COSENZA – Il 6 giugno in un convegno si analizza come ridurre il gap con il digital divide

Ridurre il digital divide è tema ed obiettivo di innovazione, di modernizzazione, di nuova economia e servizi, di ripensamento della qualità della vita, di rilancio delle attività delle imprese rendendo più attrattivi i territori per gli investimenti ma anche di democratizzazione dei processi informativi e decisionali, al quale va complessivamente attribuita importanza salvifica per la futura competitività identitaria e distintiva della regione nel mondo.

È intriso di questa missione l’evento di portata regionale dal titolo La Fibra Ftth come strumento indispensabile per la transizione digitale in Calabria, promosso dalla Provincia di Cosenza guidata da Rosaria Succurro in partnership con Omnia è, ospitato martedì 6 giugno, alle ore 9.30 nel Salone degli Specchi della Palazzo di Governo in Piazza XV Marzo.

Il Consiglio sui diritti umani delle Nazioni Unite definisce l’accesso ad Internet uno degli strumenti più importanti per aumentare la trasparenza, per accedere alle informazioni e per facilitare la partecipazione attiva dei cittadini nella costruzione delle società democratiche.

Con questa precisa chiave di lettura, l’evento ambisce a rappresentare l’occasione per una riflessione a più voci, esperte ed autorevoli sulle straordinarie opportunità di trasformazione, accessibilità, eco-sostenibilità derivanti, anche e soprattutto per il riposizionamento delle importanti aree interne del territorio regionale, dall’obbligata transizione digitale della Calabria attraverso l’indispensabile strumento della fibra ottica superveloce FTTH, ovvero la fibra fino a casa.

Insieme ad Open Fiber, protagonista sin dall’inizio della Strategia Nazionale per la banda ultra larga (Piano BUL) e di cui siamo l’unico partner in Calabria, soprattutto insieme alle istituzioni pubbliche sensibili a questo passaggio storico epocale, ci sentiamo in prima fila – sottolinea l’Amministratore Delegato di Omnia é Vincenzo D’Agostino – in una sfida che è globale, sociale e democratica: abbattere quelle che oggi sono le vere cause di discriminazione e di ritardo competitivo dei territori; una sfida di civiltà e progresso alla quale vogliamo poter attrarre un numero sempre maggiore di attori, motivatori ed interpreti locali. Per quanti – continua – per formazione e visione istituzionale ed imprenditoriale privilegiano una lettura positiva del concetto di crisi, vissuta e governata come momento di rottura, superamento e crescita, l’emergenza pandemica degli ultimi anni lascia in eredità metodi, contenuti, esperienze e direzioni, importanti e replicabili per alimentare nuove prospettive di coesistenza e sviluppo.
Tra queste – spiega l’ad di Omnia è – vi è sicuramente l’emersione a 360 gradi delle vere potenzialità del mezzo digitale per la creazione di una società più inclusiva; la piena consapevolezza di come l’informatizzazione di servizi, funzioni e procedure rappresenti un fattore traversale di crescita, il cui livello è direttamente proporzionale alle capacità di sviluppo dei territori, con una dimensione che assume un valore ancor più significativo nei comuni di piccole dimensioni, riducendosi gap e criticità; e non ultimo l’aumento di attrattività, non solo romantica ma concreta ed economica, delle aree interne in digital transformation come luoghi in cui si sceglie di vivere e – conclude D’Agostino – anche interrompendo una narrazione ereditata e da mettere in discussione, dai quali non è affatto obbligatorio emigrare. (rcs)

SOCIAL ED ELEZIONI IN QUESTA CAMPAGNA
CHE IL DIGITAL DIVIDE RENDE COMPLICATA

di FRANCESCO RAO – In una regione come la Calabria nella quale il 4,4% dei residenti non ha alcuna competenza digitale, il 47,9% ha basse competenze, il 22,5% ha competenze di base, mentre le competenze digitali alte interessano il 25,2% dei calabresi, la questione afferente al Digital Divide che si lega all’analfabetismo funzionale, rischia di non rendere possibile la comprensione dei segnali lanciati in rete dai vari leaders politici, sempre più intenti a svolgere la loro campagna elettorale anche tramite social. 

Questa considerazione non vuole essere una limitazione per quanti posseggono uno smartphone o un tablet e durante la giornata seguono le varie notizie riconducibili alla propaganda elettorale ma vuole essere una via nella quale poter tentare di analizzare ed osservare l’evoluzione della volontà del voto.

Intanto, vi è una novità sulla quale riflettere e tale circostanza, per una volta, non divide il Paese tra Nord e Sud ma a quanto pare lo unisce. I video prevalgono sui testi in quanto rendono maggiormente veloce la capacità di veicolare l’argomento scegliendo di volta in volta la brevità dei contenuti, la linearità dell’argomento e il diretto coinvolgimento dei contenuti, apparentemente su misura per tutti gli spettatori. Viene sempre meno utilizzato il ricorso a lunghi post nei quali poter articolare il percorso lineare di una progettualità politica da attuare entro una Legislatura. Insomma, con i social non si segue più tutto il Campionato di calcio, ci si limita ad assistere alla sola fase dei rigori.

