il popolo è un popolo che soffre, perché dominato da secoli, lasciato ai margini della comunità nazionale per colpe che non conosce, e patisce insieme all’assedio mafioso soffocante di un deficit civile di proporzioni altissime, conseguenza principalmente del vivere senza gli stessi diritti e opportunità dei connazionali dei territori del Nord.

Il precipizio nel quale rischiamo di cadere tutti, per una serie di ragioni interne: scarsa competitività, corruzione, invecchiamento della popolazione, inefficace politica di rilancio economico, ma anche esterne – declino globale, allontanamento dall’etica e dalla morale che da anni permea la società occidentale – riguarda anche voi, che che state al Nord, e in teoria avreste meno problemi dei meridionali, almeno materiali.

La vostra situazione è la situazione non buona dell’Italia degli ultimi decenni nascosta come la polvere sotto il tappeto, che nel 1992, in un saggio che ho avuto l’onore di scrivere insieme al cardinale Carlo Maria Martini e all’arcivescovo Giuseppe Agostino [“Nord Sud l’Italia da riconciliare” edizioni Paoline], l’allora arcivescovo di Milano impietosamente così: «Siamo di fronte ad una società percorsa da forze dissolutrici, gravemente intaccata da corruzione e illegalità, sovente incapace di trovare le vie di una vera convivenza civile; e il pericolo è di credere che tutto sia così, che tutto sia marciume, che non ci sia più alcuna forza positiva, che manchino le persone oneste e capaci». 

È un ritratto, quello fatto da Martini trent’anni fa, purtroppo ancora attuale. Abbiamo tutti perciò un problema, al Nord e al Sud, ma voi al Nord ne avete uno in particolare, che vi deve far riflettere, e riguarda la qualità della classe politica settentrionale ormai da molti anni pessima.  Spesso il Sud vi serve come alibi per non parlare della vostra classe politica impresentabile, specchio della vostra indifferenza, non certo della vostra cultura e intelligenza. Di quella del Sud sappiamo: è suddita, nel senso che pensa che i diritti debbano arrivare per elemosina, è portatrice insana di consensi elettorali, per convenienza personale, un incarico, una prebenda. 

Ma che sia scarsa la classe politica del Nord è qualcosa davvero difficile da spiegare non solo all’Italia ma anche all’Europa. Perché se il Nord che ha le migliori Università, una ricerca eccellente, una buona sanità, un’impresa che vola in alto,  un diffuso benessere, esprime una classe dirigente mediocre, scarsa, qualche problema c’è. E quando parliamo di mediocrità non parliamo dell’aurea mediocritas, che per i latini aveva una connotazione positiva, significava stare in una posizione intermedia tra l’ottimo e il pessimo, tra il massimo e il minimo, ed esaltava il rifiuto di ogni eccesso, ma parliamo di quella poco lucente mediocritas simbolo di ignoranza, di vuoto a perdere, che invade ogni sfera della vita sociale.

Prendo in prestito la battuta di un caro e illuminato amico del Nord (ne ho tantissimi) che a proposito di cultura costituzionale mi dice sconsolato: «Siamo passati da Calamandrei a Calderoli». Calamandrei, giurista, scrittore e uomo politico ha lasciato pensieri profondi: «La libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare». Frase che pronunciò nel suo celebre discorso sulla Costituzione agli studenti di Milano del 26 gennaio 1955. Di Calderoli, chirurgo maxillofacciale, triumviro della prima Lega e più volte ministro, la frase che probabilmente sarà tramandata ai posteri sarà: «La legge elettorale? L’ho scritta io, ma è una porcata». Outing, fatto da Enrico Mentana durante la trasmissione Matrix, che poi Calderoli spiegò meglio: «…Una porcata, fatta volutamente per mettere in difficoltà destra e sinistra, che devono fare i conti col popolo che vota».

Qualche domanda lassù al Nord dovreste farvela, per capire in che mani siete finiti. Potreste rileggere per fare un esame di coscienza un testo teatrale di Marco Giacosa, dedicato ai fratelli Terroni che votano: «Vent’anni fa ci furono i gazebo per l’indipendenza della macro-regione del Nord, si dibatteva se un marchigiano era un terrone e andava fatto affondare nei debiti della sanità, o salvato nella gloriosa Padania…. Secondo me, terroni, dovreste vergognarvi a votare Salvini. Almeno quanto noi del Nord, certo… Ma voi, terroni, Salvini proprio no. Comunque, contenti voi». Si parlava in quel testo breve di teatro a nuora (Sud) perché suocera (Nord) intendesse.

Ecco, siamo ancora fermi lì, ad arrovellarsi su quanto bisogna vergognarsi al Sud a votare Salvini, ma anche a ragionare su come abbia fatto il Nord a sperperare il patrimonio di cultura, competenza e dignità, ereditato dai giganti della politica che hanno operato nel dopoguerra. Pensiamo, per fare un solo esempio, non alle prime file, ai grandi leader, ma al lavoro intelligente di quanti hanno pensato, scritto e attuato programmi sociali ed economici per la nuova Italia nata dalla Resistenza, come gli economisti valtellinesi Ezio Vanoni, Pasquale Saraceno, Sergio  Paronetto, Tulio Bagiotti, Bruzio Manzocchi;  alcuni dei quali – come Saraceno – concepivano il problema dell’unificazione economica dell’Italia anzitutto come una questione etico-politica. Saraceno, pensava che l’obiettivo del superamento del divario tra il Nord e il Mezzogiorno chiamava in causa responsabilità dello Stato, e che il permanere del divario poteva alla lunga riflettersi negativamente sulla stessa unità nazionale, con conseguenze che potevano risultare esiziali anche dal punto di vista politico e degli equilibri sociali.

Il suo era un pensiero profetico. Come il Nord abbia potuto dimenticare quelle pagine gloriose per arrivare alle rappresentazioni di oggi bisognerebbe studiarlo, interrogarsi su come sia potuto accadere. Cari amici del Nord la battaglia contro l’Autonomia differenziata bisogna dunque combatterla assieme. La sfasatura del dualismo Settentrione Meridione, pesa, in maniera preoccupante, e dietro l’angolo c’è il caos, cioè il disordine, il disorientamento. L’Autonomia è una via di fuga dalle responsabilità, irresponsabile e pericolosa. Le guerre civili sono nate a volte per cause imponderabili. La soluzione è la riconciliazione del Paese, non una spaccatura ulteriore.

È l’unica strada percorribile la riconciliazione in questa fase di fragilità della storia italiana. E Il primo banco di prova per quest’Italia debole e smarrita è il “No” all’Autonomia voluta dal Governo Meloni che definire antipatriottico e antiunitario è il minimo. (mnu)