ELEZIONI / È la volta di Giorgia: Palazzo Chigi si tingerà di rosa

di MARIO NANNI – A differenza del 2013, quando i sondaggisti avevano dato per probabile vincitore il centrosinistra e Bersani segretario Pd già si vedeva a Palazzo Chigi (poi si scoprì all’alba che si erano sbagliati), stavolta le previsioni, confermate via via negli ultimi mesi, sono state confermate.

Piaccia o non piaccia, e a molti milioni di italiani non piace, il centrodestra ha vinto le elezioni. È la democrazia. E le regole della democrazia, se siamo una democrazia, impongono di rispettare il risultato.

Ci sarà modo e tempo, quando i risultati saranno completi, per fare analisi particolareggiate. Per ora, a caldo, si possono fare queste notazioni e azzardare alcune modeste previsioni.

Primati

Per la prima volta un partito guidato da una donna arriva primo. E per la prima volta, secondo le previsioni, una donna sarà la prima presidente del Consiglio della storia d’Italia.

Per la prima volta il meccanismo incrociato tra l’amputazione del Parlamento e una legge elettorale sciagurata ha prodotto risultati inattesi e imprevisti, e anche esclusioni eccellenti. Un nome su tutti: Luigi di Maio, ministro degli Esteri, non tornerà in Parlamento.

Per la prima volta l’affluenza segna un livello tra i più bassi del Dopoguerra. Un chiaro segnale di disaffezione dei cittadini verso la politica. Che poi molti di questi “disertori delle urne” saranno i primi a lamentarsi di come andranno le cose, anche questo è un segno di malcostume civico.

“Cannibalismo politico” 

Nel centrodestra, Fdi si è mangiata la Lega, ma anche FI l’ha rosicchiata.

Con il suo strepitoso bottino elettorale Fdi surclassa i principali alleati: Lega e Forza Italia. Ora sarà interessante vedere se Berlusconi e Salvini collaboreranno lealmente con quella che a tutti gli effetti si pone e s’impone come la guida politica della coalizione o cominceranno con i dispetti, le frecciate, le gelosie, il rifiuto di svolgere un ruolo ancillare.

Non sono illazioni gratuite ma legittime domande, e dalla risposta che sarà data ad esse dipenderà il grado di compattezza della futura maggioranza.

Giorgia Meloni comunque da oggi ha davanti a sé il compito di esercitare il ruolo di guida della coalizione e adoperarsi per trovare un equilibrio tra i tre partiti che la compongono per garantirsi le migliori condizioni per governare.

Débacle

La Lega in pochissimi anni è precipitata, nei sondaggi,  dal 34 per cento dei tempi del papeete (governo giallo verde guidato da Conte 1) a risultati a una cifra. Per Salvini scoppierà in casa il terremoto.

Il Pd ha sfiorato il peggior risultato della sua storia (il 18,7% di Renzi del 2018). Ora il partito si prepara a una lunga autoanalisi, e per Letta saranno tempi duri.

Forza Italia nonostante le perdite non è crollata, anzi ha avuto un piazzamento più che soddisfacente.

Terzo Polo

Il tentativo di Calenda e Renzi non ha preso il volo. Se il progetto dei due forzati gemelli era quello di fare l’ago della bilancia tra due schieramenti, i voti presi (non pochi non molti) dicono che è fallito. Ma può diventare la base per costruire un partito riformista, secondo quanto hanno più volte annunciato.

Giuseppe Conte 

come Lazzaro

I 5 stelle sembravano votati allo squagliamento elettorale o quasi, additati come gli affossatori di Draghi. ((in realtà Conte si era esposto contro Draghi e Berlusconi e Salvini ne hanno approfittato per sfilarsi). Ma poi l’ex presidente del Consiglio di due governi ha vestito i panni di un Masaniello pugnace.

