LA CALABRIA SE L’AUTONOMIA SARÀ LEGGE
DA “CENERENTOLA” A “BADANTE DEL PAESE”

di GREGORIO CORIGLIANO – Davvero non cambia nulla per il Sud e per il Paese con il ddl Calderoli sull’autonomia differenziata?

E allora perché si fa, verrebbe da chiedersi. La verità, a stare attenti e a leggere le carte con sufficiente attenzione, è che non cambia solo per il Sud, ma per tutto il Paese. Come è stata concepita, la riforma consentirà di fatto la nascita di 20 repubbliche autonome con evidenti regole differenti. Come dire che si tornerà allo Stato preunitario fatto di staterelli, uno diverso dall’altro.

E quel che altrettanto conta è che ci saranno leggi e regolamenti diversi per ogni regione, che potrebbe pure non chiamarsi Regione, a questo punto, ma Repubblica autonoma della Calabria, per esempio. Con Sigla ReACal, tanto per dire. Per differenziarla dalla Re.A.Pi. E le amministrazioni locali ne soffriranno anche loro le conseguenze o gli effetti perversi, perché i sistemi amministrativi saranno profondamente differenti. E gli imprenditori che devono investire in Calabria o in Lombardia?

Ognuno avrà a che fare con legislazioni diverse. Ed i medici, anche loro. Gli stipendi saranno uguali in tutto il Paese, come dice la Meloni, in tutta la nazione?

Certo che no. Ed a quel punto, se già lo è oggi, figurarsi quando il ddl sarà legge.

Ci sarà pure una Regione, o uno staterello, che paga di più o no? Certo, ed allora medici e paramedici scapperanno là! E i docenti, la stessa cosa. Ognuno andrà dove si guadagna di più, se per andare da uno Stato all’altro non ci vorrà il passaporto. Calderoli mette le mani da dentista avanti e dice che ci saranno i Lep. Se questi saranno come i Lea, staremo freschi. Già scappano oggi per il Nord, se non per l’estero, come pure sta avvenendo. E quindi i cittadini non saremo tutti uguali, o no?

Come sarebbe possibile garantire a tutti i meridionali il tempo pieno a scuola, come succede per ogni famiglia settentrionale, senza i finanziamenti adeguati.

E questi vanno avanti, con leggerezza e col sorriso sulle labbra, tanto chi vivrà, appunto, vedrà. Perché si dice che si tratta di autonomia differenziata. Forse perché saranno “valorizzate” le differenze ambientali, storiche e culturali delle regioni? E se la Calabria, come scriviamo tutti i giorni, è la cenerentola del Paese, col ddl sarà addirittura la badante del Paese. Al Nord, infatti, è concentrata la produzione industriale vera e propria dell’Italia, e con la differenziata, avrà maggiori benefici! O no? E la meraviglia è che parlamentari del Sud, e politici meridionali, hanno votato a favore. Come si fa? A me pare, come dice il Laboratorio civico, un abominio. E le voci di quanti dicono “niet” a Calderoli sembrano “vox clamans” nel deserto di un Pese che sta vivendo, una mutazione che più radicale non si può. Un sussulto di coscienza dei politici calabresi e meridionali viene auspicato, ma ad oggi, il segno di vita è assai flebile.

Daranno un segno? Forse, quando, probabilmente sarà troppo tardi.

Come per la Zes, la zona economica speciale la cui riforma, a parere di uno che se ne intende, come il presidente della Puglia Emiliano, porterebbe ad una riedizione della Cassa per il Mezzogiorno. E perché l‘ex presidente della Corte costituzionale De Siervo parla di riforma precaria ed impugnabile in modo agevole? Perdono tutti i cittadini italiani con il ddl Calderoli: Certo, dice De Siervo, si rischia un periodo di insicurezza e di tensioni tra Regioni più forti e regioni più deboli.

Ecco perché gli oppositori parlano di decreto Spacca Italia, con un Nord potente ed un Sud misero ancor di più. Eppure c’è stato un periodo in cui si parlava di abolizione delle Regioni o di rivisitazione delle stesse, a distanza di mezzo secolo dalla loro istituzione ed invece adesso non solo non si cambiano in maniera più efficiente con l’esperienza acquisita, ma addirittura si peggiorano.

