IN ITALIA LA REGIONE MENO DIGITALIZZATA
CALABRIA, DIDATTICA A DISTANZA IN CRISI

La Calabria è la regione meno digitale d’Italia. Lo rileva l’edizione 2020 del Desi – Digital Economy and Society Index regionale elaborato dall’Osservatorio Agenda Digitale. Infatti, Lombardia, Lazio e Provincia di Trento sono le regioni più “digitali”, mentre in coda ci sono Sicilia, Molise e Calabria.

La Calabria, in particolare, ottiene un punteggio pari a 18.8. Un dato preoccupante, sopratutto se, ad oggi, la connessione a internet è diventata fondamentale, non solo per le imprese, ma soprattutto per la Scuola. Ed è proprio sulla Scuola che la Calabria si è ritrovata in difficoltà, non solo per quanto riguarda gli strumenti per consentire agli studenti di seguire le lezioni, ma anche per il fatto che non tutti vivono nelle città capoluogo o nei grossi centri, bensì anche nei piccoli centri in cui la connessione internet è a intermittenza.

Problematiche che, tuttavia, non sembrano essere state risolte, nonostante siano stati stanziati dal Ministero dell’istruzione la somma di 3 milioni e 500 mila euro per le scuole calabresi, e  che assumono contorni grotteschi se si pensa che per il ministro all’Istruzione, Lucia Azzolina, «il futuro della scuola sarà sempre più legato alla digitalizzazione».

Il ministro, intervenuto nel corso dell’evento online Il digitale a scuola, promosso dall’Associazione Italian Digital Revolution, ha sottolineato che «le nuove tecnologie rappresentano una opportunità di crescita per i  nostri ragazzi, ma le attività devono essere svolte in classe. Le aule, sono e resteranno sempre luoghi deputati alla socializzazione, oltre che alla formazione degli alunni».

“La scuola – ha spiegato Azzolina – non era preparata gestire un’emergenza così grande, come quella legata al Coronavirus. Eppure, nei primissimi mesi della pandemia, la didattica a distanza ha garantito agli studenti il prosieguo delle attività, pur tra numerose difficoltà e il gap che il nostro Paese paga in termini di digitalizzazione a scuola. Proprio per questo, il Governo ha stabilito una serie di investimenti importanti in ambito tecnologico: banda larga, Pc, tablet garantendo, al contempo, una adeguata formazione del personale scolastico. Grazie al contributo dei nostri ragazzi e dei docenti, è stato possibile trasformare questo momento difficile in opportunità di crescita per tutto il sistema».

«La scuola post Covid  – ha detto ancora la ministra rispondendo ad uno studente che le chiedeva come sarà il sistema – appena terminata l’emergenza, comprenderà una didattica digitale in classe, i nostri studenti parlano questa lingua, non possiamo prescindere da questo aspetto.  All’interno del Recovery ci sarà un capitolo importante destinato alla scuola e alla digitalizzazione. L’augurio più grande che possiamo fare ai nostri ragazzi, è che in futuro nelle aule il digitale possa rappresentare sempre di più un momento di crescita all’interno del loro percorso di formazione».

«La digitalizzazione – ha proseguito nel corso del suo intervento il presidente dell’associazione Aidr, Mauro Nicastri, è stata una risposta reale e concreta durante la pandemia in tutti i settori, a cominciare proprio dalla scuola. La ministra ha parlato, giustamente, di opportunità unica offerta dalle tecnologie applicate al web, descrivendo lo scenario che si andrà sviluppando nei prossimi mesi. C’è una grande attenzione in questo momento in tutto il Paese, legata alle potenzialità della digitalizzazione. La nostra Associazione, impegnata da anni nella promozione della cultura digitale, oggi saluta più che positivamente questa nuova consapevolezza».