E mentre il segretario Pd consumava molte delle sue energie a gridare alla democrazia in pericolo, Conte ha battuto paese per paese nel Mezzogiorno, e come fece Pietro Longo, segretario Psdi negli anni Ottanta ( che prese voti facendo campagna elettorale solo sulle pensioni), ha impostato la sua campagna elettorale su pochi punti semplici e chiari: il reddito di cittadinanza, il super bonus, la crisi energetica, le bollette da pagare. Conte è, obiettivamente, a parte il centrodestra vittorioso, l’unico leader che può dire, risultati alla mano, di essere tra i vincitori morali di queste elezioni. E si è costruito una immagine di leader del Movimento, mandando di fatto Grillo in pensione.  Il movimento 5 stelle è il primo partito nel Sud, e la Lega nel Mezzogiorno sembra evaporata.

Presto vedremo i banchi di prova

E arriveranno ancor prima che si insedi formalmente il nuovo Parlamento, il prossimo 13 ottobre.

Primo scoglio: la elezione dei presidenti delle due Camere.Il centrodestra farà lo spoil system, l’assopigliatutto? O adotterà un fair play istituzionale affidando la presidenza della Camera alla opposizione?  Ma poi, a quale partito delle opposizioni?

Secondo banco di prova: distribuzione dei ministri. La Lega aveva già prenotato il ministero della Giustizia ( per l’avv. Giulia Bongiorno); lo stesso Salvini, chiudendo la campagna elettorale a Roma, ha detto papale papale: non vedo l’ora di tornare al ministero dell’Interno per completare l’opera ( sic!). Con questo calo vertiginoso, quale sarà la sua forza di contrattazione? Per farsi accettare le richieste o pretese, sarà costretto a minacciare di non entrare in maggioranza?

Terzo banco di prova

Berlusconi chiederà la presidenza del Senato che gli era stata promessa (si disse a suo tempo che Salvini gli aveva prospettato questo approdo, chiedendogli in cambio di affossare il governo Draghi.  C’è un proverbio pugliese che recita: a santi e carose (ragazze) non promettere cose ( nel senso di :non prometterle invano). Ora come andrà a finire?  Berlusconi non è un santo né ‘’nu carusu’’ ( il 29 settembre saranno 86 anni) e quindi quella promessa potrebbe assare in cavalleria. Ma per Berlusconi la presidenza del Senato sarebbe una tale rivalsa che il Conte di Montecristo al paragone sembrerebbe un dilettante. Intanto è ritornato al Senato, da dove era dovuto uscire perché decaduto secondo la legge Severino. (mn)

(Mario Nanni, giornalista parlamentare e già Caporedattore Cenytrale dell’Ansa, è oggi  – Direttore editoriale del periodico online BeeMagazine)

[Courtesy BeeMagazine)

LA MAPPA DEI NUOVI COLLEGI ELETTORALI
TOGLIE IL SONNO A CHI VUOLE CANDIDARSI

Questa insolita e inaspettata campagna elettorale (tutti immaginavano che si andasse a votare in primavera) farà perdere il sonno a molti parlamentari in uscita e numero aspiranti  in entrata. Quello che nessuno, probabilmente, aveva messo nel conto è che con queste elezioni, le più strane da quando è nata la Repubblica, frutto di una crisi di cui nessuno vuole assumersi la responsabilità, entrano in vigore le norme introdotte dalla legge costituzionale che ha dimezzato il numero dei parlamentari.

Già, la “furbata” dei Cinque Stelle si abbatte ora su di loro come una nemesi obbligata, che metterà fuori gioco centinaia di parlamentari per i quali la riconferma è pari alla possibilità di centrare il superenalotto da 240 milioni. Le nuove norme hanno ridisegnato la mappa dei collegi elettorali per Camera e Senato, provocando, in assenza di una nuova legge elettorale, un grande disorientamento tra gli eligendi e le forze politiche, che, improvvisamente, si trovano con uno scenario a dir poco da incubo che non tien e più conto della vecchia mappatura del territorio, ma associa aree geografiche “lontane” dove emergono i collegi uninominali o plurinominali.

In buona sostanza, il decreto legislativo del 23 dicembre 2020 n. 177 (di cui gran parte dei politici si era probabilmente dimenticato) indica i nuovi collegi elettorali a seguito dell’entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 2020 sulla riduzione del numero dei parlamentari.