Ecco perché, se dovesse passare definitivamente, come passerà, non resta, detto adesso, che impugnare di fronte ai Barbera ed alla Consulta, perché viene violato l’attuale assetto unitario ed a perdere non sarà solo Calderoli, al quale non credo interessi molto, ma tutti gli italiani.

E Poi, piangere il morto, come diceva l’antico detto, sempre attuale, saranno lacrime perse.

E l’incorreggibile Kociss sarà sempre vivo e vegeto ma non tornerà più a occuparsi molari e premolari! (gc)

Autonomia differenziata, Bevacqua (Pd): «E’ la secessione dei ricchi, dobbiamo fermarla»

«L’autonomia differenziata è la secessione dei ricchi, faremo di tutto per bloccarla». È quanto ha detto Mimmo Bevacqua, consigliere regionale del Pd, in una intervista rilasciata a the Globalist.

«Stiamo per entrare nella fase cruciale per l’approvazione del Ddl Calderoli sull’autonomia differenziata. Ora finalmente capiremo quale è anche la vera posizione del presidente della giunta regionale calabrese Roberto Occhiuto – dice il capogruppo del Pd in consiglio regionale – Dopo la sua ennesima dichiarazione rilasciata durante un’iniziativa di Forza Italia di qualche giorno fa a Napoli abbiamo appreso che si è accorto (meglio tardi che mai) dell’inaffidabilità del ministro Calderoli. Si è accorto anche, pure qui meglio tardi che mai, che l’autonomia differenziata è frutto esclusivo di egoismo socioeconomico, opera solo per tutelare gli interessi della Padania. Il ministro leghista ha sempre lavorato per la divisione socioeconomica del Paese. Solo oggi Occhiuto scopre che verrà prima approvata l’autonomia differenziata e poi, ma senza fretta e non è detto che accadrà, si discuterà dei Lep e del fondo perequativo a garanzia delle Regioni economicamente più deboli, come la Calabria».

Sempre riferendosi ad Occhiuto, Bevacqua dice che «Ci verrebbe da chiedergli come ha fatto solo ora a scoprire chi è Calderoli e di cosa si occupa la Lega. Come ha fatto a fidarsi di loro. E soprattutto ci verrebbe da chiedergli perché in Conferenza delle Regioni ha votato per l’autonomia differenziata a scatola chiusa, confidando nella lealtà politica della Lega… Siamo pronti ad abbonargli tutto. In politica e quando in mezzo c’è solo l’interesse dei cittadini si deve essere concreti e realisti. Basterebbe ora difendere gli interessi del Sud e della Calabria e non quelli della coalizione di governo nazionale. Chiediamo tanto? Il presidente di tutti i calabresi dovrebbe farlo… Senza più ipocrisie adesso è necessario unire tutte le forze politiche della Calabria per fermare la scellerata riforma che metterebbe in discussione diritti fondamentali dei cittadini, finendo con lo spaccare in due definitivamente il Paese».

Continua Bevacqua spiegando che «Ridurre più povero il già povero perimetro del Paese sembra una esagerazione? Il pericolo è in tutti i settori a partire, manco a dirlo, dalla sanità. Le conseguenze per i calabresi sarebbero devastanti. I dati forniti dall’ultimo report della Fondazione Gimbe in ordine alla migrazione sanitaria per l’anno 2021 destano profondo allarme in tal senso. Secondo l’analisi di Gimbe la mobilità sanitaria interregionale in Italia nel 2021 ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi, cifra nettamente superiore a quella del 2020 (3,33 miliardi), con saldi assai variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Il saldo è la differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione” dei pazienti dalla Regione di residenza. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, regioni capofila dell’autonomia differenziata, raccolgono il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. Lo capisce anche un bambino che la partita è falsata. Si sa già chi vince… Una situazione drammatica che certifica la sperequazione esistente tra il Nord e il Sud del Paese e che l’autonomia differenziata finirà con l’aumentare ancora. Altro elemento che contribuisce ad aumentare la preoccupazione è il rischio per cittadini meridionali di vedere calpestato il proprio diritto alla salute. Lo stesso Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, ha definito al limite del grottesco la posizione dei presidenti delle Regioni meridionali governate dal centrodestraestra, favorevoli all’autonomia differenziata. Una posizione autolesionistica che dimostra come gli accordi di coalizione partitica prevalgano sugli interessi della popolazione».

