DENATALITÀ, LA CALABRIA SEMPRE PRIMA
MENO NASCITE E CRESCE L’EMIGRAZIONE

di FRANCESCO AIELLO – I dati pubblicati dall’ISTAT sugli Indicatori Demografici del 2023 forniscono nuovi ed interessanti elementi di valutazione sulla dinamica della popolazione italiana che nel corso del 2023 ha abbattuto la soglia psicologica dei 59 milioni di residenti. Infatti, l’ISTAT stima che all’1 gennaio 2024 la popolazione si attesta a 58.990.000 residenti, registrando una diminuzione di 7.000 persone rispetto all’anno precedente. Questo dato conferma il persistente trend negativo iniziato nel 2014, con un tasso di decrescita annuale pari a -2.8 per mille.  Il report dell’ISTAT offre numerosi spunti di riflessione, il primo dei quali è rappresentato dalla dinamica delle iscrizioni nette dall’estero, che in Italia nel 2023 sono state pari a +274.000 individui, rappresentando un elemento di contenimento della riduzione complessiva della popolazione. Il saldo migratorio dall’estero è in crescita (+166.000 stranieri nel 2022) e continua a svolgere un ruolo cruciale nel mitigare la perdita di popolazione residente: nel 2023, con un tasso di mortalità dell’11.2 per mille superiore al tasso di natalità del 6.4 per mille, si è avuto un tasso di crescita naturale pari a -4.8 per mille che, per l’appunto, è stato quasi interamente compensato dal saldo migratorio dall’estero (+6.4 per mille).

I dati per regione. Nel 2023, l’Italia ha assistito a variazioni demografiche differenziate tra le sue regioni, riflettendo una complessa rete di fattori economici e sociali che alimenta tale differenziazione. Mentre alcune regioni, come la Lombardia (4.4 per mille) e l’Emilia-Romagna (4 per mille), hanno registrato una crescita della popolazione, tutte le regioni del Mezzogiorno d’Italia hanno sperimento una riduzione dei residenti, con tassi anche rilevanti: -2.1 per mille in Abruzzo, -3.5 per mille in Campania, -4-1 per mille in Sicilia, -4-2 per mille in Molise, -4.5 pe mille in Puglia, -4.6 per mille in Calabria, -5.3 per mille in Sardegna e -7.4 per mille in Basilicata.

Queste disparità sulla dinamica della popolazione dipendono da differenze riguardo alle migrazioni e alle dinamiche naturali.

La figura in basso riporta i valori della crescita naturale della popolazione, il tasso di crescita della migrazione interna e delle iscrizioni nette di stranieri. Ciò che emerge con chiarezza è che la crescita naturale è ovunque negativa, a segnalare il fatto che il tasso di natalità è stato sempre inferiore al tasso di mortalità. Nel Centro-Nord, questa riduzione “naturale” della popolazione regionale è compensata dai tassi migratori interni ed esteri positivi, mentre, nelle regioni meridionali, si è avuto un incremento delle iscrizioni nette di straniere, ma contestualmente i tassi di migrazione interna sono stati significativamente negativi.

I dati della Calabria. Nel 2023 le nascite in Calabria hanno registrato una diminuzione dell’1.5%, contribuendo al declino della popolazione regionale che si è attestata a 1.838.000 individui (-4.6 per mille abitanti rispetto al 2022). Questo risultato negativo è stato influenzato dai valori del tasso migratorio totale e del tasso di crescita naturale della popolazione.

l’aumento delle iscrizioni nette dall’estero, con un tasso migratorio estero pari a +5.31 per mille, non è stato possibile ottenere un saldo migratorio totale positivo (risultando negativo a -0.1 per mille), a causa del persistente tasso migratorio interno. Quest’ultimo, relativo ai cambi di residenza dalla Calabria verso altre regioni e viceversa, si è attestato nel 2023 a -5.39 per mille. Per quanto riguarda la dinamica naturale della popolazione calabrese, nel 2023 si è registrato un  tasso di crescita naturale negativo di -5,31 per mille, risultante da un tasso di natalità del 7,2 per mille e un tasso di mortalità del -11,7 per mille (Figura 2) .

