L’OPINIONE / Ettore Jorio: La delicata posizione della Corte dei Conti

di ETTORE JORIO – Il triangolo no. Non possono vivere insieme accoratamente decisori politici, dirigenza e organi di revisione. Una figura geometrica che tuttavia, a volte, diventa pentagona, con il “contributo” non infrequente, specie in sede territoriale, di organi deputati a decidere secondo giustizia ovvero a difendere in giudizio, in via specifica, gli interessi dello Stato.

Per non dire esagona, allorquando il governo non si accorge di leggi regionali, sottoposte alla sua attenzione a mente dell’art. 127, spudoratamente incostituzionali.

Meno male che c’è la Consulta e, con essa, quella magistratura che legge bene le eccezioni mosse al riguardo delle stesse e decide di coinvolgere incidentalmente la Corte costituzionale. A proposito, la Corte dei conti è così divenuta il secondo giudice, dopo quello ordinario, ad investirla, superando quella amministrativa che, per volumi processuali, dovrebbe un po’ riflettere sul mancato secondo posto sul podio.

L’attuale condizione di vita dell’ordinamento pubblico, in termine di corretta convivenza delle diverse anime che lo ravvivano, «gli è tutto
sbagliato, l’è tutto da rifare» sul piano metodologico. Insomma, prendendo ironicamente spunto da Renato Zero e dal grande Gino Bartali, occorre sollevare il problema, quello condizionante in termine di leale performance dal quale bisogna uscire quanto prima. D’altronde, sarebbe inimmaginabile assistere ad una così dannosa commistione di ruoli nel mercato borsistico statunitense o britannico, sarebbero saltate tante teste e non solo.

Il tutto facilitato, nell’agire pubblico, anche da un oramai consolidato rimescolamento collaborativo di chi è tenuto a rendersi garante della
giustizia ma che viene preso, quasi ovunque, in prestito a tutela della volontà politica e del controllo dell’attività amministrativa nonché della spesa.

Nel sistema della Repubblica, a dominare tutto il suo funzionamento, almeno nominalmente, è il testo unico del pubblico impiego. All’articolo 4 del vigente d.lgs. 165/2001, è infatti sancito che: *al comma 1, spetta agli organi di governo della res pubblica la definizione del progetto politico da attuare medianti programmi e l’esercizio dei controlli sulla relativa attività amministrativa e della gestione rimesse unicamente alla dirigenza; * al comma 4, la dirigenza è titolare dell’adozione degli atti amministrativi e dei provvedimenti, compresi tutti quelli di gestione che impegnano la PA verso l’esterno, con conseguente responsabilità esclusiva del proprio operato.

Ebbene, ossequiando uno schema simile le cose dovrebbero funzionare al meglio, rimanendo in capo: al decisore politico l’onere di indirizzare, di programmare e di controllare i risultati della gestione e la corrispondenza attuativa agli indirizzi politico-amministrativi; alla dirigenza l’adozione di tutti gli atti gestori.

Purtroppo, nella pratica accade, di sovente, diversamente. Ciò in quanto, atteso che, specie in presenza di decisori neo subentranti, si constata un difetto quasi assoluto della conoscenza utile all’esercizio dei loro compiti. Conseguentemente, è facile che gli stessi diventino preda della dirigenza già posizionata. Quella allenata ad una siffatta ricorrente situazione, abituata all’evento e in quanto tale abile ad impossessarsi, per via indotta, del governo dell’ente interessato. Una abilità, questa, tanto condizionante da persistere nei ruoli di alto profilo nonostante la possibilità per il decisore politico subentrante di ricorrere a collaborazioni intuitu personae. Un modo per rimanere perennemente al comando della nave, con la concorrenza abbandonata in una scialuppa e con la responsabilità della rotta e dell’approdo attribuita al capitano comandante.

Quanto a responsabilità, c’è da dire che tutti gli attori della vicenda sono polizza-muniti di contratti assicurativi, di costo non affatto modesto, posti a copertura delle responsabilità riconosciute, ma dolo esente. Le ultime decisioni della Corte dei conti, quanto a quest’ultimo tema, nella sua complessa denominazione di Collegio del controllo concomitante presso la Sezione centrale di controllo della gestione delle amministrazioni dello Stato, hanno introdotto un principio preoccupante per chi non fa bene il proprio dovere. Lo ha fatto con le “relazioni” sulla attivazione delle centraline elettriche e sulla diffusione della somministrazione dell’idrogeno (delibere 17 e 18 dell’aprile scorso), assumendo come “imputati” i dirigenti, resisi responsabili dei ritardi di attuazione della programmazione interna, del facere da loro pianificato, sulla base della programmazione governativa. Un accertamento di responsabilità grave, tanto da sollecitare nei loro riguardi l’applicazione delle sanzioni previste dall’art. 21 del d.lgs. 165/2001, tra le quali è prevista la revoca dall’incarico.