«Non si può perdere ulteriore tempo – conclude Bevacqua nella sua intervista – e serve avviare una battaglia nazionale per bloccare il progetto di secessione dei ricchi avviato dalla Lega. In tal senso, anche come gruppo del Pd, supporteremo con iniziative pubbliche l’azione di contrasto che oggi sarà avviata dai senatori dem e dal segretario regionale Nicola Irto». (rrc)

IL TERMINE È AUTONOMIA DIFFERENZIATA
MA SIGNIFICA “SECESSIONE DEI PIÙ RICCHI”

di DAMIANO SILIPO – È molto probabile che tra pochi mesi l’autonomia differenziata di Calderoli diventi realtà, dando la possibilità alle tre regioni che nel 2017 hanno già sottoscritto le pre-intese con il governo (Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna)  di attuare subito la secessione. Perché si scrive autonomia differenziata e si legge secessione dei ricchi. Infatti, il DDL Calderoli prevede che le regioni possono chiedere l’autonomia in 23 materie fondamentali per la vita dei cittadini (dalla sanità alla scuola e università, da infrastrutture e trasporti a energia e ambiente, etc.).

Lombardia e Veneto hanno chiesto l’autonomia in tutte le 23 materie, l’Emilia Romagna in 15 delle 23.
Unitamente al trasferimento delle funzioni, vengono trasferite alle regioni le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, necessarie per attuare l’autonomia nelle materie richieste.
In particolare, il DDL Calderoli prevede che le regioni possono trattenere gran parte delle tasse, che oggi vengono trasferite allo stato centrale, anche oltre quelle necessarie per finanziare le funzioni aggiuntive richieste.
Se si pensa che le sole tre regioni che hanno chiesto l’autonomia differenziata hanno un reddito complessivo di più di 700 miliardi all’anno (più del 40% del reddito complessivo dell’Italia), l’autonomia differenziata non è il riconoscimento formale della macro-regione Padania sognata da Bossi e co. ma certamente corrisponde alla secessione dei redditi delle regioni più ricche del Nord.
Tra l’altro, queste regioni disporranno di enormi risorse aggiuntive e saranno in grado di pagare, ad esempio, stipendi più alti ad insegnanti e personale sanitario rispetto alle altre regioni, anche per far fronte alla già forte carenza di medici ed altro personale sanitario. La secessione dei ricchi sarà quindi un impulso potente per medici, paramedici, insegnanti, ecc. della Calabria e delle altre regioni meridionali a trasferirsi nelle regioni più ricche, con il duplice effetto di affossare ancora di più il sistema sanitario calabrese e rendere impossibile la realizzazione dei livelli essenziali di assistenza, anche qualora venissero realizzati i nuovi ospedali. Senza contare che l’ulteriore depauperamento del capitale umano avrà effetti drammatici sulla qualità dell’istruzione e sulle prospettive di sviluppo della regione. Pertanto, la tesi degli autonomisti che trattenere nei propri territori una parte cospicua del “residuo fiscale” induce le regioni meno produttive a “darsi una mossa” è ipocrita, perché induce i cittadini di queste regioni a darsi una mossa a raggiungere le regioni più ricche, che offrirebbero salari più alti.
Come fa il Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto a non rendersi conto di questi effetti, o a svendere le sorti di una regione per puro tornaconto personale o di partito?

È merito della Segretaria Elly Schlein aver attestato, senza se e senza ma, il Partito Democratico contro l’autonomia differenziata. Una posizione chiara e coraggiosa, tenendo conto che anche nel PD ci sono simpatie e spinte autonomiste. Il passo successivo è come contrastare questo disegno eversivo di Calderoli e del governo Meloni, e quale assetto istituzionale alternativo proporre per l’Italia.

Molti degli emendamenti proposti dai gruppi parlamentari del PD suggeriscono di ridurre a poche e non strategiche le materie su cui concedere l’autonomia.

Seppur importante, ritengo che il punto centrale non sia il numero di materie ma la realizzazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) su tutto il territorio nazionale, come pre-requisito per l’attuazione di qualunque forma di autonomia differenziata.

Nel DDL Calderoli la definizione dei LEP costituisce un puro requisito formale per la concessione dell’autonomia differenziata in alcune materie e non è contemplata alcuna realizzazione. Se già oggi la Calabria non rispetta i livelli essenziali di assistenza (LEA) in tutte le aree (prevenzione, distrettuale e ospedaliera), come si può pensare che quando il meccanismo della secessione si metterà in moto e genererà gli effetti appena descritti,  i LEP (che comporteranno una spesa ancora maggiore rispetto ai LEA) verranno mai realizzati nelle regioni meno ricche? 