Emerge con forza la conferma della tendenza di lungo periodo che, purtroppo, vede la Calabria perdere residenti, con il rischio concreto di diventare sempre più piccola, impoverita e dipendente dall’assistenza pubblica. D’altra parte i recenti dati pubblicati dalla SVIMEZ avvalorano questa previsione, evidenziando il deterioramento della nostra regione nella Classifica europea del PIL pro capite, il quale è principalmente legato alla nostra incapacità di implementare politiche di sviluppo capaci di valorizzare settori in cui abbiamo margini di competitività, anche sui mercati internazionali. Le responsabilità sono diffuse, ma un ruolo significativo è svolto dall’atteggiamento culturale dei Calabresi, i quali sembrano vivere in un’eterna attesa di azioni risolutive da parte di attori esterni. (fai)

(Courtesy OpenCalabria)

Francesco Aiello è Professore Ordinario di Politica Economica presso il Dipartimento di Economia, Statistica e Finanza “Giovanni Anania” dell’Università della Calabria. Attualmente insegna “Politica Economica” al corso di Laurea in Economia ed “Economia Internazionale” al corso di Laurea Magistrale in Economia e Commercio. La sua attività di ricerca è centrata sui temi della Ricerca e dell’Innovazione, twin transition, dei divari di sviluppo in Italia e in Europa, sull’analisi micro-econometrica dell’efficienza e della produttività e sulla valutazione dell’impatto delle politiche pubbliche. È autore di numerosi saggi scientifici pubblicati su riviste nazionali e internazionali. Accanto all’attività prettamente accademica, si interessa di economia locale e di attività di divulgazione economica. Nell’estate del 2015 ha fondato OpenCalabria.com, uno spazio dedicato ai temi di “Economia e Politica dello Sviluppo” della Calabria.

Forum Famiglie: interventi immediati sulla denatalità

I dati dell’Istat sulla denatalità in Italia e la situazione crtitica della Calabria sono stati al centro di un dibattito del Forum delle Associazioni Familiari Calabria. Il Presidente Claudio Venditti ha sintetizzato con una battuta la posizione del Forum: «Non possiamo più perdere tempo altrimenti verremo ricordati come quelli che sapevano e non hanno agito».

Al 1° gennaio 2024 la natalità si conferma in picchiata: con appena 379mila bambini venuti al mondo, arriva «l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013». È la fotografia scattata dall’Istat negli indicatori demografici del 2023, sottolineando che “il processo, di denatalità dal 2008 non ha conosciuto soste”. Allo stesso tempo calano anche i decessi, arrivando a 661mila, l’8% in meno sul 2022, “dato più in linea con i livelli pre-pandemici rispetto a quelli che hanno caratterizzato il triennio 2020-22”.

Emerge così “un saldo naturale ancora fortemente negativo per 281mila unità”. Di fatto, l’Istat calcola un rapporto di “sei neonati e 11 decessi per ogni 1.000 abitanti”.  Attualmente, la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni 990mila unità (ma sono dati ancora provvisori), in calo di 7mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente (-0,1 per mille abitanti).

«Grave. Anzi gravissima la situazione italiana. È un crollo senza fine quello a cui stiamo assistendo inerti malgrado i ripetuti allarmi. Questo crollo demografico ci sta condannando ad un futuro insostenibile dove non saremo in grado di far fronte ad una spesa sanitaria crescente perché la popolazione attiva continua a calare. Ma anche la tenuta del sistema previdenziale è compromessa e i fenomeni dello spopolamento delle aree interne e rurali soprattutto del sud in Calabria in modo particolare  sembra compromettere il futuro di intere aree del Paese». «Un grande Paese, il nostro, che sarà sempre meno grande per il futuro, e vedrà calare il proprio Pil a causa della variabile demografica. Nell’ipotesi più accreditata da Istat – prosegue Venditti – si va verso 13 milioni di abitanti in meno nel periodo 2023-2080. Si perderà l’equivalente dell’attuale intera popolazione del Mezzogiorno se non si interviene con tempestività, progettazione di lungo periodo ed ingenti risorse. Nel medesimo periodo i dati previsionali Istat ci dicono che la potenziale forza lavoro si dimezzerà, così come il contingente dei giovani ed esploderà la componente anziana, con i ‘grandi vecchi’ che quasi triplicheranno. Di fronte a tutto ciò – conclude Venditti – serve un Piano shock di rilancio di cui deve farsi immediatamente carico la politica nazionale, ma anche europea e locale. ν

CALABRIA, DENATALITÀ E SPOPOLAMENTO
LA SFIDA FERMARE IL DECLINO ANNUNCIATO

di DANIELA DE BLASIOLa Calabria affronta una crisi demografica sempre più preoccupante. Il declino della popolazione ha conseguenze significative sull’economia, il benessere sociale e la sostenibilità della regione: per questo motivo è una sfida che richiede una seria attenzione e interventi urgenti da parte delle Istituzioni.