In un passato piuttosto recente, eravamo abituati a campagne elettorali nelle quali emergevano ampie discussioni, avviate di solito con largo anticipo dai vari leaders dei partiti politici per costruire il consenso da raccogliere poi con i voti espressi dagli Elettori. Spesso partiva tutto dalle piazze. In esse venivano riversati i malesseri sociali e, molti di quei temi, divenivano l’oggetto specifico per avviare discussioni e confronti portati persino nell’agenda politica trattata all’interno dell’emiciclo costituzionale, dove ai lavori delle rispettive Camere si aggiungevano proprio quei temi, divenendo molte volte l’origine di numerosi provvedimenti legislativi. Quel modello, comparato alle attuali campagne Elettorali, divenute ormai un fatto permanente ha poco in comune.

Saranno mutate le esigenze sociali? La diffusione dei social e la loro potente pervasività hanno veramente inciso sulle strategie comunicative? Oggi, ha più paura la classe politica di rimanere isolata oppure è la società ad essersi isolata, perché completamente disaffezionata alla politica?

Cerchiamo di mettere un po’ in ordine il puzzle e, seppur il compito sia arduo, proviamo a sviluppare una breve riflessione, anteponendo con dovuta lucidità che si tratterà di un piccolissimo passo per poter affrontare un dilemma molto complesso.

Per non dover partire dal peccato di Adamo ed Eva, rischiando di tediare i lettori, vorrei richiamare una fase particolarmente importante per il nostro modo di vivere, dettato dalla rapida diffusione di un fenomeno sociale avente una portata di dimensione più ampia di quanto si possa immaginare: l’insorgenza della società dei consumi.

Questo sentimento, sviluppatosi molto velocemente a partire dalla metà del Secolo scorso, di fatto ha contribuito a stemperare l’intensità ideologica dalla quale si era usciti dopo il 25 Aprile del 1945. La frattura sociale, apertasi con l’avvento del periodo fascista durante il Ventennio, alla sua conclusione, ha lasciato allo stremo gli italiani. Difatti, alla fine della dittatura, escludendo il periodo di guerra, la situazione per la maggior parte della popolazione era peggiorata (ma la propaganda ne impediva la diffusione dei dati e soprattutto del malcontento). 

In particolare, rispetto al 1923, nel 1938 i salari reali erano scesi di circa il 20%, niente al cospetto dell’attuale inflazione. La fine del Secondo conflitto Mondiale e l’affermazione del modello Repubblicano, hanno poi reso indispensabile l’avvio della ricostruzione. 

Tutto ciò servì a ridefinire la chiusura della frattura sociale pregressa con l’apertura di una nuova fase, identificabile per facilità metodologica come una lunga parentesi sociale durata sino al 2008. In realtà, la causa che alimentò l’onda lunga della crisi nella quale ancora oggi siamo avvolti è principalmente individuabile con lo scoppio della bolla speculativa, originata negli Stati Uniti, mediante il diffondersi della crisi finanziaria. 

La crisi portò alla recessione le economie di tutto il mondo, che in qualche modo sono tutte collegate a quella degli Stati Uniti, nonostante i numerosi tentativi di salvataggio messi in atto dalla politica a livello planetario le conseguenze della crisi furono piuttosto gravi e per molti versi continuano tuttora. Di tali circostanze, ognuno di noi, nel corso del tempo, è stato costretto a pagarne un prezzo. 

A ciò, oggi si aggiungono gli effetti determinati a seguito della guerra tra Russia e Ucraina e l’insieme delle sanzioni comminate alla Russia del blocco Atlantico iniziano ad essere un vero e proprio boomerang, soprattutto per l’Italia. Nel Meridione d’Italia, come già detto in più occasioni, la disoccupazione è crescente e alla riduzione della disponibilità economica si aggiungono l’inflazione e il sempre più alto costo dell’energia.

 Tutto ciò, all’interno dei mercati finanziari sta generando un vero e proprio blocco dei i processi economico-produttivi, incidendo notevolmente a livello strutturale ed espandendosi velocemente facendoci contare oltre all’aumento del costo della vita, le aziende pronte a chiudere ed i disoccupati in preda al panico.

Dall’altra parte si assiste allo sviluppo ed alla diffusione della comunicazione di massa, grazie alla diffusione della rete internet. l’importantissimo ruolo svolto dalla rete, in pochissimo tempo si è rivelato fondamentale anche per politica. 