Si potrebbe obiettare che vincolare la concessione dell’autonomia differenziata alla realizzazione dei LEP su tutto il territorio nazionale sarebbe come rinviare sine die l’attuazione di qualche forma di autonomia alle regioni. Come ha stabilito un tempo entro cui definire i LEP, il Governo Meloni potrebbe anche assegnare alle regioni le risorse sulla base dei fabbisogni standard e un termine entro cui attuare i LEP, con tappe intermedie per la loro realizzazione, che se non rispettate dovrebbero prevedere la decadenza dei Presidenti di Regione e poteri sostitutivi del governo.

Questo sì che darebbe luogo al più importante processo di attuazione della Costituzione Repubblicana e renderebbe l’Italia un paese migliore, perché ridurrebbe le diseguaglianze e aiuterebbe la crescita.

Viceversa, la secessione non solo allontanerà definitivamente la Calabria e il Mezzogiorno dal resto del Paese, ma farà più piccola l’Italia, perché quanto volete che conti in Europa e nel mondo anche un Presidente eletto dal popolo, quando il potere economico e politico appartiene a poche regioni ricche? (dsi)

AUTONOMIA DIFFERENZIATA: VERRÀ MENO
IL PRINCIPIO DI SOLIDARIETÀ NAZIONALE

di FILIPPO VELTRI –  Attualmente esiste in media un divario di almeno mille euro pro capite per abitante tra Mezzogiorno e Centro-Nord nella spesa pubblica». Così i dati dell’Agenzia per la Coesione fotografano il differenziale di spesa per il finanziamento dei servizi tra le due diverse aree del Paese.

Questa fonte smentisce la vulgata del Sud inondato di risorse ma conferma, invece, il contrario. E questi dati si riflettono in una minore spesa sia in conto capitale per investimenti che in spesa corrente. Si tratta di un divario di spesa in comparti essenziali: dall’istruzione alla sanità, ai trasporti pubblici e alla spesa sociale. Quindi, il divario Nord-Sud in termini di servizi che tutti i cittadini vivono quotidianamente è dovuto, in parte, anche a sacche di inefficienza ma prevalentemente anche al fatto che al Sud dal momento che alcuni servizi non esistono, semplicemente non esistono neppure le risorse per erogarli. È il meccanismo della spesa storica: dove non ci sono servizi non c’è neanche la spesa ed è questo che ha comportato il grande divario.

Il disegno di legge sull’autonomia differenziata è stato approvato in Consiglio dei ministri con ulteriori integrazioni rispetto alle prime bozze. Adesso si conferma la necessità di definire i Lep prima di procedere al trasferimento delle competenze dallo Stato alle Regioni. Ma questo sarà un sufficiente strumento di garanzia? Questo rappresenterebbe una reale garanzia se alla definizione dei Lep facesse seguito anche un adeguato finanziamento. Si tratta di una differenza sostanziale dal momento che la norma Calderoli ci dice che è sufficiente definire i Lep ma proprio alla luce del differenziale di servizio non basta stabilirli ma bisogna anche garantire le risorse per il loro finanziamento. Ciò vuol dire risorse aggiuntive prevalentemente per il sud, ma non solo, per erogare il servizio dove attualmente non c’è. In realtà, il problema viene aggirato e difatti rischiamo di avere una applicazione dell’autonomia anche in materie oggetto dei Lep senza che i Lep vengano finanziati.

Cosa potrebbe infatti avvenire nel caso in cui competenze come la sanità o la scuola venissero regionalizzate? Sono molti i rischi. In primo luogo, si rischia una frammentazione del Paese, una frammentazione delle politiche pubbliche ma c’è poi un tema di unità nazionale. Quando si impatta su materie quali l’istruzione che sono parte del nostro sentimento di unità nazionale si rischia di avere anche programmi diversi a livello territoriale. Addirittura nella proposta del Veneto si prevedeva che il personale della scuola fosse trasferito nei ruoli della Regione. Si capisce bene che questo impatterebbe sia sulla mobilità sia sugli stipendi. Uno stesso insegnante in Veneto può guadagnare di più che in Calabria o in Campania facendo lo stesso lavoro. Oltre a ciò si indebolisce il principio di solidarietà nazionale perché con il trasferimento si bloccano le risorse e così avremo tre regioni il cui principale obiettivo è ridurre il loro contributo di solidarietà.