Sono vari i fattori che contribuiscono al declino demografico della Calabria, a partire dal tasso di natalità molto basso, come certifica l’Istat sulla base dei dati del Censimento permanente, infatti la popolazione residente nella regione al 31 dicembre 2021 era pari a 1.855.454 residenti, in discesa a -0,3% rispetto al 2020 (-5.147 individui) e -5,3% rispetto al 2011. 

Si tratta di dati sconfortanti, sicuramente da attribuire alle difficili condizioni economiche e sociali ed alle scarse politiche di sostegno alla maternità e alla famiglia che caratterizzano la regione e che possono influire sulla decisione delle famiglie di avere figli. Infatti, la mancanza di servizi adeguati per la cura dei bambini, carenza di scuole e strutture sanitarie di qualità, nonché la scarsità di opportunità per le donne di conciliare famiglia e lavoro sono fattori che rendono il contesto poco favorevole alla natalità.

Ma il calo demografico in Calabria è anche un fenomeno aggravato dall’emigrazione giovanile e dalla mancanza di opportunità di lavoro per i giovani. Le statistiche Eurostat sul mercato del lavoro ci indicano il tasso di disoccupazione in Calabria come uno dei dati peggiori in Ue.

Mancano le occasioni di occupazione stabile e ben remunerata, mancano le possibilità di crescita e realizzazione personale e queste carenze hanno portato molti giovani calabresi a lasciare la loro terra per cercare opportunità di vita e di lavoro migliori.

Nonostante gli sforzi compiuti, volti a promuovere l’occupazione, la Calabria perde in maniera continua ed inarrestabile risorse umane preziose, nonché la possibilità di sviluppare nuove attività economiche e possibilità di attrarre capitali.

La presenza limitata di grandi imprese, la scarsa diversificazione economica e la mancanza di investimenti infrastrutturali rendono difficile la creazione di posti di lavoro stabili e ben retribuiti per le giovani generazioni. Settori strategici come l’innovazione tecnologica, la ricerca e lo sviluppo sostenibile sono praticamente inesistenti, con la conseguenza che le occasioni di crescita e sviluppo professionale, sono irrisorie.

Inoltre, la mancanza di meritocrazia e la corruzione dilagante sono problemi che esasperano i giovani calabresi che si sentono demotivati, frustrati e sfiduciati nei confronti di chi non ha pensato al loro futuro ed a quello del proprio territorio.

La mancanza di rispetto per il merito, infatti, demotiva ulteriormente i giovani a rimanere nella regione, in quanto le opportunità di carriera sono spesso basate su relazioni personali  piuttosto che sulle capacità e competenze. Questa situazione li spinge altrove in cerca di una meritocrazia più imparziale.

La diminuzione del numero di persone attive nel mercato del lavoro ha gravi conseguenze economiche e sociali, in quanto innesta un circolo vizioso che inevitabilmente porterà nel breve periodo ad una riduzione della forza lavoro, all’invecchiamento della popolazione con l’aumento delle fragilità sociali ed un conseguente incremento di spese sanitarie, all’impoverimento culturale, alla contrazione delle dinamiche sociali ed ad un allontanamento da parte della società civile alla partecipazione attiva per costruire una nuova cittadinanza, oggi sempre più ai margini delle scelte calate dall’alto.

Per questi motivi, rendere la Calabria un luogo più attraente invertendo questa tendenza è il terreno su cui le Istituzioni devo cimentarsi al fine di garantire un futuro per la Calabria adottando politiche mirate, interventi adeguati e sostenibili che affrontino le cause sottostanti al declino demografico.

Solo così sarà possibile superare questa crisi e promuovere lo sviluppo con la prospettiva di costruire per le generazioni future una Calabria migliore. (ddb)

VERSO IL RITORNO A SCUOLA, TRA RITARDI
E MENO STUDENTI: È ALLARME IN CALABRIA

di GUIDO LEONEAncora qualche settimana di vacanze e poi per gli studenti reggini delle scuole di ogni ordine e grado, così come per altri loro colleghi di buona parte delle regioni italiane, si riapriranno le porte delle aule per l’inizio delle lezioni fissato a giovedì 14 settembre.