Un tale criterio, qualora dovesse essere preso sul serio ovvero essere condiviso, dal grado superiore della magistratura contabile in caso di impugnazione, sarebbe da una parte preoccupante e dall’altra stimolante per dividere secondo norma gli operati del decisore politico da
quello della dirigenza, con conseguente più autonomia per entrambi più redditizia in termini di qualità del prodotto e di utilità pubblica.

Un’altra caratteristica negativa, come detto nell’incipit, sta nell’esercizio del controllo esterno affidato ad un organo di revisione, troppo rispondente alle esigenze di chi lo nomina, di chi lo retribuisce, peraltro con “salari” appena sufficienti ad assolvere il peso della carica, e di chi fa pesare il ruolo istituzionale che rappresenta.

Anche nei confronti di questo la Corte dei conti è andata dura. Nello specifico, la Sezione giurisdizionale d’appello per la Sicilia della Corte dei conti ha emesso una sentenza (la n. 18 del 2023) che invero ha fatto e farà tremare i polsi – non per entità economica di condanna bensì
per riaffermazione di chiaro principio – a tutti coloro i quali sono impegnati ad esercitare il ruolo di sindaco o revisore presso istituzioni
pubbliche, loro partecipate e aziende facenti parte del servizio sanitario nazionale. La sentenza è chiarissima. Colpita e sanzionata pesantemente «la condotta caratterizzata da inescusabile inerzia e, perciò, gravemente colposa», in quanto tale produttiva di danni cagionati alla collettività interessata.

Al di là dell’effetto “intimidatorio” dei dicta del Magistrato contabile, quest’ultimo ha di certo portato a memoria d’uomo gli irrinunciabili doveri dei preposti alle istituzioni, sia nella qualità di decisori politici che di dirigenti e componenti degli organi di revisione esterni. Un richiamo che, di certo, contribuirà a migliorare sia i rapporti tra i medesimi, sul piano del rispetto reciproco della autonomia di ciascuno, che il risultato dovuto alle comunità interessate.

In Calabria, uguale al resto del Paese per la maggior parte dei lati del poligono, negli altri peggio. Insomma, brutti tempi da decenni con tendenza (si spera) al miglioramento. Una previsione? No, un augurio. (ej)

LA RISPOSTA / Ettore Jorio: Caro Corigliano, io sono un “favorevole” tifoso della Costituzione

di ETTORE JORIO – Caro dott. Corigliano, ho letto su questo giornale la Sua nota sulla autonomia (legislativa) differenziata tutta incentrata sulla mia persona. Meglio, su ciò che penso sul regionalismo differenziato ovvero sul federalismo a geometria variabile. La ringrazio per avermi destinato una così importante attenzione.

Mi tocca, ed è normale che lo sia attesa la direzione unica del Suo pezzo, confutare le sue sottolineature critiche. Per farlo ho preferito ricorrere ad un linguaggio semplice e diretto, fornendo ad Ella, prima che al lettore, le risposte agli interrogativi che mi pone.

Nel concreto, mi  imputa di: essere favorevole al Ddl Calderoli; avere assunto una posizione contraria a quella del centrosinistra e favorevole al centrodestra; scrivere senza affondare “il bisturi sulle specificità del ddl”.

La chiarezza mi impone di “difendermi” dalle tre imputazioni in un unico ragionamento, al fine di non dare adito a confusione, meglio di mettere insieme “le mele con le pere (e anche le banane)”. Infatti, una cosa è il Ddl Calderoli che attua il regionalismo differenziato (art. 116 Cost); altre sono i Lep (art. 117 Cost) e il federalismo fiscale (art. 119); altro ancora è la metodologia di finanziamento dei Lep e non Lep (legge delega 42/2009 e i suoi nove decreti delegati). Guai, a confonderli, si genererebbe un bel frullato, ma pur sempre un frullato di idee e convincimenti

Caro Corigliano, io sono un “favorevole” tifoso della Costituzione. L’amo e la rispetto nella sua lettera.

In essa – scritta dal centrosinistra nel 2001 e confermata dagli italiani con un referendum (uno dei pochi ad avere raggiunto il quorum) – c’è l’art. 116 che, al comma 3, offre l’opportunità alle Regioni a statuto ordinario di incrementare la propria competenza legislativa a 20 materie concorrenti e a 5 statali. Legislativa, ripeto, per preciso volere della Costituzione alla quale in tanti fanno riferimento, spesso solo nominalmente.

Ebbene, un tale precetto ha vissuto tre disegni di legge attuativi: nel 2019 ad opera di Francesco Boccia, nel 2022  di Mariastella Gelmini e nello stesso anno da Roberto Calderoli.