Restiamo in ambito scuola con un esempio. Nel nostro Paese ci sono due bambini, nati lo stesso anno. Una si chiama Carla e vive a Firenze, l’altro Fabio e vive a Napoli. Hanno entrambi dieci anni e frequentano la quinta elementare in una scuola della loro città. Ma mentre la bambina toscana, secondo i dati Svimez, ha avuto garantita dallo stato 1226 ore di formazione; il bambino cresciuto a Napoli non ha avuto a disposizione la stessa offerta educativa, perché nel Mezzogiorno mancano infrastrutture e tempo pieno. Secondo la Svimez, infatti, un bambino di Napoli, o che vive nel Mezzogiorno, frequenta la scuola primaria per una media annua di 200 ore in meno rispetto al suo coetaneo che cresce nel centro-nord che coincide di fatto con un anno di scuola persa per il bambino del sud.

Poi ci sono i freddi numeri: secondo i dati Svimez, nel Mezzogiorno, circa 650 mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano 200 mila (87%), in Sicilia 184 mila (88%), in Puglia 100 mila (65%), in Calabria 60 mila (80%). Nel Centro-Nord, gli studenti senza mensa sono 700 mila, il 46% del totale.

Ancora: per effetto delle carenze infrastrutturali, solo il 18% degli alunni del Mezzogiorno accede al tempo pieno a scuola, rispetto al 48% del Centro-Nord. La Basilicata (48%) è l’unica regione del Sud con valori prossimi a quelli del Nord. Bassi i valori di Umbria (28%) e Marche (30%), molto bassi quelli di Molise (8%) e Sicilia (10%). Gli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequentano mediamente 4 ore di scuola in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord. La differenza tra le ultime due regioni (Molise e Sicilia) e le prime due (Lazio e Toscana) è, su base annua, di circa 200 ore.

Circa 550 mila allievi delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano inoltre scuole dotate di una palestra. Solo la Puglia presenta una buona dotazione di palestre, mentre registrano un netto ritardo la Campania (170 mila allievi privi del servizio, 73% del totale), la Sicilia (170 mila, 81%), la Calabria (65 mila, 83%).

Nel Centro-Nord, gli allievi della primaria senza palestra, invece, raggiungono il 54%. Analogamente, il 57% degli alunni meridionali della scuola secondaria di secondo grado non ha accesso a una palestra; la stessa percentuale che si registra nella scuola secondaria di primo grado.

Parole e ulteriori commenti a questo punto non servono. (fv)

AUTONOMIA E REGIONALISMO, CI SI CHIEDE:
DOVE SONO I SOLDI PER FINANZIARE I LEP?

di SANTO BIONDO – Cosa si farà del residuo fiscale è il “non detto” di una riforma che la politica per scarsa conoscenza, oppure per convenienza, non vede o fa finta di non vedere. È, infatti, dietro queste due parole che si nasconde la trappola del disegno di legge Calderoli.

È sulla partita economica che, nell’indifferenza di buona parte del ceto politico nazionale e locale, si giocherà il destino di una norma di bandiera che rischia di spaccare il Paese definitivamente in due, di allargare quei divari di cittadinanza già insopportabili allo stato dei fatti.

Tutto il ragionamento sull’autonomia differenziata ruota attorno a due domande a cui questo documento sfugge e lo fa in malafede, sottintendendo l’imbarazzo del ministro che mente sul tema del regionalismo differenziato sapendo di mentire, consapevole di doverlo fare per appartenenza partitica, per dare una risposta partitica ad un tema che, da troppo tempo, la sua parte politica tenta di imporre alla Nazione.

Al ministro Calderoli, però, noi quelle domande le vogliamo rivolgere. Intanto, vorremmo sapere: come si finanziano i Lep delle Regioni che scelgono l’autonomia differenziata ma anche i Lep delle regioni che non fanno richiesta o di quelle che pur facendo richiesta non hanno un entrata fiscale diretta e sufficiente a sostenere economicamente i Livelli essenziali delle prestazioni.