Nelle scuole superiori, poi, negli ultimi  giorni si stanno svolgendo  le operazioni di verifica dei debiti scolastici che gli studenti  dovranno dimostrare di avere  recuperato entro l’8 settembre come da circolare ministeriale. Si tratta di quelle prove che una volta erano chiamati esami di riparazione. Interessano mediamente  centinaia di studenti che nello scrutinio di giugno hanno avuto il  cosiddetto giudizio sospeso, cioè non sono stati né promossi né bocciati e che, pertanto, hanno dovuto sostenere le prove nelle materie insufficienti.

Intanto, giovedì 1 settembre per il mondo della scuola è l’inizio  del nuovo anno scolastico. Anche quest’anno ci sarà una nuova ripartenza,  la quarta dall’inizio della pandemia da Covid-19,  nel quale, ancora una volta, bisognerà confrontarsi con nuove abitudini e stili di vita che hanno impresso, nel corso degli ultimi anni,  una svolta epocale  nel modo di essere e fare  scuola, grazie anche al massiccio ricorso alle nuove tecnologie che ha colmato l’isolamento imposto dalle restrizioni per arginare il fenomeno Covid. 

I numeri della scuola reggina 

Lo scenario scolastico 2023- 2024, che si apre venerdì 1° settembre, inizia per dirigenti, docenti e personale amministrativo, come al solito, con tutta una serie di operazioni di natura collegiale, dal piano annuale delle attività alla rivisitazione del piano dell’offerta formativa e la preparazione delle attività di accoglienza per le matricole reggine dei vari ordini di scuola statale, così distribuiti: 3338 per l’infanzia ,4.258 per la primaria, 4.594 per la media e 5924 per le superiori.

Ciò che andrebbe evitata è la fretta di sedersi alla cattedra e al banco, di riprendere a insegnare per recuperare il tempo perduto, lasciando le vite di prima, le vite del vuoto scolastico, fuori dalle aule.

Il progetto educativo della ripresa avrebbe bisogno di tre passaggi: accoglienza, narrazione, rimodulazione.

In tutto gli studenti della nostra provincia nell’anno scolastico 2023-2024 saranno 73.298, così distribuiti fra i vari ordini di scuola: 8.825 infanzia, 21.806 primaria, 14.526 media, 28.141 superiore. Cui vanno ad aggiungersi gli allievi delle scuole paritarie.

Se per l’anno scolastico 2023-2024 ci saranno quasi 130mila studenti in meno in Italia, vuol dire che salteranno circa 5mila classi calcolando una media di 25 studenti ciascuna.

Resta, purtroppo, la tendenza, che si registra da tempo ad una diminuzione della popolazione scolastica anche nella nostra provincia, un migliaio in meno rispetto all’anno scorso.

Nel Reggino ad affrontare i prossimi esami di maturità, che avranno inizio mercoledì 19 giugno 2024, nelle scuole superiori  statali saranno 5.312 allievi, mentre nella scuola media inferiore saranno 5.015.

Cosa prevede il nuovo calendario scolastico:una lunga maratona di 203 giorni

 Questo è il ventiduesimo anno della devolution  nel quale le Regioni autonomamente fissano la data d’inizio e il termine delle lezioni.

In Calabria il termine è stato decretato per sabato 8 giugno 2024. Le attività educative nella scuola dell’infanzia, invece, termineranno in quasi tutte le regioni sabato 29 giugno 2024.

Per tutti, giorno più giorno meno, una lunga maratona di nove mesi di lezione, 203 giorni per la Calabria, fatto salvo il minimo dei 200 giorni di lezione.

I giorni di festa (escluse le domeniche) previsti dal calendario ministeriale sono al momento 11, vincolanti su tutto il territorio nazionale.

E cioè l’1 novembre, festa di tutti i Santi; l’8 dicembre, Immacolata Concezione; il 25 dicembre, Natale; il 26 dicembre; l’1 gennaio, Capodanno; il 6 gennaio, Epifania; il giorno di lunedì dopo Pasqua; il 25 aprile, Anniversario Liberazione; l’1 maggio, Festa del Lavoro; il 2 Giugno, Festa nazionale della Repubblica; la festa del Santo Patrono. 

Il decreto del Presidente della Regione Calabria stabilisce, poi, che non si effettueranno lezioni  il 2 novembre 2023; il 9  Dicembre 2023 interfestivo; da sabato 23 Dicembre 2023 al venerdì 5 Gennaio 2024  vacanze natalizie; da lunedì 12 febbraio a martedì  13 febbraio carnevale; da giovedì 28 marzo a martedì 2 aprile 2024 vacanze pasquali; venerdì 26 e sabato 27 aprile 2024 interfestivi. 