«Il digitale  – ha concluso Nicastri – porta con sé nuovi mezzi e nuovi modi, ma l’uomo deve sempre restare al centro del progetto. Proprio per questo, oggi abbiamo voluto promuovere un momento di discussione con le istituzioni, coinvolgendo direttamente gli studenti, che hanno un ruolo attivo nella scuola. Ringraziamo la ministra Azzolina per la straordinaria disponibilità con cui ha accettato l’invito della nostra associazione, e lo spirito con il quale ha aderito alla nostra iniziativa. I ragazzi, provenienti da ogni parte d’Italia, hanno posto alla Ministra delle questioni di straordinaria attualità. Nei loro interventi c’è la testimonianza del momento storico che stiamo vivendo, ma anche la voglia di guardare al futuro con ottimismo, grazie anche alle opportunità legate alla digitalizzazione».

 

LA STRANA IDEA DELLA DIGITALIZZAZIONE
RECOVERY: 48 MLD, DI PONTE NON SI PARLA

di SANTO STRATI – Pur avendo a disposizione fior di esperti di informatica e digitalizzazione, il Governo Conte continua a stupire con effetti speciali, complicando la vita ai “poveri” cittadini con l’ultima trovata del cashback, una delle tante “armi di distrazione di massa” a cui l’esecutivo ci ha purtroppo abituato. E se questa è la strana idea che il Governo ha della digitalizzazione c’è da tremare se si pensa che nel piano per il Recovery Fund da 209 miliardi il Governo riserva risorse a questo comparto per 48,7 miliardi di euro, mentre ne prevede appena 27,8 per le infrastrutture. Di Ponte sullo Stretto non si parla proprio se non per mettere in piedi un ridicolo quanto offensivo nuovo tavolo di lavoro per “studiare” la migliore soluzione (ponte o tunnel?) quando, per la verità, esiste ormai da anni un progetto esecutivo, immediatamente realizzabile, con immediati ritorni in termini di occupazione per le aree interessate di Calabria e Sicilia. Un nuovo tavolo serve solo a creare ulteriore dilazione, per prendere tempo, senza scontentare i governatori di Calabria e Sicilia che hanno espresso richieste precise perché si dia inizio ai lavori e allo stesso tempo tenere buoni i Cinque Stelle che continuano a caldeggiare scelte che equivalgono all’assoluta inoperosità: niente cantieri, niente pianificazione territoriale, zero sviluppo. E dire che sono ancora tanti a credere alle strampalate idee dei grillini che una ne fanno e cento ne disfano. Gli italiani al voto, siamo certi, presenteranno il conto a questi dilettanti della politica che in nome dell’anticasta si sono fatti casta loro stessi, facendo, purtroppo danni seri al Paese.

Ma andiamo per ordine. L’operazione cashback, ovvero la restituzione del 10% speso in due mesi in acquisti “fisici” con la carta di credito (supermercati, benzina, elettrodomestici, computer, ristorante, etc) è una colossale presa in giro che, peraltro, penalizza chi la carta di credito non ce l’ha (e sono tanti che la userebbero volentieri se solo avessero un lavoro e un futuro su cui contare) e premia (pazzesco!) chi spende di più. Il meccanismo è semplice: fino a 150 euro di rimborso il prossimo febbraio direttamente sul conto corrente, con un ritorno del 10% delle spese entro il tetto di 1500 euro. Prima bizzarria: chi spende 750 euro al mese con la carta di credito di questi tempi? Chi può spendere questa cifra non ha certo bisogno di vedersi restituito un risibile (per lui) 10 per cento. Quindi chi sono i beneficiari? I pensionati di lusso e i superprofessionisti che spendono e spandono (con carta di credito) senza il minimo problema. Seconda bizzarria: il Governo, secondo noi, non ci ha dormito una notte per varare un meccanismo che più macchinoso non poteva essere: registrazione attraverso lo Spid (la famosa identità digitale che richiede un’ulteriore fastidiosa incombenza), attribuzione di un codice da presentare al negoziante, etc.