Nei tre Ddl: uguale lo scopo, quasi uguale l’iter tracciato, identico il subordinarne l’efficacia all’applicazione del federalismo fiscale. Mi spiego meglio: alla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e alla determinazione dei costi e fabbisogni standard funzionali alla loro sostenibilità uniforme.

Il Ddl Calderoli, a differenza degli altri due, nell’ultima sua versione anziché prevedere una realizzazione teorica e posticipata del federalismo fiscale si inventa la sua previsione applicativa inserita nella legge di bilancio 2023, più esattamente ai commi 791-781. Con questo ha affidato il compito ad una istituita cabina di regia di adempiere a tutto questo entro e non oltre il 31 dicembre del corrente anno.

A bene vedere, è questa l’opzione che mi ha trovato d’accordo, sperando che tutto questo avvenga bene e puntualmente.

Ad altri e non certo a me il compito di dimostrare il perché del consenso al Ddl Boccia e a quello Gelmini, cui io mi dichiarai favorevole, e no a quello Calderoli, che io tuttavia critico severamente per l’assenza della disciplina sulla perequazione. Una assenza, da me rimarcata ovunque (principalmente su Astrid e IlSole24Ore), da dovere necessariamente essere colmata nel corso del futuro esame parlamentare. Ma questo, lo ricordo prima a me stesso, è stato un problema presente in tutti e tre Ddl attuativi del regionalismo differenziati.

Quindi, nessun giudizio positivo che non sia motivato dalla necessità di: determinare i Lep lasciati lì dal 2001 (fatta eccezione per la sanità); abbandonare il criterio della spesa storica attraverso l’attuazione di quello fondato sui costi e fabbisogni standard; garantire una perequazione che renda i finanziamenti sufficienti all’uniformità erogativa, così come normato dal 2009. Lo scrissi nei miei tre libri sul federalismo fiscale scritti nel 2007 (Maggioli), 2009 (Maggioli) e 2012 (Giuffrè), ove sostenevo e sostengo l’utilità del federalismo fiscale assistito da una perequazione seria fondata sugli indici di deprivazione socio-economica e culturale.

A ben vedere, la mia posizione è in linea con un centrosinistra proponente: a) il regionalismo differenziato in Costituzione (2001); b) la sua combinazione attuativa con il federalismo fiscale (sempre Costituzione 2001); c) la sua attuazione (legge 42/2009 approvata con il solo voto contrario dell’Udc); la sua applicazione 2010/2011 (d.lgs 23 per gli enti locali; d.lgs. 68 per la sanità e sociale, condivisi alla unanimità).

Quanto al regionalismo differenziato, è bene precisare che esso dipende dalle scelte che faranno liberamente le singole Regioni, che potranno ben mantenere l’attuale status quo.

Sul tema,  certamente non mi trova d’accordo l’esperimento referendario del 2017 di Veneto, Lombardia e degli accordi attuativi sulla “autonomia differenziata” condivisi con il Governo nel 2018 dalle stesse Veneto e Lombardia e dalla Emilia-Romagna, di Bonaccini e poi della Schlein. L’unica variante che quest’ultima escludeva dalla pretesa la sola materia dell’istruzione.

Del resto, per fermarci al tema del regionalismo differenziato, a seguito del Ddl Boccia (che ripeto è sovrapponibile nella quasi interezza a quello della Gelmini e di Calderoli) furono ben nove le Regioni ad anticipare formale istanza di accesso ad una maggiore competenza legislativa. Tra queste: la Toscana, il Lazio, la Campania e la Puglia, tutte governate dal centrosinistra.

La mia è dunque semplice coerenza ma soprattutto convincimento. Con questo non escludo che, se dovessero andare a buon esito le iniziative referendarie di modifica della Costituzione (proposta Villone, per intenderci), approfondirò il tema sulla base della eventuale riscrittura della Carta. Il tutto sempre e comunque a sostegno dell’abbandono della spesa storica che ha rovinato il Mezzogiorno, della determinazione e revisione annuale dei LEP e della valorizzazione ricorrente dei fabbisogni standard secchi per gli enti locali e della combine costi/fabbisogni standard per il resto.

Ad ogni modo, qualora occorrente, chiunque potrà trovare sul sito della nostra “Fondazione TrasPArenza” (www.trasparenza.eu), un ampissimo forum sul regionalismo differenziato, ricco di video, saggi e articoli sull’argomento.