Il nuovo calendario, così come prevede l’autonomia scolastica, è, comunque, flessibile e dà la possibilità alle scuole di proporre gli adattamenti che possono riguardare anche la data di inizio delle lezioni , nonché la sospensione, in corso di anno scolastico, delle attività educative e delle lezioni prevedendo, ai fini della compensazione delle attività non effettuate, modalità e tempi di recupero in altri periodi dell’anno. Sicché anche le scuole della nostra provincia potrebbero  iniziare le lezioni ancor prima del 14 settembre.

Anche in provincia di Reggio Calabria il fenomeno dei dirigenti a mezzo servizio.

Anche quest’anno si ripresenta l’atavico problema delle reggenze. Chiunque frequenti una scuola (da docente o da genitore) sa quanto sia drammatico avere un dirigente a mezzo servizio.

Significa un abbassamento sostanziale del servizio offerto, a maggior ragione in un periodo fondamentale per la gestione dei fondi Pnrr. D’altronde, quale attenzione può prestare un Dirigente che si trova a gestire tanti plessi distanti anche decine di chilometri tra loro?

Comunque per garantire la regolarità dell’avvio dell’anno scolastico l’Ufficio scolastico regionale ha provveduto a coprire tutti i posti disponibili con incarichi aggiuntivi di reggenza

Sicché sono 68, di cui 20 in provincia di Reggio, le scuole calabresi che avranno un dirigente part time come reggente e che dovranno dividersi fra due scuole talvolta abbastanza distanti tra loro. In città il Liceo scientifico “Da Vinci” continuerà ad essere à retto dal dirigente Franco PraticòContinua a permanere la tendenza al colore rosa nei numeri della dirigenza scolastica calabrese e reggina in particolare e l’abbassamento dell’età media dei responsabili degli istituti. 

Le sfide ricorrenti del sistema educativo

Solo per citarne alcuni: dall’annosa penuria di docenti alla qualità della formazione e dell’offerta formativa, dalla abbondanza delle classi pollaio alle modeste condizioni retributive e lavorative, alla mancata riforma della carriera degli insegnanti, alla assenza di interventi per migliorare l’efficienza ed efficientamento energetico in strutture ad elevatissimo consumo e dispendio energetico, alla accessibilità degli istituti per gli studenti disabili. Ad evidenziare quest’ultimo aspetto è il Rapporto Annuale Istat che calcola come una scuola su tre non risulta essere accessibile agli alunni con disabilità motoria.

Comunque, i risultati sono sotto gli occhi di tutti: riforme incomplete, cambiamenti continui, spesso improvvisati, sperimentazioni, progetti, innovazioni metodologiche e pedagogiche digitalizzazione a tappe forzate in quanto considerata la panacea di ogni problema, fanno poi puntualmente registrare un tracollo delle conoscenze e capacità cognitive essenziali dei giovani: le prove Invalsi, le indagini Pisa, le statistiche varie ci consegnano da anni il desolante quadro di una sorta di giovanile semianalfabetismo dilagante, a cui si aggiunge un analfabetismo emotivo e sentimentale, aggravatosi dopo il lockdown, alla base dei numerosi episodi di teppismo, bullismo e criminalità nei confronti dei docenti, nemmeno più supportati dalle famiglie, come accadeva un tempo. A proposito a quando la figura dello psicologo in pianta stabile almeno nelle scuole maggiormente a rischio. 

Le risorse destinate al sistema scolastico diminuiscono nell’indifferenza di tutti. La scuola, invece, deve essere la priorità perché ne va del nostro futuro.

Le notevoli risorse finanziarie messe in campo per uscire dalla crisi, a partire dai quasi 200 miliardi del Pnrr, dovrebbero supportare investimenti che accompagnino e rafforzino il benessere dei giovani nelle diverse fasi dei percorsi di vita, intervenendo fin dai primi anni di vita suggerisce così il Rapporto 2023 segnalando che l’Italia spende per prestazioni sociali erogate a famiglie e minori una quota paria all’1,2% del Pil contro il 2,5 della Francia ed il 3,7% della Germania. E anche sul fronte dell’istruzione emerge un “minor impegno” del nostro Paese, che impegna appena il 4,1% del Pil contro il 5,2 della Francia , il 4,6 della Spagna ed il 4,5 della Germania ed una media della Ue del 4,8%.