A livello nazionale sono previsti per la Camera 147 collegi uninominali (inclusa la Valle d’Aosta) e 49 collegi plurinominali (quelli che esprimono gli eletti con il sistema proporzionale), e 74 collegi uninominali per ilSenato (inclusa la Valle d’Aosta) e 26 collegi plurinominali. E bene ricordare che la legge costituzionale del 2020 ha imposto, a partire dal primo scioglimento delle Camere o alla scadenza naturale della legislatura) la nuova composizione del Parlamento: 400 deputati (erano 630) e 200 senatori (erano 315). Di questi anche gli eletti nelle circoscrizioni estere hanno subito un taglio consistente: i deputati eletti all’estero passano da 12 a 8 e al Senato da 6 a 4. Questo significa che, in Italia, sono in palio 392 posti da deputato e 194 da senatore (di cui 74 eletti con l’uninominale, e 122 con il proporzionale).

In assenza di una nuova legge elettorale che il Parlamento in uscita non ha voluto formulare, commettendo un grave errore (l’ingovernabilità, in assenza di coalizioni forti è garantita), si vota col sistema elettorale precedente, ovvero misto, dove i seggi sono attribuiti in parte col sistema maggioritario, in parte col sistema proporzionale.

La soglia di sbarramento rimane al 3 % per singole formazioni politiche, e al 10% per le coalizioni. Il voto sarà espresso per il candidato del collegio uninominale, mentre per i collegi plurinominali (col proporzionale) si esprimerà il voto sulla lista (o coalizione). In quest’ultimo caso c’è il cosiddetto listino bloccato con i primi nomi della lista (prescelti dai partiti) che hanno pressoché garantita l’elezione in misura direttamente proporzionale al risultato ottenuto dalla lista.

Con le nuove norme, in Calabria, il numero dei parlamentari passa da 30 a 19, ovvero  13 deputati e 6 senatori. Restano al palo, dunque, undici parlamentari, che al di là delle aspettative e delle pur legittime speranze di riconferma non avranno lo “spazio” nel collegi. Il problema riguarda, in effetti, la distribuzione dei collegi che sono 5 uninominali e 1 solo per il plurinominale. Il collegio uninominale 1 per la Camera comprende Corigliano-Rossano, il collegio 2 Cosenza, il collegio 3 Catanzaro, il collegio 4 Vibo Valentia, il collegio 5 Reggio. Cosenza e Reggio sono suddivise in due collegi uninominali ciascuna, mentre Catanzaro ha un collegio a sé stante, mentre Crotone è abbinato ai territori della provincia cosentina e Vibo associa alcuni comune della provincia reggina. Per spiegare meglio, il collegio di Vibo, oltre ai 50 comuni, della provincia  abbina ben 26 comuni della provincia reggina (tra cui Palmi, Gioia Tauro, Rosarno). Da questi collegi verranno fuori 5 deputati eletti col sistema uninominale e 8 col sistema proporzionale. 

Lo stesso vale per il Senato, dove sono stati individuati solo due collegi uninominali (l’1 comprende l’area di Cosenza e Crotone, il 2 l’area di Reggio Catanzaro e Vibo). Da questi collegi, due senatori saranno frutto del voto uninominale, mentre i rimanenti 4 saranno eletti col sistema plurinominale.  

Questa nuova mappatura del collegio renderà difficile e complicata la comunicazione al corpo elettorale da parte dei singoli candidati e dei partiti, che si troveranno a muoversi su territori disomogenei. In buona sostanza, per fare un esempio, il candidato nel collegio di Vibo dovrà confrontarsi con gli elettori di Rosarno che in passato avevano come riferimento l’area reggina. E così via, con un complicato gioco di intrecci che difficilmente permetteranno di fare la benché minima proiezione sui risultati. Indipendentemente dalle coalizioni e dalle formazioni politiche che scenderanno in campo.

Sarà una campagna elettorale sotto il solleone, di durata minima (vanno depositati i contrassegni entro il 5 agosto e le liste entro il 14 agosto), quindi il mondo politico le ferie dovrà rassegnarsi a guardarle col binocolo. (rrm)