Con la solita stima. (ej)

QUEI SERVIZI ESSENZIALI E MAI GARANTITI
MEMENTO PER IL GOVERNATORE OCCHIUTO

di ETTORE JORIO – Cessato il clima elettorale regionale ed evaporati i fumi della felicità ovvero della delusione, rispettivamente, vissuti dagli eletti e dai bocciati, ai premiati dalle urne tocca, ora, arrotolarsi le maniche e lavorare. Il presidente Roberto Occhiuto lo farà individuando la sua migliore Giunta; il Consiglio regionale dovrà cominciare a scaldare i muscoli per cambiare la sua corsa legislativa, sino ad oggi e da sempre affrontata con le stampelle della incapacità e della rinuncia ad esercitare i compiti istituzionali.

I calabresi non vedono l’ora di esigere i servizi fondamentali e le prestazioni essenziali che non hanno mai avuto, sanità in primis. Lo vuole la Costituzione!

Attenti ai vizi storici
Per realizzarlo necessita abbandonare da parte di tutti i vecchi e reciproci vizi: la politica deve realizzare l’indispensabile meglio, prescindendo dal facile consenso; la società civile deve rivendicare nella sua totalità, sfuggendo a quelle corse in avanti che appartengono al peggiore privato, inteso come conquista della soluzione al proprio singolo interesse spesso a discapito di quello pubblico.

Il risultato impone
L’esito elettorale ha offerto, al di là delle contorsioni interpretative che si registrano in questi giorni, la chiara visione che in Calabria si è andato ben oltre l’abbandono delle ideologie. Si è privilegiato il pragmatismo, che ha fatto sì che fossero messi da parte – fatta eccezione per Oliverio testimone di un coraggioso masochistico tentativo – i leader non avvezzi a frequentare l’arena della politica governativa, ove strappare quel consenso centralista senza il quale la Calabria non potrà mai uscire dalle sabbie mobili ove l’ha ricondotta quella nostrana.

Gli step irrinunciabili
Il primo dei risultati da concretizzare – lo predico da anni – è l’exit-stategy dal commissariamento ad acta. Ciò può avvenire ricorrendo ad un decreto legge che metta tempestivamente la parola fine al decreto Speranza (D.L. 150/2020) ovvero ad un provvedimento di revoca dell’attuale commissario Longo e la contemporanea nomina del presidente Roberto Occhiuto, con conseguente riorganizzazione del sistema della salute aziendale.

Insomma, è necessario riprendere a correre per approvare in Consiglio regionale una riforma strutturale della sanità calabrese, ampiamente condivisa con tutti gli attori protagonisti dell’assistenza e ben discussa nella sua sede legislativa, intesa a ridisegnare da capo la organizzazione della salute.

Non solo. Che la stessa sia realmente tale, privilegiando in maniera assoluta il territorio, abbandonato da 30 anni a se stesso, con tante vittime al seguito, e la rivisitazione della rete ospedaliera secondo necessità, fabbisogno epidemiologico, anche post Covid, e perché no gusto estetico e comodità sociale. Insomma, alla istanza di tutti di salvare la propria pellaccia dal coronavirus-Delta necessita sostituire quella di costruire un sistema degno di questo nome che riempia le case di assistenza domiciliare, le periferie di quella primaria e di presidi intermedi, che soddisfi infine la domanda di ricovero che l’assistenza di prima fascia dovrà prescrivere con scienza e tanta coscienza, mettendo da parte ogni effetto liberatorio.

Fabbisogno del personale da (re)individuare
Tutto questo dovrà essere assistito ovviamente da una sensibile rivisitazione del vecchio organico secondo i dettami scientifici che il Covid ha insegnato, ma soprattutto sulla base di una assistenza che privilegi la persona umana che vive il suo territorio rispetto alla spedalità, spesso evitabile. Dunque, un nuovo fabbisogno di personale con attività concorsuali da mettere in essere subitissimo, previa sospensione di quella in corsa, a soluzione della migliore tutela della salute e compensazione di quel grave danno subìto dal blocco del turnover che ha fatto sì che al Servizio sanitario calabrese venissero a mancare all’appello oltre 4 milia operatori sanitari.
 
La corsa ha inizio
Pronti via, per il Presidente Occhiuto e un Governo nazionale che finalmente decida di riconoscere l’esistenza della Calabria della non salute, cui assicurare quanto prescritto dalla Costituzione, ovvero che i livelli essenziali di assistenza che “devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” vengano resi esigibili da subito ai calabresi.

Ai Sindaci e ai consigli comunali calabresi un vecchio ruolo da riscoprire di rivendicare compiti e impegno istituzionale per ispirare un progetto di erogazione della salute che soddisfi le loro collettività, soprattutto quelle periferiche (che sono tantissime, il 32% del totale). Un esercito del quale non si potrà fare a meno per cambiare radicalmente rotta. (ej)

[Ettore Jorio è docente all’Università della Calabria]

[courtesy QS Quotidiano della Salute]