Perciò è necessario pensare una scuola nuova con modelli metodologici e valutativi rivisti in profondità e con una reale personalizzazione dei percorsi. Serve un cambio di passo per garantire pari opportunità e successo formativo a ogni studente. Solo così potremo pensare di dare risposte ai bisogni formativi dei ragazzi che affollano le nostre scuole, preparandoli alle esigenze del mondo, del lavoro e delle università.

Messi in fila, questi dati raccontano di un ritardo preoccupante della regione calabrese e risultati ancora peggiori in alcune realtà locali. Ben venga pertanto il progetto pilota Agenda Sud che per il prossimo triennio prevede anche per un certo numero di istituzioni scolastiche calabresi una serie di interventi tra cui spiccano attività di orientamento e tutoraggio, didattica innovativa e laboratoriale e una maggiore flessibilità negli orari. Il tutto finalizzato a ridurre il divario  educativo tra il Nord e il Sud d’Italia.

Va sottolineato, altresì, la novità di quest’anno scolastico con le figure del docente tutor e del docente orientatore che dovrebbero essere operative da settembre. (gl)

[Guido Leone è giù dirigente tecnico Usr Calabria]

QUANTO PESERÀ L’INVERNO DEMOGRAFICO
SULLE FUTURE GENERAZIONI DI CALABRESI

di PIETRO MASSIMO BUSETTA“Il nostro inverno demografico”, che è una definizione che fa un po’ paura, è cominciato da molto. E  sa tanto  di un letargo lungo, che non prelude però ad una primavera, ma invece ad un processo inesorabile di involuzione verso l’estinzione. 

 In realtà,  gli Italiani che vivono nel nostro Paese rappresentano soltanto meno dell’1 × 1000 della popolazione complessiva mondiale. La nostra estinzione potrebbe essere irrilevante e certamente, in ogni caso,  laddove si producono dei vuoti immediatamente essi vengono riempiti. Ma che è un popolo, voglia continuare ad avere una sua identità, ad avere una politica demografica tale da non estinguersi, con tutte le sue tradizioni e la sua storia,  è non solo legittimo ma certamente opportuno. 

Per questo è stata salutata con molto entusiasmo l’incontro sulla natalità che si è svolto a Roma. E Papa Bergoglio e  la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni bene hanno fatto ad essere stati ospiti della giornata conclusiva degli Stati Generali della Natalità. Insieme sul palco dell’Auditorium della Conciliazione hanno parlato di famiglia. 

Anche se non dobbiamo dimenticare che tutto quello che si farà da oggi in poi avrà effetto soltanto, per esempio sul mercato del lavoro, fra diciotto- vent’anni. E che il prossimo futuro demografico, quello più vicino a noi, è stato già scritto.  

La mancanza di figli stimola psicologi e sociologi a cercare le motivazioni profonde di un processo che riguarda in generale tutte le popolazioni che, laddove raggiungono livelli economici più avanzati e tenore di vita più confortevoli,  sono portati a diminuire il numero di figli, o a non averne  addirittura. 

D’altra parte qualcuno dice che oggi avere figli è un privilegio di chi se lo può permettere, considerato che una filiazione consapevole prevede un impegno, non solo economico, estremamente rilevante. Ma se l’Italia nel suo complesso piange il Sud è in un affanno più grande. 

L’inverno demografico che colpisce l’Italia, e non ci si deve stupire che sia diventato il Paese a più basso indice di natalità in Europa, riguarda oggi soprattutto il Sud. E i dati sono a dir poco allarmanti. Il  decremento è di -6,3 per mille residenti a fronte di -2,6 per mille al Centro e di -0,9 del Nord. Evidentemente su questi dati vi è l’influenza dell’emigrazione economica verso le realtà settentrionali. 

Le Regioni meridionali sono tutte nelle prime posizioni della classifica della perdita  della popolazione. Mettendo a confronto i dati relativi ai nuovi nati e ai deceduti la Basilicata  nel 2022 ha un tasso di natalità per mille abitanti di 6 e di mortalità di 13, il Molise 5,8 nati e 14,7 deceduti, Sardegna 4,90 contro 13 e Calabria 7,30 su 12,4 decessi. Arretra anche la Puglia con 6,7 nati su 11,4 morti, la Campania  con 7,9 nuovi nati e 10,9 decessi e la Sicilia con 7,6 nuovi nati e 12,3 decessi. 