Se Obama venne chiamato presidente YouTube ci sarà stato sicuramente un motivo. In quella fase storica, nessuno poteva immaginare che la politica, nel giro di pochissimi anni, potesse snaturare l’importanza del rapporto umano ridisegnando un nuovo anello di congiunzione tra partiti e movimenti politici con le masse sociali, traslando tale azione dal mondo reale al mondo virtuale. Eppure, è stato così. 

Oggi la notizia non è più la ricetta per sanare l’economia ma il partito che da Instagram o Facebook sbarca su Tik Tok senza considerare l’immane quantità di dati consegnati in mano al gestore della piattaforma. 

L’intento dovrebbe essere quello di coinvolgere al voto i più giovani ma non conoscendo il lessico della Gen Z, le loro aspettative e la loro storia il tutto potrebbe tradursi in un vero e proprio boomerang. Con una forte propensione verso il virtuale, sono state abbandonate in buona parte le piazze ed i cortei venendo meno i confronti, gli incontri e tutta la formazione politica appresa in quei luoghi.  

Seppur il metodo sia cambiato, le ultime elezioni politiche hanno determinato l’inedita vittoria di un movimento nato, cresciuto e consumatosi nella rete e l’odierna Campagna elettorale riparte proprio da quel modello, superando definitivamente le pregresse esperienze. 

Forse, bisognerebbe considerare l’Elettore come un consumatore anzi, andrebbe rideterminato considerandolo come un consumAttore il quale, non essendo portatore di ideologia politica che lo vincola al voto di un partito, osserva liberamente e sceglie chi sostenere di volta in volta, perciò, la logica dei sondaggi diviene ancora più complessa perché all’intenzione di voto si aggiunge la determinazione dell’ultimo istante. Si ricordi che Berlusconi, impegnandosi a eliminare l’ICI sulla prima casa sconvolse l’Elettorato e vinse le elezioni. 

Sulla scorta del dato iniziale, fornito dal recente Rapporto Svimez, in una regione come la Calabria, si rischia di implementare la quantità di confusione tra gli Elettori rischiando addirittura di alimentare sia l’astensionismo sia la propensione all’errore nell’esprimere il voto perciò, dall’osservatorio delle scienze sociali, il risultato del 25 settembre potrà essere anche un banco di prova per virificare la pervasività dell’informazione fatta veicolare tramite i canali Social. 

Il Terzo Millennio porta in dote dal Secolo scorso il concetto di liquidità, ormai disseminato in ogni ambito sociale e culturale. Di conseguenza, anche la politica è diventata una scienza liquida. 

Nel nostro Meridione quella liquidità si chiama povertà educativa, impossibilità a sbarcare il lunario a fine mese, sanità commissariata e figli disoccupati, costretti ad abbandonare la loro terra, i loro affetti e la possibilità di poter guarda avanti divenendo protagonisti. Intanto una domanda rimane aperta: gli Italiani si recheranno alle urne oppure attenderanno il risultato su Tik Tok? (fr)

 

INTERNET, CALABRIA LA MENO CONNESSA
LA COPERTURA È SOTTO L’80 PER CENTO

di ANTONIETTA MARIA STRATI – La Calabria, purtroppo, continua a raccogliere tristissimi primati. Questa volta, ‘primeggia’ su quello che, oggi, è diventato uno strumento indispensabile, sopratutto in questa pandemia. Si tratta della connessione a internet. La nostra regione, infatti, è la meno connessa d’Italia (77%). È quanto riporta uno studio condotto da Openpolis sullo stato dell’arte dell’Europa connessa, dove rileva, che «dai dati Eurostat come ci sia una importante disparità soprattutto tra il nord e il sud Europa».

Se, infatti, da una parte ci sono paesi in cui le percentuali di famiglie raggiunte dalle rete internet sono tra le più alte, superando nella maggior parte dei casi il 95%, dall’altra ci sono paesi dell’est e sud Europa – tra cui il sud Italia – in cui non si raggiunge nemmeno l’80%. La Calabria, purtroppo, è tra queste e, nonostante ciò, è stato rilevato che «ha una quota di famiglie con accesso a internet molto più alta: 67,3%. Ma il divario con la media nazionale è ancora di quasi 9 punti. E anche il ritardo rispetto alla regione più connessa (il Trentino Alto Adige, 81,1%) è rimasto quasi invariato: 13,8 punti percentuali».

«Le regioni del Sud – si legge sul report – seppur con netti miglioramenti, rimangono sempre al di sotto della media nazionale e si distanziano sempre di più dall’Italia centro-settentrionale. Per esempio, nonostante il Piemonte (73,5%) risulti al 2019 al di sotto della media nazionale, presenta comunque un dato superiore a quello di grandi regioni del sud come Calabria (67,3%) e Puglia (69,6%)».