E, poi, nel rispetto dell’articolo 119 della Costituzione, che è l’unico limite all’attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione, vorremmo sapere come, con la riforma in esame, si realizzala solidarietà nazionale nel rispetto dell’articolo 119.

Non può bastarci, infatti, il riferimento del tutto generico che si fa allo Stato, al quale sarebbe demandato il compito di trovare le risorse da mettere per il finanziamento dei Lep, senza specificare dove sono queste risorse ma, soprattutto, senza chiarire con completezza come sia possibile finanziarie completamente territori, i cui divari nei diritti civili e sociali sono profondi, attraverso le risorse dello Stato se lo stesso Stato sarò costretto a sostenere e sostentare le regioni che faranno richiesta di autonomia differenziata.

Peraltro, il testo ed il suo estensore non chiarisce come lo Stato darà risposte sul tema della solidarietà nazionale, fra gli articoli del disegno di legge non si riscontra nessuna indicazione su come si realizza questa solidarietà nazionale, caricandola in maniera generica allo Stato, mentre siamo convinti che sia necessario individuare chi ha di più e chi ha di meno, con i primi che saranno chiamati a sostenere la crescita dei territori più in difficoltà.

Ed è proprio qui che il ministro mente sapendo di dover mentire, nascondendo questo tema cruciale al dibattito e sfruttando la distrazione del ceto politico affannato in una campagna elettorale senza fine, perché le risposte a queste due domande si trovano fra gli articoli della legge 42/09, quella sul federalismo fiscale, che dice subito che i Lep si finanziano attraverso la partecipazione a pezzi di fiscalità di chi fa richiesta e dice anche come si finanziano anche i territori che non hanno capacità fiscali adeguate, stabilendo l’utilizzo del fondo perequativo.

Le risposte alle nostre domande sono insite nel primo articolo della legge 42/09. Per questo siamo convinti che, prima di parlare di autonomia differenziata nei termini pretestuosi imposti dal ministro, sia di fondamentale importanza correggere e dare attuazione alla 42/09 che è la legge che contiene i criteri per dare attuazione al regionalismo differenziato per come è disegnato dalla Costituzione.

Invece, non si vuole mettere sul tavolo il tema del residuo fiscale, tanto caro ad alcuni presidenti di regione del nord Italia, e della sua regolazione attraverso il fondo perequativo. Mentre si spinge sul pedale del gas per ottenere una riforma che, mette ai margini i territori, e chiama il Governo e le regioni ad una trattativa diretta sulle decisioni di attuare sul residuo fiscale.

Il tema, invece, in un Paese che già corre a due velocità è fra chi ha di più e chi ha di meno e stabilire come si possa realizzare il disegno di una nazione solidale. Per questo la materia del residuo fiscale deve entrare nella discussione, perché è questo lo strumento che dovrà contribuire a finanziarie, attraverso altre risorse dello Stato, il fondo perequativo.

Insieme al capitolo residuo fiscale, poi, vanno definiti fabbisogno e costi standard, al fine di determinare quanto serve a ogni regione per poter finanziarie i propri Lep. Se non si fa questa operazione, il divario si amplierà perché regioni che hanno le potenzialità di attrarre investimenti privati andranno ad ampliare le proprie entrate fiscali e, quindi, anche i propri fabbisogni e i propri servizi, e avranno la possibilità, per esempio, di aprire nuovi asili nido o di migliorare ancora di più le proprie politiche sociali ed occupazionali.

Questo a discapito di quelle regioni che, come la Calabria, che sono svantaggiate per una questione di contesto e non riusciranno ad attrarre investimenti privati o addirittura perderanno investimenti e dunque perderanno capacità fiscale e, quindi, avranno meno servizi, non potranno far crescere gli interventi per migliorare il sistema scolastico o quello sanitario, e finiranno per vedere sempre più allargarsi il proprio divario rispetto al resto del Paese.

Sarebbe inaccettabile, infatti, che queste risorse non vengano socializzate con lo Stato e indirizzate a colmare i gap esistenti fra le due parti del Paese, nella convinzione che i territori più forti, in grado di attrarre investimenti produttivi, avranno sempre più risorse a disposizione per migliorare i propri servizi, mentre le regioni più deboli – con carenze strutturali e ritardi atavici – rischieranno di rimanere sempre più ai margini. (sb)

(Santo Biondo è il segretario generale di Uil Calabria)