È chiaro che su tale processo  incide molto la mancanza di servizi sociali. Il numero limitato di asili nido, che spesso non consentono alle donne di lavorare, i pochi sostegni alle madri, che in altri paesi come la Francia sono molto consistenti. Ma anche la mancanza di lavoro che fa sì che al massimo in una famiglia ci sia un componente che ha una occupazione. 

La maggior parte di coloro che fanno parte della non forza lavoro sono proprio donne, magari istruite, alle quali non viene dato alcuna opportunità di un lavoro che sia consono al loro livello sociale ed alla loro formazione. Tale evidenza fa riflettere ancor di più sulle conseguenze di uno sviluppo anomalo del nostro Paese, che registra un processo migratorio importante da una parte all’altra,  che certo non aiuta ne incoraggia coloro che vogliono formarsi una famiglia. E che spesso si trovano a dover emigrare in realtà nelle quali, oltre alla carenza di welfare pubblico, viene a mancare anche la rete di protezione sociale rappresentato dalla famiglia.

Che certamente, parlo dei nonni, degli zii, se presente, costituisce un aiuto non indifferente soprattutto nei primi anni di vita dei bambini. Nel 2022 la diminuzione del numero medio di figli per donna riguarda sia il Nord 1,26,  sia il Centro pari a 1,16, che il Mezzogiorno che  si attesta anch’esso a 1,26. 

Purtroppo abbiamo distrutto quella tradizione di famiglia patriarcale, esistente ancora in passato nelle comunità meridionali, per cui in molti di noi vi è il ricordo di una nonna che aveva avuto anche otto-dieci figli. Per il Sud si prospetta una società che non riesce a mantenersi, per la mancanza di equilibrio tra nuove e vecchie generazioni, per cui diventa difficile il sostegno anche pensionistico di una popolazione con una vita media, per fortuna, sempre più lunga, ma proprio per questo con esigenze sempre più rilevanti di una sanità adeguata.

Peraltro la situazione è aggravata anche dal fatto che coloro che sono andati via per mancanza di lavoro, spesso, ritornano, dopo il pensionamento, nella loro terra di origine. Aggravando l’esigenza di sanità, già non adeguata per coloro che sono stati sempre residenti. 

Riflettere sulle condizioni già presenti, ma che si aggraveranno ulteriormente nei prossimi anni, non è un esercizio di puro studio ma deve avere conseguenze operative immediate che riguardino l’esigenza di una crescita consistente in tutte le parti del Paese, ed in particolare in quelle che hanno più possibilità di crescita.

Cosa assolutamente scontata tanto che lo stesso Luigi Einaudi già in un articolo  del 23 giugno del 1900 sul Corriere della Sera affermava riferendosi al Sud: «quando su un campo si sono già impiegati rilevanti capitali, torna più conveniente applicare i nuovi capitali non su di esso ma su nuovi campi trascurati prima perché ritenuti troppo sterili». 

Al di là di fattori sociali, di un sentire diffuso, l’aspetto economico di sopravvivenza, di servizi alla persona di diritti di cittadinanza diffusi ed adeguati diventano un elemento fondante di qualunque politica attiva per le famiglie. Compreso quel reddito di cittadinanza, ormai quasi cancellato, che darebbe ai cosiddetti occupabili maggiori certezze di poter affrontare periodi di difficoltà avendo un ombrello protettivo per superare momenti difficili.

Ma tutto questo prevede che vi sia una produzione di reddito adeguata alle tante esigenze di una società evoluta. L’Italia non può più accontentarsi di crescere allo zero  virgola qualcosa ma deve puntare a tassi di incremento consistenti. Per questo è necessario ripensare in grande, e in questa visione anche il Ponte sullo Stretto di Messina diventa oltre che lo strumento per il recupero dei traffici mediterranei anche il simbolo di una volontà di giocare negli scacchieri  internazionali un ruolo che ormai da anni abbiamo perso. (pmb)

[Courtesy Il Quotidiano del Sud – L’Altravoce dell’Italia]

INCUBO DENATALITÀ: UNO SCENARIO FOSCO
SI PROFILA PER LE UNIVERSITÀ CALABRESI

di SERGIO DRAGONELe università del Sud entro il 2040 potrebbero diventare atenei fantasma. Uno studio realizzato da Talents Venture, una società specializzata nell’istruzione universitaria, illustra uno scenario apocalittico: calo delle nascite ed emigrazione dei ragazzi meridionali verso gli atenei del Centro-Nord e dell’estero renderanno non più sostenibili i sistemi universitari del Sud. Diminuiranno drasticamente i giovani di età compresa tra i 18 e i 21 anni che oggi rappresentano il 90% delle immatricolazioni. 