Un quadro, quello tracciato da Openpolis, che ribadisce, ancora una volta, come in Calabria sia fondamentale investire sulle infrastrutture di rete per poter uscire da un isolamento tecnologico che potrebbe penalizzare la nostra regione e far sfumare le opportunità e i vantaggi che si potrebbero trarre dall’avere una connessione internet stabile.

Proprio nei giorni scorsi, Fortunato Lo Papa, segretario regionale della Fisascat Cisl, aveva proposto, come soluzione per salvare il comparto del turismo, lo slow tourism e il warkation, «mix tra vacanza e lavoro, basato su luoghi che permettono di andare in vacanza e allo stesso tempo di continuare a lavorare da remoto, magari con vista mare» ma, in queste condizioni, con una rete internet quasi inesistente, come si può pensare di proporre ai turisti, di venire in Calabria per lavorare?

Che alla Calabria «serve, superando i troppi ritardi, la realizzazione in tutti i territori della banda larga di ultima generazione, fondamentale per le imprese e per l’intero sistema» lo aveva già ribadito Tonino Russo, segretario generale della Cisl Calabria, nel corso dell’incontro Obiettivi comuni tra manager e lavoratori nell’industria 4.0, è stato organizzato nell’ambito del programma @calabriadigitale, dove aveva rilanciato l’appello della Svimez, in cui sottolineava l’importanza di «un piano  per il superamento dei limiti delle infrastrutture digitali perché le persone possano operare dalla Calabria, prevedendo sia incentivi fiscali e contributivi, sia spazi di coworking che i Comuni potrebbero creare».

Ma non c’è solo un problema riguardo all’«operare dalla Calabria». C’è anche un problema che riguarda proprio il digital divide, che, come riportato dall’Istat, per la Calabria e il Meridione è un’emergenza che è stata accentuata con la pandemia in corso. Basti pensare che il 12,3% degli studenti Italiani tra 6 e 17 anni, a marzo dell’anno scorso, non possedeva un computer o un tablet presso la propria abitazione (850 mila in termini assoluti), la quota raggiunge quasi il 20% nel Mezzogiorno. Il 57% degli studenti che possiede un computer lo deve condividere con altri componenti della famiglia e solo il 6,1% vive in famiglie dove è disponibile almeno un computer per ogni componente. Tra le famiglie con minori (0-17 anni) circa 1 su 7 non ha un computer o un tablet a casa (il 14,3%), con differenze geografiche nette: al Sud sono il 21,4%, mentre sono l’8,1% nel Nord-Ovest.

Come rilevato dal sociologo Francesco Rao, «il nostro sistema scolastico ancora oggi è invaso da molte sacche di esclusione, soprattutto nelle scuole delle aree interne che definirei come uno tra i pochissimi presidi dello Stato e simbolo della legalità. L’emergenza sanitaria e la protratta chiusura delle scuole hanno fatto sparire dal radar molti studenti a rischio seppur vi sia stato un costante impegno svolto da insegnanti e dirigenti scolastici e dalle associazioni impegnate ad affiancare le scuole e i loro alunni per garantire quel supporto al conseguimento degli obiettivi che caratterizzano le Comunità educanti. La dispersione scolastica, implicita ed esplicita, oggi più che mai, sembra essere inarrestabile anche perché alla crescente affermazione del learning loss, ossia la perdita dell’apprendimento, registratosi nel periodo estivo e consistente nella perdita di competenze e conoscenze accademiche rilevabili alla conclusione delle vacanze estive nei paesi che hanno pause lunghe durante l’anno scolastico si aggiunge quest’ennesima fase di sospensione delle attività didattiche che potrebbe trasformarsi in un altro lockdown nazionale».

Per Rao, «il mancato adeguamento tecnologico e la lenta risposta delle Istituzioni,  in buona parte ha amplificato le numerose difficoltà strutturali: nelle aree interne della Calabria, ancora oggi la qualità della rete internet è identificabile più come un ostacolo che un valido alleato. A ciò si aggiunge la qualità della dotazione informatica da parte di moltissime famiglie. Nei segmenti sociali più umili, dovendo procedere all’acquisto di computer o tablet, spesso hanno scelto una qualità medio bassa soprattutto viste le limitate risorse economiche tendendo a risparmiare, la mancata competenza in ambito informatico porterà a non considerare come prioritaria la ricaduta reale sull’efficienza del computer o il tablet acquistato quando poi verrà utilizzato».

Un dato che viene confermato dai dati della Svimez, dove, in un articolo di ieri sul Corriere della Sera, a firma di Goffredo Buccini, è stato rilevato che «vive al Sud il 34% dei ragazzi con famiglie prive di dispositivi informatici e con i titoli di studio più bassi», con il rischio che «un terzo dei ragazzi italiani venga escluso dal percorso formativo a distanza, con conseguenze rilevanti nei prossimi anni sui tassi di dispersione scolastica». (ams)