Ora, la domanda è molto semplice: chiunque utilizza una carta di credito sa perfettamente che viene tracciato ogni suo singolo movimento, dalla farmacia al supermercato, dal cinema al benzinaio, dal ristorante all’albergo. Tutte operazioni tracciate e tracciabilissime dai vari gestori (Visa, MasterCard, American Express, etc) che già come servizio ai clienti offrono un report dettagliato delle spese suddivise per categoria di operazione: acquisti on line, acquisti di beni durevoli, servizi di ristorazione, e via discorrendo. Che motivo c’era di complicare la vita a chi già utilizza la carta di credito per i suoi pagamenti con altri adempimenti, quando bastava assegnare ai vari gestori in compito di “restituire” ai propri clienti il 10% delle spese effettuate de visu presso un esercente? Troppo facile, se no chissà quanti burocrati si troverebbero senza occupazione dalla sera alla mattina. Quindi non è un’operazione per incentivare l’uso delle carte di credito, non è un’operazione a favore delle fasce più deboli della popolazione: è solo una seccatura in più per i negozianti che stanno già smadonnando per i clamorosi buchi di bilancio provocati dalle chiusure forzate e un elemento aggiuntivo di distrazione per “sudditi” distratti che si sentiranno privilegiati di un regalo monetario del Governo.

È questa l’idea di digitalizzazione? Già, perché ci piacerebbe sapere a cosa serviranno 48,7 miliardi di euro (tradotti in lire quasi 94mila miliardi) per la “digitalizzazione”. Secondo la descrizione sommaria del Governo sono destinati a digitalizzare l’Italia (?) e per l’«innovazione, competitività e cultura», ovvero investimenti immateriali  di cui 35,5 miliardi per la “transizione digitale delle imprese (banda larga , 5G e internazionalizzazione) e circa 10 miliardi per l’innovazione della Pubblica Amministrazione: questi ultimi, forse, serviranno a evitare le solite figuracce dei server che crollano ad ogni – prevedibile – super ondata di click?

E, invece, per le infrastrutture, che non solo fanno vivere meglio i cittadini ma producono anche occupazione e lavoro indotto, i miliardi richiesti al Recovery Fund sono poco più della metà, 27,7 per l’esattezza. Di questi 23,6 serviranno per l’alta velocità e la manutenzione delle strade, mentre i rimanenti 19,2 miliardi sono destinati a istruzione e ricerca. Si parla di alta velocità (ma sarebbe più opportuno di parlare di alta capacità) ma dell’infrastruttura principe che farebbe dell’Italia del Sud un modello di sviluppo e ricerca tecnologica, ovvero il Ponte sullo Stretto, non c’è il minimo accenno.

Eppure, quale migliore opportunità del Recovery Fund per attuare il progetto del Ponte sullo Stretto? Costerebbe intorno agli 8 miliardi, con un’occupazione stimata di svariate decine di migliaia di posti di lavoro tra Sicilia e Calabria, ma il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti torna a seminare fumo inventando tavoli di lavoro per decidere qual è la migliore soluzione tecnologica per l’attraversamento stabile dello Stretto. Stiamo ancora a parlare di studi preliminari quando esiste già un progetto esecutivo che aspetta solo di essere messo in esecuzione? Ma credono al Governo di poter ancora prendere in giro i calabresi e i siciliani con la cavolate di nuovi studi di fattibilità sull’attraversamento stabile dello Stretto?

Bene ha fatto l’assessore regionale alle Infrastrutture e ai Trasporti l’ing. Domenica Catalfamo, convocata per via telematica a un tavolo di lavoro del Mit a replicare che «il progetto del Ponte esiste già: è cantierato non cantierabile» a fronte di proposte di nuove analisi di costi-benefici. «Il progetto del collegamento sullo Stretto – ha detto la Catalfamo – non può fare a meno dello studio di fattibilità sull’alta velocità e alta capacità, rispetto ai quali il ministro, qualche mese fa, aveva garantito che sarebbero stati presentati entro i primi mesi dell’anno. Studio di fattibilità che non può prescindere dall’attraversamento dello Stretto, che è parte integrante del corridoio 5 europeo».

Il Ponte – lo abbiamo ribadito più volte (vedi il nostro speciale) – sarebbe un capolavoro di ingegneria e tecnologia italiana, oltre a costituire un’eccezionale attrattiva turistica per tutto il mondo. Dev’essere chiaro che chi continua a ostacolare il progetto non vuole il bene della Calabria e dei calabresi. (s)