Un quadro fosco che indica nelle Università pugliesi e campane quelle che corrono maggiormente il rischio di desertificazione e quindi, sia pure allo stato teorico, di chiusura nell’arco dei prossimi venti anni.

Ma anche la Calabria non sfugge a questo meccanismo. Secondo questo studio, la nostra regione registrerà nel 2040 la riduzione del 23,8% della popolazione giovanile compresa tra i 18 e i 21 anni, con un rischio desertificazione per i quattro atenei che compongono il nostro sistema universitario (Unical, Umg, Mediterranea e Dante Alighieri per stranieri). Risulteranno troppi, troppo costosi e quindi non più sostenibili economicamente in relazione alle immatricolazioni.

I rettori del Sud sono in grande allarme anche perché inevitabilmente diminuiranno anche le risorse. Il Magnifico dell’Università di Bari, Stefano Bronzini, sta lavorando ad una proposta rivoluzionaria per contrastare questo processo: federare tutte le Università della Puglia e farne una sola, con un solo rettore, un solo consiglio d’amministrazione e un solo senato.

Dice Bronzini: «A Brindisi metterei l’energia, a Taranto concentrerei archeologia e ambiente. A Lecce troverebbero posto le nanotecnologie, a Foggia l’agroalimentare e a Bari la sanità, la fisica, il calcolo, la chimica. Facoltà molto richieste come per esempio Giurisprudenza le lascerei su tutto il territorio, ma legate a un solo ateneo».

Uno dei vantaggi sarebbe di natura economica: secondo Bronzini la federazione di università pugliesi permetterebbe di proporre investimenti che non siano in concorrenza ma in coesione e le risorse sarebbero distribuite in modo equo e non ci sarebbe una contesa degli studenti fra atenei.

Proiettata nella nostra regione, la proposta Bronzini porterebbe alla nascita di un’unica, grande Università, con ogni sede territoriale a detenere un primato in determinate facoltà: a Catanzaro il polo medico e quello giuridico; a Cosenza l’ingegneria e l’informatica; a Reggio Calabria, architettura. Si potrebbe perfino pensare, in questa logica, a facoltà innovative da localizzare a Crotone, Vibo Valentia, Rossano/Corigliano. L’obiettivo sarebbe quello di concentrare tutte le risorse in un unico ateneo e fare valere il peso di un numero consistente di immatricolazioni, puntando anche ad un deciso incremento delle iscrizioni da parte di studenti stranieri.

Ma in Calabria, ovviamente, si procede in direzione del tutto opposta, quella della guerra senza quartiere tra i quattro atenei, con una lotta al coltello per accaparrarsi un po’ di immatricolazioni. La duplicazione della facoltà di medicina, alla luce dello studio di “Talents Venture”, appare più che una conquista, un autentico suicidio che alla lunga porterà all’asfissia di entrambe le facoltà calabresi per la riduzione delle immatricolazioni entro il 2040.

Il rischio di diventare atenei fantasma non fermerà la folle corsa alle duplicazioni, se è vero che anche Reggio Calabria rivendica una terza facoltà di medicina. L’Unical, che gioca da solista in maniera incontrastata, punta sugli studenti stranieri, registrando quest’anno un boom di domande, quasi diecimila, provenienti da 108 Paesi del mondo, per accedere ai 240 posti per la laurea biennale in lingua inglese. Forse non basterà per evitare il rischio desertificazione previsto per il 2040, ma certamente è già qualcosa e forse servirà ad allontanare di qualche anno  il default.

Ora non voglio dire che in Calabria bisogna guardare alla proposta Bronzini come un modello, ma basterebbe lavorare ad un rafforzamento delle facoltà “identitarie” di ciascun ateneo calabrese, concentrando le risorse ed evitando inutili e costosissimi doppioni come “medicina”.

Una considerazione finale. La Puglia guarda al futuro e pensa di federare le forze, la Calabria si gira indietro e pianta inutili e patetiche bandierine, senza minimamente valutare i devastanti impatti che il calo demografico e i flussi migratori avranno nei prossimi venti anni.  (sd)